50 anni da “ItaliaGermaniaQuattroATre”. Burgnich: “Una liberazione”
"ItaliaGermaniaQuattroATre" è una parola sola. Un’espressione che portiamo avanti da mezzo secolo. Il risultato del 17 giugno 1970, di un pomeriggio messicano vissuto col fuso orario. Fu una notte e un’alba. Fu la partita del secolo, ma in realtà non fu neanche una partita. “Per noi era molto di più. I tedeschi erano stati nelle nostre case fino al ’45. Quella era la partita di un intero popolo”. Tarcisio Burgnich oggi ha 81 anni e vive a Viareggio. Quel giorno allo stadio Azteca fu difensore per 119 minuti e attaccante per 30 secondi. “Anche per me non poteva essere un giorno normale. E infatti non lo fu”, racconta a gianlucadimarzio.com.
Il 25 aprile del ’45 aveva festeggiato il sesto compleanno, in Friuli. Il giorno della Liberazione, che poi fu tutt’altro che un giorno solo. Ma la Storia ha bisogno di date certe e il calcio sa essere più preciso della vita: 17 giugno 1970, semifinale di Coppa del Mondo. “Italia contro Germania era il momento che aspettavano tutti. Gli anni della guerra vivevano nei racconti delle nostre famiglie. Nelle città e nelle vite da ricostruire. In quella semifinale c’era in palio molto più che una vittoria sul campo”. Trenta milioni di italiani si misero davanti al televisore per guardarla, senza contare chi era emigrato proprio in Germania. Era un mercoledì, il giorno successivo la campanella in fabbrica avrebbe suonato in ogni caso. Tutti svegli, a lungo con fatica.
IL RECUPERO INFINITO
Sì perché, al netto della retorica, Italia-Germania fu a lungo una brutta partita. “E l’avevamo praticamente portata a casa con un lampo di Boninsegna”, ricorda Burgnich. Era bastata una rete all’ottavo del primo tempo. Rivera al posto di Mazzola per la staffetta decisa da Valcareggi a inizio secondo tempo e una ripresa in trincea. Aveva funzionato. Conservativi, “la cassa di risparmio” ci definivano i francesi. “Quanto basta”, direbbero nelle ricette. Ma per qualcuno non bastava. “Eh, quell’arbitro non fischiava mai la fine”.
Non è un modo per dire che il tempo sembrava non passare mai. Il signor Arturo Yamasaki, nato in Perù ma naturalizzato messicano aveva dato un recupero rivoluzionario. Non c’erano cartelli luminosi o segnalazioni a un quarto uomo che peraltro non esisteva. Di solito al 90’ il signore in nero guardava l’orologio e fischiava tre volte. Quel giorno non lo fece, nessuno seppe mai perché. Qualcuno ha ipotizzato che lo avesse fatto per favorire il suo maestro, il signor De Leo, arbitro di passaporto messicano, ma di origini italiane. Senza l’Italia in finale – a detta di molti - sarebbe stato lui a dirigere Brasile-Germania. “Continuammo a giocare fino al 92’ e oltre. E arrivò la beffa”. Un recupero di 2 minuti di allora ne vale 12 di oggi. Il pareggio ebbe un protagonista insospettabile.
IL PAREGGIO DI SCHNELLINGER
L’orco di quella favola spezzata fu un ragazzo biondo che passava di là. Un difensore che giocava nel Milan e che ancora oggi vive in Italia: Karl Heinz Schnellinger, un gol in 47 partite con la maglia della nazionale tedesca. “Quello”. Senza quella spaccata, oggi non saremmo a parlare di partita del secolo. E fortunatamente nessuna mente illuminata aveva ancora partorito l’idea dei golden gol che ci fecero malissimo con Francia e Corea negli anni 2000. “Ci rimboccammo le maniche, iniziavano i supplementari”.
I 30 MINUTI CHE FECERO LA STORIA
Burgnich giocava nell’Inter all’epoca. Schnellinger - durante i derby - lo vedeva due volte: all’ingresso delle squadre e al momento dei saluti finali. Il calcio totale doveva ancora venire. Il mondo viveva in blocchi. Di qua o di là dal muro, di qua o di là dalla metà campo. Burgnich, come Schnellinger, era uno di quelli sempre di qua. “C’era da stare in marcatura, mica da andare di là”, sintetizza tra il friulano e il faceto. Posizioni sacre, ma quei supplementari furono la liberazione dalla razionalità. Andammo sotto per un pasticcio tra Poletti e Albertosi. Gol di rapina di Gerd Muller, “che era scaltro. Sembrava più un italiano che un tedesco per come si muoveva in area. E poi segnai io. Ma me lo regalarono loro”.
Stessa porta di Schnellinger, stesso destino, circa un quarto d’ora dopo, sosta compresa. “Rivera lanciò in avanti su punizione. Il difensore tedesco non riuscì a rinviare e mi ritrovai addosso la palla”. Da milioni di finestre partì il grido “tira!”. Burgnich lo fece, più forte possibile. Di sinistro, il piede debole. Fu la sassata del 2-2. “Esultai poco ma non per la tensione. Proprio non ero abituato a fare gol. E poi non sono uno da tante scene”. L’ultimo gol in nazionale lo aveva segnato a San Siro contro l’Austria nel ’66, prima di un mondiale fallimentare. Quello dell’Azteca fu l’ultimo in azzurro. “Riva e Rivera mi hanno preso in giro per anni. Peccato che viviamo lontani e ho poche occasioni di sentirli”.
Gigi e Gianni fecero gli altri due, intervallati dal pareggio provvisorio tedesco. Sul gol di Rivera del 4-3, il telecronista Nando Martellini ringraziò i calciatori per le emozioni vissute. Una frase di un candore e di un’eleganza che il tempo non scalfisce. Cose che restano, come la riservatezza di Tarcisio Burgnich, che fedele alla regola non scritta dello spogliatoio, dice solo che “dopo facemmo un po’ di festa. Eravamo consapevoli di avere regalato una gioia incredibile a tutto il nostro popolo”. Gli italiani spensero il bianco e nero dei loro televisori e si buttarono per strada. Il rumore della notte del 17 giugno fu più forte di ogni ricordo. Fu una strombazzata di clacson su anni di occupazione. L’orgoglio di averli battuti, una liberazione. Col tempo sarebbe diventata una piacevole abitudine, almeno al mondiale.
IL 17 GIUGNO OGGI
“Poi perdemmo la finale col Brasile. Pelé faceva con i piedi cose che non riesco a fare con le mani”. Peccato, ma Brasile-Italia 4-1 è solo un risultato. “ItaliaGermaniaQuattroATre” è una parola che tramanderemo. Mezzo secolo dopo, il 17 giugno ospita una finale di Coppa Italia tra due squadre in cui Burgnich ha giocato: “La guarderò certo. Chi vince? Secondo me la Juve è più forte, c’è ancora distanza con le altre. Anche se Gattuso mi piace tantissimo, Sarri ha una rosa molto più ampia. Di sicuro la vedrò”. Per 90 minuti, senza possibilità di riviverne 120 come all’Azteca. Regole nuove e provvisorie. Non sarà quella liberazione e non ci saranno notti di cortei. Ma avremo comunque la sensazione di aver battuto chi è entrato nelle nostre case. E nessuno vuole giocare supplementari. Ci bastano quelli di un 17 giugno diventato una sola parola.