Spagnoli: "Il Cervia, la Juventus e l'Imolese: vi racconto tutto"

strong>“Il giorno in cui ci accorgeremo di essere come gli altri, smetteremo di fare calcio”. Entri nel suo ufficio e a darti il benvenuto c’è questa frase.

Che Lorenzo Spagnoli sia sempre stato diverso dagli altri beh, è la sua storia a dirlo. Lui, uno dei tre vincitori del reality show sul calcio per eccellenza. Campioni, il sogno. Il primo programma a entrare negli spogliatoi di una squadra, a respirarne ansie, gioie, dolori.

A catturare le sfuriate di un Ciccio Graziani: “Che però era così per davvero, non è mai stato un personaggio costruito” Ci racconta in esclusiva Lorenzo. I due si conoscono a Montevarchi, quando Ciccio subentra a stagione in corso: “Lui, campione del mondo – ricorda Lorenzo – lo aspettavamo tutti con trepidazione.

Il primo giorno arriva e si presenta con un sacco pieno di magliette. T-shirt bianche con la bandiera della Scozia perché – ci dice – loro davano la vita in battaglia. E voleva che la indossassimo sempre, tutte le domeniche. Guai se non lo facevi…”.




All’intervallo di una partita, un dirigente del Montevarchi entra urlando nello spogliatoio. Non gli va bene come gioca la squadra, se la prende con Graziani.

Morale della favola? “Ci abbiamo messo dieci minuti a tenerlo, era furioso”. Finisce la stagione, il telefonino squilla: “Vieni con me a Cervia?” gli domanda Ciccio: “Ma mister, gioca in eccellenza…”, risponde Lorenzo, niente affatto convinto della proposta.

Troppa, però, la stima nei suoi confronti per rifiutare: “Mi ha insegnato tanto, in campo ma soprattutto fuori – ricorda Lorenzo – il suo pregio più grande era che ti faceva sentire sempre più forte degli avversari.

Il Vodafone Cervia è stata un’esperienza di vita bellissima, mi ha fatto conoscere la Serie A e molti personaggi dello spettacolo. A livello calcistico, tuttavia, mi ha un po’ penalizzato. Ci ha attaccato addosso l’etichetta di chi giocava a calcio solo per andare in tv”.

Già, l’ondata di popolarità è incredibile. Chissà quanti followers Lorenzo e i suoi compagni avrebbero avuto oggi su Instagram: “Mi resi conto della fama solo quando i figli di Baggio chiesero la mia maglia. Ma come – mi chiedevo – lui? Il mio idolo? Mi sembrava di sognare”.

Nell’ufficio di Lorenzo c’è anche una maglia di Roberto. Quella del Brescia, con tanto di autografo e targhetta sulla manica: “Milan-Brescia, 16.05.2004, Grazie Roby!”.

Già, l’ultima che ha indossato nel giorno del suo addio al calcio: “Mi ha sempre ispirato, dentro al campo ma anche come ha gestito il suo personaggio una volta fuori.

Ho avuto anche l’onore di allenarmi con lui”. Nel suo cellulare custodisce gelosamente un video in cui si vede Baggio calciare delle punizioni.

Quello per cui Lorenzo si è sempre distinto, il suo punto di forza: “Ma lui le calcia meglio – scherza – mi sono messo lì a riprenderlo. Pensavo di fare più video, difficile azzeccare al primo tentativo. La buttò subito sotto l’incrocio”.

Baggio che gli chiede due maglie per i suoi bambini, dunque. Ma la consapevolezza di quanto il Cervia fosse seguito Lorenzo ce l’ha un pomeriggio, a Veronello: “Dovevamo giocare un’amichevole contro il Chievo – racconta – arriviamo al centro sportivo e vediamo duemila o tremila persone ad aspettare.

‘Mamma mia quanta gente viene a vedere un allenamento di Serie A’ ci dicevamo stupiti. Poi scendiamo dal pullman e veniamo travolti dal loro affetto. Ci hanno fatto risalire sopra”.

Altra dimostrazione a Monza nel giorno della finale del reality: “Stadio pieno, il programma fa il 47% di share. In pratica una famiglia su due era davanti alla tv a guardarci. Pazzesco”.

Il mese di precampionato con la Juventus: “Io dentro ad un film”

Da Monza Lorenzo Spagnoli esce con una maglia della Juventus in mano. Già, fra i vincitori del programma c’è anche lui: “Tutti mi dicono che ho vinto l’unico reality show senza un montepremi.

E’ vero, non ho portato a casa un euro. Ma in tutti questi anni li avrei già finiti. Invece ciò che ho vissuto no, quello me lo porterò nella tomba”. Già, perché Lorenzo vince un mese di ritiro con la Juventus.

Stagione 2005-2006, quella che porterà al Mondiale in Germania. Lo spogliatoio bianconero pare Hollywood: “Nedved, Camoranesi, Buffon, Thuram, Trezeguet, Ibrahimovic… mi sentivo in un film. Per i primi tre giorni non ci ho capito niente”.

A partire dal viaggio in macchina verso Torino, dove il giorno successivo avrebbe svolto le visite mediche di rito: “Ero da solo, davanti agli occhi scorreva tutta la mia vita. Io per la prima volta al vecchio Comunale a vedere una partita della Juve, contro il Psg.

