Klopp meglio di Sun Tzu: l’arte della Kop riscrive la storia

“Se falliremo, lo faremo nel modo più bello possibile”. Chissà a cosa pensava Jurgen Klopp mentre diceva queste parole nella conferenza della vigilia. Chissà quante volte aveva giocato questa partita nella sua testa. Solo lui poteva immaginarla così.

In Inghilterra dicono comeback, in Spagna remuntada, nel mondo di Klopp non si dice neanche. Si attacca. Si cerca l’impossibile perché il Liverpool quella parola l’ha sempre rifiutata. Provare a risalire dallo 0-3 del Camp Nou era doveroso. Per rispetto della storia del club. Perché Istanbul non fu un caso, perché quel signore tedesco non ha mai pensato che fosse finita.

Aveva passato una settimana da incubo: la sconfitta a Barcellona, l’infortunio di Salah da sommare all’assenza di Firmino, la vittoria del City che allontanava il titolo. 94 punti a una giornata dalla fine e l’angosciante sensazione di non avere niente da stringere a fine anno. Aveva il destino contro, gli ha sorriso e lo ha ribaltato.

“Con ordine, affronta il disordine. Con calma, l’irruenza. Questo significa avere il controllo del cuore”. Lo scrisse Sun Tzu nel VI secolo a.C. Bravo, ma non si era trovato quell’Everest morale, tecnico e tattico da affrontare.

Quelle parole sembrano il ritratto di Jurgen Klopp. Serafico di fronte alle difficoltà. Mezza squadra fuori e il sorriso nella tempesta. Nella notte di Anfield, mentre la Kop impazziva e tutto girava, lui restava tranquillo. Le mani insolitamente dietro la schiena, il ghigno di chi sapeva di aver già fatto tutto quello che serviva per apparecchiare una beffa atroce. L’ennesima per il Barcellona, vittima sacrificale di fronte a qualcosa di più grande. Messi esce camminando da solo, con la stessa faccia di Roma, sulle note di “You’ll never walk alone” è il mondo che gira al contrario in meno di una settimana.

“Abbiamo appreso la lezione dell’Olimpico”, aveva detto Valverde alla vigilia. Non si smette mai di imparare, purtroppo per lui. La sua notte da alter ego di Klopp è riassunta in un cambio sul 3-0: fuori Coutinho, dentro Semedo. Esce un attaccante, entra un difensore: il tentativo estremo di fermare il vento con le mani. Non si può se soffiano in 55mila. Klopp li guarda tutti a fine partita. Sembrano tutti impazziti, tranne lui. Lui lo è stato “matto” prima, quando tutti razionalmente avevano già disdetto progetti di viaggi a Madrid. Ci voleva un genio visionario per portarli al Wanda Metropolitano.

 

“In ogni conflitto le manovre regolari portano allo scontro e quelle imprevedibili alla vittoria”. Lo diceva sempre quel generale cinese. Non ha avuto la fortuna di vedere il corner del 4-0, quello della qualificazione: Trent Alexander Arnold sembra andarsene per lasciare la battuta a Shaqiri, poi ci ripensa e batte un insolito rasoterra al centro dell’area. Dall’altra parte dell’arcobaleno c’è Origi. Manovra imprevedibile, vittoria.

“Se abbiamo una possibilità di farcela è solo perché ci siete voi in campo”, ha detto Klopp ai suoi ragazzi prima di entrare in battaglia. Davanti aveva le “riserve” dei fenomeni che da due anni dominano l’Europa. Non importa: ci sono valori che vanno oltre gli uomini. Forse per questo, l’ex allenatore del Borussia non è mai stato eliminato in un doppio confronto di Champions. In 180 minuti zero gol di Mané, Salah e Firmino. Ci hanno pensato gli attori non protagonisti. Con i gol ma anche con tutto quello che si può dare su un campo di calcio. Da un Fabinho indiavolato a un Henderson commovente. Klopp li abbraccia uno per uno. Sembra loro fratello. Lo è, abbracciato sotto la Kop con loro mentre insieme alla loro gente cantano l’ haka di Anfield.

Non cammineranno soli verso Madrid. Per Klopp sarà la terza finale, dopo averne perse due. Sun Tzu, scansati. L’arte della Kop è riscrivere la storia.

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