Un tulipano sul cemento. La via Cruijff: Amsterdam in 14 luoghi di Johan

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Quartiere Betondorp, zona orientale di Amsterdam. Letteralmente “villaggio del cemento”. Quasi un secolo fa, qui è sorto un quartiere residenziale. Costruzioni in calcestruzzo, case basse e attaccate le une alle altre. Tra queste, anche la palazzina di Akkerstraat 32. Due piani, casa e bottega della famiglia Cruijff. La prima abitazione di Johan, fiore cresciuto sul cemento.  Inizia da qui il nostro Cruijff tour: 14 tappe in bicicletta tra i luoghi legati al numero 14 che cambiò il football.

LA PRIMA CASA E CHI CI VIVE OGGI. E UN TUNNEL DOVE TUTTO EBBE INIZIO

Un negozio di frutta e verdura di cui oggi non c’è più traccia. Sulla vetrata a pianterreno, un manifesto della fondazione. Dentro, pagando un affitto di 700 euro, vive una signora di mezz’età con sua figlia. “Non penso che le piaccia il calcio, per lei è un posto come un altro”, racconta il dirimpettaio di Akkerstraat, la “strada della fattoria”. Dal 25 aprile ’47 al 1959, quella fu la casa di Johan.  Al campanello non risponde nessuno. “Io l’ho visto giocare. Proprio là sotto. Tum tum, destro-muro, sinistro- muro. Quando pioveva, passava giornate là sotto”, racconta un signore anziano alzando la voce dall’altro marciapiede.

 

“Là sotto” è un tunnel fra Akkerstraat e Tunbouwstraat. A guardarlo da casa Cruijff sembra una delle tante porte bucate dal 14 durante la carriera. Ma in realtà quella “porta” è stato il suo primo stadio. Là sotto, c’è una porta disegnata col gesso. “C’è sempre stata”, dice una signora. Là sotto, se chiudi gli occhi, vedi un bambino gracile che gioca col muro e con suo fratello Henny. Erano gli anni ’50, i giorni in cui un tulipano biancorosso sbocciava sul cemento.

LA SECONDA CASA E IL SUO NUOVO INQUILINO

1959: Johann è già da un paio d’anni un calciatore dell’Ajax. Non deve fare molta strada per allenarsi. Il campo di allenamento è a poche centinaia di metri.

Può andarci a piedi, a volte lo accompagna la mamma, altre il padre. Fino al 1959: un attacco cardiaco stronca papà Manus. Mamma Nel non ci pensa un secondo: via da Akkerstraat, destinazione Weiderstraat. Sono solo 200 metri, quelli che bastano per mettersi alle spalle il passato. Porta d’ingresso celeste, come nella vecchia casa. Davanti c’è un motorino parcheggiato. Esce un uomo sui sessanta. Si chiama Dijk e fa lavori di restauro in tutte le case di Betondorp. “Imbianchino, idraulico, muratore. Faccio di tutto. Anche Cruijff faceva un po’ di tutto, no?”. Sorride e racconta che vive lì da una decina di anni. Ha una moglie e una passione sfrenata per l’Ajax. “Johan tornava spesso nel quartiere. Qui hanno vissuto i suoi nonni fino alla morte. Era un uomo legatissimo alla famiglia. Come me”. Dijk ama paragonarsi al 14. Gira il motorino e se ne va. Come la Cruijff turn, direbbe lui.

IL CAMPO DELLA FONDAZIONE CRUIJFF A BETONDORP

Giriamo la bici e in poche pedalate siamo a Onderlangs 21. C’è un campo in erba sintetica inaugurato nel giugno 2014 da Johan. Le porte sono arancioni, in alto troneggia un cartello con 14 regole fissate. La prima invita a “giocare di squadra”, l’ultima esorta alla “creatività”. In sostanza, il manifesto di ciò che è stato Cruijff: un eccezionale frontman di un’orchestra sbalorditiva. Quel campo è uno dei 230 playground sparsi nel mondo dalla fondazione. Hanno tutti quella scritta in alto. La stella polare di piccoli e grandi sognatori.

