Oshadogan, dal golf alla Champions: "Ribelle mai, sempre me stesso"

Lo chiamano ribelle ma lui si dissocia: “Non mi sono mai sentito tale”. Anche se una volta si presentò agli allenamenti vestito da golfista “La Ternana voleva smontarmi, risposi con l’ironia. Qualcuno non capì”. Rivoluzionario, idealista: “Il gruppo prima di tutto. A 19 anni mi scontravo con i tifosi, altri di 30 si nascondevano…”. 

Lettore accanito: “Il mio libro preferito è il Conte di Montecristo, racconta dinamiche dell'uomo molto profonde”. Musicista mancato: “Quand’ero giovane suonavo il violino, ogni tanto lo uso ancora per far ridere i miei figli”.

OSHADOGAN NELLA STORIA

Accento toscano, madre ligure e papà nigeriano, anche se nel 1994 - il giorno di Italia-Nigeria 2-1 ai Mondiali americani - Oshadogan tifava azzurri, casa sua: “Volevo giocare per la Nazionale italiana e ci sono riuscito”. Se avesse fatto un’altra scelta avrebbe rappresentato il paese di suo padre: “Nel ’93 fui convocato dalla Nigeria, ma dissi di no. Sono nato in Italia e sono italiano”

Il suo sogno è diventato realtà, la sua storia è finita in un libro: “Si chiama Black Italians, parla di atleti di colore in maglia azzurra”. Joseph Oshadogan è stato il primo calciatore nero a giocare nell’Italia Under 21 nel 1996: “Io nel calcio, Fiona May nell’atletica, Carlton Myers nel basket. Il mondo e l’Italia stavano cambiando, io ho fatto parte di questo cambiamento”. 

Una rivoluzione a metà: “L’italiano medio non si riconosce in una persona di colore, per loro siamo stranieri, anche se magari parliamo l’italiano meglio di loro”. Un gancio destro al razzismo, Joseph l’ha affrontato a testa alta: “Avevo 20 anni, dopo l’esperienza in Nazionale tornai a Foggia e trovai la scritta ‘negro’ sopra la lavagna, nello spogliatoio. Fu davvero spiacevole. E nel 2019 si parla ancora di queste cose tra l’altro, diamo l’immagine di un paese che non siamo, soprattutto all’estero”

Oshadogan ha smesso di giocare nel 2010, oggi ha 42 anni ed è rimasto nel calcio: “Ho vissuto 11 anni in Polonia, mi occupo di scouting internazionale, viaggio molto tra Europa e Africa. Sto lavorando a diversi progetti”. Non li svela, e noi non indaghiamo, meglio farsi raccontare qualcosa in più sulla sua carriera. Dal Pisa di Anconetani alla Nazionale U21. Una gara contro la Moldavia cambia la sua vita: “Giorni stupendi, un ambiente diverso, un’Italia diversa, Cesare Maldini allenatore”.

Tripletta di Cristiano Lucarelli, quando parla di quei giocatori si emoziona: “Ventola, Fiore, Totti. Lui è sempre stato unico, coi piedi per terra, legatissimo alla famiglia, molto positivo. Qualche anno fa sono andato a trovarlo a Trigoria, è rimasto uguale”. 

LA REGGINA DI 'PAPÀ' FOTI

Un ritiro alla Roma nel ’99 prima di andare alla Reggina: “Guardo la Sud e resto senza parole, mi è rimasta nel cuore”. Come l’accoglienza del presidente Lillo Foti, all’aeroporto di Reggio Calabria, quando Oshadogan arrivò nel “club più forte del mondo”.

Parole sue: “Mi disse proprio così, era un romantico del calcio. Proprio come Franco Sensi o Romeo Anconetani”. Una salvezza e una retroscessione: “C’erano tanti talenti. Penso a Baronio, Pirlo, Mozart, Cozza, Belardi. Foti ci faceva sentire importanti, aveva dei valori. A Reggio siamo sempre scesi in campo con la città e con i tifosi, la prima stagione fu meravigliosa. Nel 2000 ci davano retrocessi a dicembre e arrivammo 12esimi, Foti era il ‘papà’ che portò la squadra alla salvezza”. 

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DESTINAZIONE MONACO

Due anni a Cosenza infine: “Dovevo andare a Valencia, ma mi infortunai al crociato e mi ritrovai lì. Sono stati due anni molto belli, poi la società fallì nel 2003 e rimasi senza squadra. Volevo una nuova chance, il Monaco cercava un difensore centrale…”.

Oui a la France: “Il provino andò bene e mi presero, c’era un grande gruppo, con giocatori assurdi”. Morientes, Prso, Adebayor, Flavio Roma, Giuly, il suo amico Shabani Nonda: “Ci infortunammo nello stesso periodo, Deschamps ci aspettò fino alla fine. Inoltre, durante il recupero, ci allenavamo con la squadra”.

Il Monaco passa i gironi, fa fuori Lokomotiv e Real e si ritrova in semifinale di Champions contro il Chelsea di Ranieri: “Deschamps convocò sia me che Shabani, prima della sfida andammo a farci i capelli. Nonda era in panchina, mentre si stava scaldando gli dissi che avrebbe fatto gol. Era la gara d’andata a Louis II, lui entrò e segnò dopo soli 30 secondi. Al ritorno finì 2-2 e andammo in finale, quando ci penso ho ancora i brividi. L’anno scorso ci siamo rivisti per una reunion, è stato bello”.

Il Monaco perde in finale contro il Porto di Mourinho, Oshadogan resta un altro anno, gioca poco e decide di tornare in Italia alla Ternana. Sembra un nuovo inizio, sarà un incubo fatto di bodyguard e minacce. 

TERNANA, CAOS E MINACCE

Succede di tutto: “Un periodo assurdo, credimi”. L’inizio non è male: “Eravamo una bella squadra, c’erano Kharja, Jimenez, Frick, Candreva, Berni. Arrivavo da una società che giocava in Champions e strinsi un accordo verbale con la Ternana. Se fosse arrivata un’offerta dalla Serie A mi avrebbero lasciato partire”. Oshadogan gioca, Livorno e Ascoli bussano alla porta, chiusa a doppia mandata: “Non mi fecero andar via e finii fuori rosa all'improvviso senza un motivo”.

L’inizio di un incubo: “C’erano dei bodyguard fuori dai cancelli della sede, avevano una lista di persone che non potevano entrare, io ero tra quelle. La società stabiliva le regole”

Il telefono squilla, Joseph trema: “Chiamavano di continuo, volevano che io firmassi la rescissione, che me ne andassi, avevano deciso che non avrei giocato. Ma a me non stava bene, ero un professionista e il Collegio Arbitrale risolse tutto, nonostante le minacce”. Non prima di un’uscita diventata storica. In sala stampa, dopo la risoluzione del suo caso, un giornalista chiede di Oshagodan a Massimo Raggi, ex allenatore della Ternana nel 2006. Lui risponde così: “Penso si sia dato al golf”. 

E Joseph lo spiazza: “Mi piace giocarci, lo faccio tutt’ora, lui rispose in quel modo e io mi presentai agli allenamenti vestito da giocatore di golf. Doveva remare dalla parte della società, fu una scelta infelice”. Metterci la faccia, sempre: “Non ho mai accettato comportamenti sleali, ho sempre difeso il gruppo, non mi sono tenuto dentro nulla”. Un solo rimpianto: “Sarei più diplomatico, ma sempre me stesso”.

Il codice Oshadogan, il centrale che suonava il violino. Ribelle mai, meglio golfista. Per una volta sola. 

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