La grinta charrúa di Tabarez

tabarez

Si alza ed esulta rimanendo fermo davanti alla panchina dalla quale ha visto tutta la partita. Gli altri corrono ad abbracciare Gimenez. Eroe per un giorno, che con un colpo di testa ha regalato i tre punti all’ultimo minuto all’Uruguay, cosa che non accadeva dal 1974 per la Celeste. Oscar Tabarez avrebbe voluto magari raggiungerli, invece rimane fermo, stringe i pugni e guarda l’orologio, consapevole che manca poco tempo alla fine della gara.

Poi il maestro del calcio uruguaiano si volta verso la panchina, prende la stampella e si dirige verso il centro dell’area tecnica. Giusto qualche metro più avanti, solo per urlare qualche parola che non necessariamente verrà sentita dai suoi giocatori. Non importa il messaggio, ma è il gesto che carica ancora di più la squadra. La scossa arriva anche da lui, oltre che dalla testata di Gimenez. Uno sforzo pesante e dall’andamento macchinoso, ma inevitabile. La sindrome di Guillain-Barrè ne ha limitato i movimenti, ma non la grinta. Una patologia che colpisce il sistema nervoso e limita i movimenti motori.



Suarez.

Ma la squadra in campo riflette la garra, lo spirito churrua (la tribù indigena dalla quale discendono gli uruguaiani) del maestro che la conduce dalla panchina. Quell’Oscar Tabarez che per 142 volte ha rappresentato la sua Nazione. Nei momenti felici, come la Copa America vinta nel 2011 e quelli meno, vedi la finale mancata nei Mondiali sudafricani contro l’Olanda. Per questa generazione, quella dei Suarez e dei Cavani è forse l’ultima occasione per tornare ad essere importante ai Mondiali. Per portare di nuovo in cima al mondo quel piccolo paese di tre milioni di abitanti dopo le edizioni vinte nel 1930 e 1950.

Alle spalle però ci sono i giovani, i nostri Bentancur, Torreira, Laxalt, Vecino e Gimenez. Ventitre anni: con in bacheca una Liga e una Supercoppa spagnola, oltre all’Europa League vinta quest’anno con l’Atletico Madrid. Oggi decisivo con l’Egitto. Giovani gladiatori in campo agli ordini del vecchio maestro, da quattro mondiali sempre lì, sulla panchina della Celeste, oltre la malattia.

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