 

 

LA VECCHIA SCUOLA DI JOHAN NON C’È PIÙ

La quarta tappa è un edificio poco amato dal “profeta”. La scuola fu il primo grande dribbling di Cruijff. “Potrebbe impegnarsi di più”, dicevano gli insegnanti. Quelle ore racchiuse fra due campanelle erano tempo sottratto al suo sogno. Quando gli chiesero di raccontare una favola, descrisse una partita dell’Ajax.  Della Groen van Prinstererschool oggi resta solo la struttura. Dal 2013 non ci sono più bidelli né insegnanti. Dalle finestrelle quadrate, spuntano le teste di giovani impiegati al lavoro negli uffici. Sul lato opposto della strada, scorre il canale. Quello non è mai cambiato. Continua a scorrere come nel ’59, quando Johan lasciò la carriera scolastica. Per scelta e per necessità: il giorno del diploma elementare fu lo stesso dell’infarto di suo padre. Era tempo di smettere di guardare la finestra. L’acqua del canale scorre in direzione lago. Ad Amsterdam si chiama De Meer. Nel mondo del calcio, quelle sei lettere significano Ajax. Da lì sono cinque minuti in bici.

 

BENVENUTI A DE MEER: MURALES, RICORDI E UNA STRANA TOPONOMASTICA

“Sorry. Do you know where Esplanade De Meer is?”. “Easy. Exactly, in front of you”. Basta alzare gli occhi. Basta guardare un palazzo in mattoni arancioni. Un condominio che apre il sipario sul quartiere storico dell’Ajax. Sulla fiancata di quel palazzo c’è un murales alto 13 metri e largo 8. L’ha dipinto l’artista brasiliano Paulo Consentino in undici giorni, aiutato da writers locali. È una sorta di Monna Lisa senza teca, un capolavoro di colori ed empatia. Una macchina paziente aspetta il selfie di un turista all’incrocio fra Wembleylann e Anfieldroad. Si chiamano proprio così, coi nomi degli stadi in cui l’Ajax ha creato la sua leggenda. Anche i ponti hanno i nomi dei giocatori: Cruijffburg è quello con la vista migliore. Era così anche in campo.

LO STADIO DEMOLITO E UN POSTINO A METÀ CAMPO

Il quartiere Watergraafsmeer oggi non ospita più lo Stadion de Meer. È stato la casa dell’Ajax dal ’34 al ’96. Lì Cruijff segnò il suo primo gol casalingo contro il Psv (il primo in assoluto lo segnò a Groningen). È stato demolito nel ‘98 per fronteggiare l’emergenza abitativa. Prima di essere buttato giù, fu bruciato per tre quarti nella notte d’inaugurazione dell’Amsterdam ArenA. Un paradosso per uno stadio costruito sull’acqua. De Meer significa “sul lago”. E ancor più paradossale che quella notte i pompieri non trovassero acqua per spegnere l’incendio. Questione di mesi e gli ultimi brandelli furono fatti brillare. Lì nasceva e moriva il calcio totale. “E qui hanno disegnato la metà campo, ma in realtà sarebbe più in là, dentro al palazzo”, indica Ali, postino della zona. Il suo dito punta una sfera infossata nel terreno. Ci mette un piede sopra. È un immigrato marocchino di lungo corso, ha visto gli ultimi anni dell’Ajax qui dentro. “Cruijff non l’ho mai visto giocare dal vivo, ma vivendo qui l’ho respirato. Tu sei italiano? Ah, Luca Vialli… Che giocatore!”. Suona due volte il clacson del motorino e se ne va. È tempo di lasciare De Meer e spostarsi a nord.

TRANSVAALPLEIN, DOVE VIVEVANO GLI ALTRI

Quartiere ebraico, luogo gradito ai giocatori dell’Ajax. Qui avevano casa Keizel e Suurbier, lì si giocava a pallone per strada come in poche altre zone della città. All’inizio degli anni ’60, prima di allenarsi al De Meer, si giocava lì. Sull’asfalto, imparando a non cadere. Le fughe dai contatti, le finte, i dribbling, sono nati in quel laboratorio a cielo aperto.

