Quel gol alla Juve e la rinascita in Svizzera, Latte Lath: "Atalanta, ti sogno ancora"

Montagne russe. Adrenalina in vetta, poi giù in picchiata. E lentamente si risale. La sintesi della carriera di Emmanuel Latte Lath, attaccante classe ’99 scuola Atalanta (ancora di proprietà dei bergamaschi). Tutto era iniziato a diciott’anni appena compiuti, con un gol contro la Juventus in Coppa Italia. La data? Gennaio 2017. Il suo nome, sul tabellino assieme a Dybala, Mandzukic e Pjanic. Poi un mare di prestiti: prima in B, poi in C. Panchine, infortuni e pochi gol. Per rinascere ha scelto San Gallo, nella Svizzera tedesca. A seimila chilometri da Abidjan, Costa d’Avorio, dove è nato. Ed è stato ripagato: 16 gol in 34 partite. Il segreto? “Qui abbiamo il diritto di sbagliare. Osa, prova, sbaglia. Nessuno ti punterà mai il dito contro”, ci spiega ‘Ema’. È sereno, adesso. Sorride e si racconta ai microfoni di gianlucadimarzio.com.

 

 

"Il gol alla Juve? Non ero pronto"

Per capire la storia è necessario andare con ordine. Latte Lath è arrivato in Italia, a Cremona, a otto anni con la sua famiglia, raggiungendo il padre, che era qui già dal ’99: “Ha fatto tutti i lavori del mondo per cominciare: senza i suoi sacrifici non sarei diventato calciatore”. Per questo, il gol alla Juventus è dedicato a lui: “È stata una gioia enorme, avevo gli occhi lucidi. Mi sono reso conto di avere segnato solo dopo aver visto i compagni esultare”. Cross di Conti, anticipo di sinistro su Lichtsteiner: palla sul palo e poi in rete, alle spalle di Neto. Emozioni indescrivibili. Ma oggi Emmanuel ci ripensa: “Con la testa che ho ora, dico che forse non ero pronto. Le aspettative su di me si sono alzate tanto, e troppo in fretta”.

Pescara: Zeman e la "prova di coraggio"

Da Bergamo, a fine stagione, Latte Lath parte per il più classico dei prestiti, in Serie B. A Pescara, sotto la guida di Zeman: “Mi avevano avvisato: ‘Ema, Zeman è tosto’… ma non immaginavo così tanto. Al primo giorno di ritiro facciamo dieci volte i mille metri sulla strada in montagna. Finiamo, stremati. Ma lui ci richiama: “Ragazzi, è il momento della prova di coraggio: corriamo un altro chilometro”. Ho pensato: “Stai scherzando, spero”. Già al secondo giorno ho avuto un problema fisico, un’infiammazione che si è ripresentata lungo tutto l’anno: non è stata curata bene e alla fine sono stato fuori sei mesi”. Mai in campo: zero partite in Serie B, solo quattro con la Primavera.

 

 

I prestiti in C: "Perdevamo spesso: l'altra faccia della medaglia"

Così, l'ottovolante di Latte Lath diventa una giostra di prestiti in C, con poco successo: “Il primo, alla Pistoiese, non l’avevo accettato mentalmente: segnare allo Juventus Stadium, poi andare in B, non giocare e dovere ripartire da una media Serie C non è facile, devi essere forte di testa. Perdevamo quasi tutte le partite. All’Atalanta ero abituato a vincere spesso, alla Pistoiese ho conosciuto l’altra faccia della medaglia”. Seguono tre esperienze da sei mesi l’una: Imolese, Carrarese, Pianese. Cinque gol in due stagioni. Ma dopo la discesa si risale sempre: Latte Lath riparte dalla Pro Patria di Javorcic per una stagione da protagonista. “Con lui sono tornato centravanti, come da bambino. Ho ritrovato quella passione e quei sogni”. E anche i gol, nove per l'esattezza.

"In cinque minuti sono rinato"

La vera svolta si chiama SPAL. Il tabellino dice 18 presenze e 3 gol in Serie B; ma il calcio non è solo statistiche: “Aspettavo l’esordio in B dalla stagione di Pescara”. Dai diciott’anni ai ventuno. “Pep Clotet mi ha detto che sarei dovuto tornare un giocatore da venti gol, perché ne ero capace. In cinque minuti di chiacchierata sono rinato, ho ritrovato consapevolezza”.

La metamorfosi si completa al San Gallo: “A fine stagione ho scelto di andare all’estero ed è stata la miglior scelta della mia carriera. In Svizzera il calcio è diverso. Poca tattica: attaccare, e solo dopo difendere. Il gioco è molto rapido, fisico: contropiedi e tanta corsa. E credono nei ragazzi: ti lasciano tempo per sbagliare, per maturare”. Ora Latte Lath guarda avanti: “Voglio continuare questo percorso. Pro Patria, SPAL, San Gallo: l’obiettivo è alzare ancora il livello”.

 

 

Il cassetto dei sogni: l'Atalanta e la Nazionale

Intanto, nel cassetto resta un grande sogno, un chiodo fisso: “In futuro vorrei riaprire la mia storia all’Atalanta. Non può essere finita così”. Un gol, un lampo. “Poi non mi hanno più chiamato. Se mai mi daranno l’opportunità, la prenderò senza pensarci: parlo dell’Atalanta e mi emoziono. Noi del ’99 eravamo un’annata magica. Con Bastoni ci sentiamo ancora. Siamo cresciuti insieme: il pullmino ci passava a prendere a Cremona e andavamo insieme a Zingonia. Sin da quando era piccolo, ha una tranquillità in campo che non ho mai visto. Non volevo mai essere contro di lui in partitella”.

Infine un ultimo sogno, la Nazionale. “Ho il doppio passaporto. La Costa d’Avorio mi aveva convocato l’anno della Primavera all’Atalanta per giocare in U21, ma avevo i play-off e non sono andato. L’Italia, a livello giovanile, mi ha sempre monitorato, ma non avevo ancora la cittadinanza. Ora sì. Mi sento metà ivoriano e metà italiano”. Da una parte le radici, dall’altra il vissuto e… l’accento cremonese. “Eppure penso che sceglierei la Costa d’Avorio: da piccolo sognavo Drogba. E forse non ho mai smesso di farlo”.

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