Da muratore ad allenatore in Serie A. Joe Armas: “Lavoravo 15 ore al giorno. Ora sogno la Champions"

“Anche quando posizionavo i mattoni pensavo agli schemi di gioco”. Di solito si parla di vocazione solo in ambito religioso. Ma se a 17 anni giochi nel vivaio migliore del Paese e decidi di lasciare tutto per andare ad allenare, perché non si può parlare di vocazione? È una delle prime cose che ci è venuta in mente sentendo la storia di Joe Armas. In giro per il mondo, della promozione del suo Imbabura nella massima serie dell’Ecuador, ha sorpreso più il fattore anni, 27, rispetto a quello che ha vissuto.

"Mollo tutto e faccio l'allenatore"

La storia parte dalle giovanili dell’LDU, una delle squadre ecuadoregne più blasonate. “Sono arrivato lì quando avevo 9 anni. Facevo da raccattapalle alla prima squadra. Quanti insulti dagli allenatori per passare prima la palla [ride, ndr]”. A 17 anni però abbandona il calcio giocato: “Non ero più felice. Volevo troppo fare l’allenatore”. Si iscrive al corso in Ecuador. “Lì ho scoperto la mia vera passione, ero sempre il primo ad arrivare”. 

 

L'accademia del Real e gli allenamenti di Guti

Finisce le scuole ordinarie e decide di intraprendere a tutti gli effetti questa strada. Anche se “i miei genitori mi dicevano che era meglio studiare qualcos’altro piuttosto che fare l’allenatore”. Parole che non hanno effetto, deve seguire la sua vocazione. Si diploma come allenatore in Ecuador, poi anche in Messico fino al trasferimento in Spagna. “Ho seguito un corso da allenatore e uno da direttore sportivo. Lì ho fatto tirocini con club importanti come Athletic Bilbao, PSV e AZ”. Ma quelli con Real Madrid e Ajax lo segnano di più. “È stato difficile rendermi conto che ero lì. Il centro sportivo del Real è impressionante, gli allenamenti di Guti erano fantastici. Anche l’Ajax mi ha influenzato molto, rispecchia la mia visione del calcio. Poi uno dei miei idoli è Cruijff”. 

La vita da muratore precario

La sua famiglia però non può mantenerlo anche in Europa. “Vivevo a casa di mia zia a Madrid e suo marito faceva il muratore. Quando avevo le vacanze mi portava a lavorare con lui. Mi pagava 50 euro al giorno”. Mattoni come giocatori, palazzi come situazioni di gioco. “Uscivamo alle 5 del mattino e tornavamo a casa alle 20. Mangiavamo direttamente lì a pranzo perché non avevamo tempo e soldi per andare fuori. È stata un’esperienza molto formativa, mi ha aiutato a valorizzare gli studi che stavo facendo”.

 

Quando sono finiti, torna in Ecuador. “Sapevo di essere preparato, mi serviva un’opportunità per dimostrarlo. Ho mandato curriculum a tutti i club della Primera, Segunda, Tercera Division e alcuni della Cuarta, che sono quasi amatori. Allo stesso club inviavo il curriculum dappertutto: mail, Instagram, Facebook, Whatsapp”. Ma nessuno rispondeva. “Ho deciso quindi di girare l’Ecuador di città in città per consegnarli di persona. Tutti me lo accettavano ma nessuno richiamava”. Un mese in Guatemala, senza fortune, per tornare ancora a casa. “Ero disperato, ho scritto anche che potevo lavorare senza che mi pagassero”. 

Joe Armas, el Profesor

Dopo centinaia di curriculum inviati e consegnati, arriva la chiamata dell’Imbabura, allora in Serie C. “Una delle gioie più grandi della mia vita. Non sono riuscito a dormire quella notte”. Fino a questo punto sembra aver vissuto 50 anni, eppure ne ha solo 25. Era più giovane di un terzo della rosa. Mi guardavano storto. Ho fatto capire subito i tre punti fondamentali: la mia visione del calcio, come ci alleniamo per portarla in campo e di giudicarmi solo per quello che facevo”. Nessun obbligo. “Devono essere convinti di quello che fanno”. Risultato? Oggi lo chiamano tutti “El Profesor”.

Prima conquista la B e poi la promozione di del suo Imbabura nella massima serie ecuadoregna, 13 anni dopo l’ultima volta. “È stato come un sogno diventato realtà”. Nell’ultima partita della stagione piangeva a dirotto: “Erano lacrime di gioia, ci ho messo qualche ora a capire che eravamo promossi”.

 

 

A lezione di calcio, anche da De Zerbi

Quando ci spiega il suo stile di gioco, l’intervista si trasforma in una lezione di calcio. Ci sediamo per un attimo tra i banchi, come tante volte ha fatto lui. “Mi piace avere molto il possesso della palla. Non facciamo mai allenamenti senza palloni. Preferisco perdere ma che la squadra giochi come lavoriamo durante la settimana”. Si parla di De Zerbi come uno degli allenatori più rivoluzionari per il futuro, ma nell’altra parte del mondo già lo stanno prendendo d’esempio. “Mi piacerebbe conoscerlo un giorno. Lo seguivo già nel Sassuolo. Anche allo Shakhtar ha dominato il campionato con uno stile che non si era mai visto in Ucraina. Ora al Brighton lo stanno conoscendo tutti e ha la stessa filosofia degli anni passati. Ho imparato molto da lui”. 

La videochiamata si chiude con gli obiettivi per il futuro. “Ho due sogni che mi fanno alzare ogni giorno: allenare in Champions, l’inno mi mette i brividi, e vincere un Mondiale. Do tutto per realizzarli”. I sogni di un bambino, ma li racconta con una spaventosa consapevolezza convincendo anche te a credere che ci riuscirà. Dalle parole, dai gesti e dai suoi occhi viene sempre fuori la tenacia. Sembra ancora l’adolescente che per allenare doveva spalmare il cemento. Ma Joe Armas ha dimostrato che può essere molto di più.

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