 

 

ZONA EST: L’EREDITÀ RACCHIUSA IN MENO DI UN CHILOMETRO

Pedalando attraverso ponti e Sarphatipark, si arriva a un complesso sportivo nuovissimo. È di proprietà dell’AVV Swift, club dilettantistico con una storia ultracentenaria e una batteria di campi curati in modo maniacale. Su uno di questi, per un po’ - all’inizio degli anni ’80 - si sono alldnati insieme un Cruijff a fine carriera e un giovanissimo Marco Van Basten. Staffetta fra leggende. Poco dopo Johan avrebbe allenato il Cigno di Utrecht. Un rapporto di amore-odio con i guai fisici di Van Basten al centro di ogni discussione. Il ragazzo di Akkerstraat era nato con una caviglia sformata che gli consentì di evitare la leva militare. Non fu mai un ostacolo sulla via della gloria. Quella di Van Basten fu rovinata da infortuni e interventi sbagliati.

 

Mezzo chilometro più in là, c’è lo stadio Olimpico. È ancora in piedi, nonostante non sia più utilizzato dal ’96. Una petizione cittadina ne ha impedito la demolizione. Stanno girando una pubblicità. Sarebbe inaccessibile, ma un simpatico operaio apre il cancello. “Just a minute”, si raccomanda. Sessanta secondi per tornare al 7 dicembre ’66: Ajax-Liverpool 5-1, il giorno in cui il mondo scoprì il calcio totale e Johan Cruijff. Lì dentro i biancorossi hanno sfidato l’Europa del calcio per altri trent’anni. E in quello stadio vinsero anche una Coppa Uefa. Era il 13 maggio del 1992, l’avversario era il Torino di Emiliano Mondonico. Entrando, sulla destra, c’è ancora il fantasma di quella sedia alzata al cielo di Amsterdam. La traversa colpita da Sordo chissà che fine ha fatto.

 

Nel perimetro dello stadio ci sono gli uffici della fondazione Cruijff. Il quartier generale è al civico 5 della piazza, ma presto traslocherà. All’interno un gruppo di 14 persone – non a caso - lavora per portare avanti l’eredità sociale dell’uomo che la fondò nel ’97. Programmi di supporto per sport e disabilità, diffusione di campi sportivi e organizzazione di eventi di beneficienza sono le principali attività di un’associazione che si occupa anche di aiutare nel percorso scolastico i ragazzi più bisognosi.

 

 

Quando si trasferiranno nel futuro ufficio, avranno sempre davanti agli occhi una statua che raffigura il loro fondatore. Una scultura in bronzo che raffigura il rigore subito da Cruijff nella finale di Coppa del Mondo del ’74 in Germania. Gli olandesi persero quella partita 2-1, dopo averla dominata, ma hanno voluto comunque rendere immortale il momento in cui il tedesco Hoeness fu costretto a stendere un numero 14 imprendibile. Una medaglia d’argento scolpita nel bronzo. Nothing Gold Can Stay, scriveva negli anni ’20 il poeta americano Robert Frost. Niente che sia d’oro può durare. Forse le parole migliori, per quanto involontarie, per raccontare l’eredità storica di quell’Olanda splendida e incompiuta.

 

L’ULTIMA TAPPA: JOHAN CRUIJFF ARENA

Resta un ultimo posto da visitare. È distante nove chilometri dallo stadio olimpico e nel ’96 fu costruito pensando a un’astronave. Prima portava il nome della città, ma da quando Johan è morto, ha preso il nome del tulipano cresciuto sul cemento di Betondorp. Cruijff è stampato su ogni lato dell’impianto. Sulla facciata esterna, sulle pareti interne, appare e scompare mentre si prendono le scale mobili. L’ultima immagine, salendo all’ultimo piano, sembra un’apparizione celeste. Il segno di Cruijff prima di entrare in un luogo sacro.

È lo stadio dedicato a un ragazzo che prese il 14 forse per un puro caso. Forse per una maglia dimenticata, forse per mettersi dalla parte degli esclusi. Non lo sapremo mai, ma possiamo posare la bici. Il viaggio finisce, la leggenda del numero 14 che vinse tre palloni d’oro partendo da un fruttivendolo continua.

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