Dall'apice al crollo: la storia di Mancini in Nazionale

Roberto Mancini non è più il commissario tecnico della Nazionale Italiana. Come un fulmine a ciel sereno, la FIGC si ritrova a fare i conti con un terremoto inaspettato alla vigilia di Ferragosto, soprattutto nelle tempistiche. Era il 4 agosto, infatti, quando la Federazione comunicava la nomina di Mancini coordinatore delle nazionali, da quella maggiore all'Under 20. 

Un riassetto che sembrava un atto di forza nei confronti del CT, invece la rivoluzione non è stata ben gradita dall'allenatore di Jesi. I cambiamenti radicali, infatti, hanno investito anche il suo staff, orfano di Evani, Lombardo e Nuciari. Quello è stato il punto di non ritorno di una storia chiusa dopo cinque anni vissuti tra le montagne russe.

  

Dalla ricostruzione all'Europeo

Era il 14 maggio 2018 quando la FIGC nominava Mancini nuovo commissario tecnico, raccogliendo una pesante eredità. Era un'Italia reduce dalla manca (e storica) qualificazione ai Mondiali di Russia 2018, con l'amaro play-off perso con la Svezia e chiuso con le lacrime di Buffon e compagni a San Siro.

La parola d'ordine è ricostruire e Mancini lo fa con un profondo ricambio generazionale. Con lui sulla panchina della Nazionale hanno debuttato in azzurro 57 giocatori: da Matteo Politano, nell'amichevole contro l'Arabia Saudita datata 28 maggio 2018, ad Alessandro Buongiorno, nella finale del 3° posto dell'ultima Nations League, lo scorso 18 giugno.

 

 

"Spero di essere un CT che riuscirà a riportare l'Italia alla vittoria di un trofeo importante" disse il giorno della sua presentazione. Un obiettivo ambizioso, raggiunto tre anni dopo a Euro 2020. Un cammino unico e indimenticabile, l'apice della sua gestione con un trofeo che mancava dal 1968. Il tutto a suon di risultati e record. Già perché l'Italia tra il 2018 e il 2021 è rimasta imbattuta per 37 partite, la serie più lunga senza sconfitte nella storia delle nazionali.

Il lento declino

Dall'apice quell'11 luglio 2021 è iniziato un lento declino di due anni, segnato dalla seconda qualificazione consecutiva non centrata ai Mondiali. Prima un girone alla portata chiuso alle spalle della Svizzera (quel rigore sbagliato da Jorginho all'Olimpico contro gli elvetici...), poi il ko ai play-off contro la Macedonia del Nord a Palermo. "Vogliamo andare in Qatar per vincere il Mondiale" aveva detto Mancini alla vigilia di quel match. Un proclamo che è tornato indietro come un boomerang. 

 

 

L'allenatore definì la sconfitta del Barbera "la più grande delusione" della sua vita, ma nonostante ciò rilanciò le sue ambizioni sulla panchina dell'Italia con un nuovo obiettivo: i Mondiali 2026. La corsa, però, è durata poco. Mancini ha deciso di dire addio una domenica di estate inoltrata, con la Nazionale impegnata nelle qualificazioni a Euro 2024 (a proposito, tra meno di un mese c'è Macedonia-Italia) e un futuro che adesso assomiglia a un rebus. La certezza è una sola: su quella panchina non ci sarà più Roberto Mancini, l'uomo che ha scritto una delle pagine di storia più importanti della nostra Nazionale. 

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