‘Che cosa dico a quelli’ Mi chiedo”. Poi Lorenzo arriva al Principi di Piemonte, dove ha una stanza tutta per sé: “Entro nell’albergo e vedo Tudor. Alcuni giocatori già stavano arrivando. Io aspetto Miccoli, l’unico che conoscevo un po’. Non sapevo nemmeno che strada fare per andare al centro sportivo, avevo bisogno di lui. Si fanno le due di notte, le tre… lui ancora non arriva.

Non riuscivo a prendere sonno e ad un certo punto sento bussare alla porta: ‘Dai vestiti, ti porto in un locale che conosco’ Mi dice scherzando”. La mattina seguente andiamo al campo insieme. Parcheggio l’auto e dallo specchietto vedo Del Piero che mi viene incontro. Panico, non so se scendere e salutarlo o andare via. Alla fine opto per la prima e lui è stato carinissimo. Mi ha accolto”.

Con il capitano il rapporto è speciale: “Durante la prima partitella che feci ricordo che ero in squadra con Ibrahimovic. Lui parte, li scarta tutti, mette a sedere Buffon e segna. Io esulto come un tifoso qualunque.

In fondo lo sono sempre stato, in quel momento sentivo di rappresentare il popolo bianconero in campo”. Da ricordare anche l’ultima amichevole giocata con la Juve prima di salutare quel sogno: “Dopo quella partita contro il Cesena trovai il coraggio di chiedere a Del Piero di autografarmi una foto che mi era stata consegnata da un tifoso. Io esausto a terra, lui in piedi che mi tira su.

Dovevamo fare il test dei tremila metri, una giornataccia”. Nell’ufficio di Lorenzo, oggi, c’è anche questa perla. Incorniciata, con tanto di dedica: ‘A Lorenzo con stima e affetto. Ma quanto pesi?”. “Me lo scrisse in camera sua.

Eravamo seduti sul suo letto, passammo una bella mezz’oretta a discutere. Mi chiese quali fossero i miei progetti futuri, mi raccontò cosa vuol dire essere Del Piero”. Lorenzo Spagnoli un gol con la Juventus lo ha anche fatto. Amichevole contro il Pavia, lui si conquista un rigore e lo calcia. Nei festeggiamenti gli corrono incontro Tacchinardi, Thuram e Mutu.

Capello sorride divertito dalla panchina. In albergo, ad aspettarlo, c’è Alex: “Si era fatto male e quella partita non la giocò – ricorda Lorenzo – quando arrivai, venne da me e mi fece i complimenti per il mio primo gol in bianconero: ‘Ma dai, su rigore…’ Replico un po’ imbarazzato: ‘E allora? I rigori vanno saputi segnare” La sua risposta. Un mostro di umiltà e umanità”.

Di quella esperienza Lorenzo conserva tutto nel cuore, nei ricordi. Anche nella maglietta bianco e nera che è esposta nel suo ufficio accanto ad una maglia numero sette. Quello con cui giocava papà Alfio, quello di… Cristiano Ronaldo: “Io sono stato uno di quelli che ha contribuito all’acquisto di CR7” Racconta scherzando Lorenzo. Sì, c’era anche lui allo Stadium lo scorso 3 aprile, ad applaudire la rovesciata del portoghese: “Ero con mio figlio, dietro di me avevo Claudio Chiellini, il fratello di Giorgio. Impossibile rimanere indifferenti davanti ad un gesto del genere. Applaudire venne a tutti istintivo”.

L’Imolese, la nuova vita di Spagnoli: “Io, il Pres. Vi racconto tutto”

Accanto alla maglia firmata da Baggio e a quella bianconera autografata da tutti, ecco la divisa dell’Imolese. Lorenzo Spagnoli ha soltanto 38 anni, ma è già diventato presidente.

Con grandi risultati anche, come dimostra la scalata dall’eccellenza alla Serie C in appena sei anni. Nel retro, sopra il numero, una scritta che dice tutto. ‘Mai arrendersi’. Un valore che ha voluto infondere a tutti i suoi giocatori: “Perché me lo ha sempre trasmesso mio papà”.

Già, Alfio è venuto a mancare un anno fa: “Ma ha lottato fino all’ultimo – racconta Lorenzo con orgoglio e con gli occhi commossi a fissare la maglia numero sette davanti a lui – mi ha dimostrato con i fatti quello che mi ha sempre voluto dire.

Con fatica, anche stando in silenzio, anche quando non ce la faceva più”. Lo spiega battendo deciso il pugno sulla sua scrivania: “Cosa mi disse papà quando ho scelto di diventare presidente? ‘Tu sei pazzo’. Questa fu più o meno la sua reazione”.

Sì, perché nel frattempo Lorenzo giocava ed era anche il capitano: “Poi misi per la prima volta piede al Centro Tecnico Bacchilega e rimasi a bocca aperta: ‘Cavolo, quante cose si potrebbero fare qui’ dissi fra me e me.

Di lì è un attimo: Lorenzo e la sua compagna Fiorella, l’anima imprenditoriale della famiglia, studiano la situazione. Rilevano il 60% delle quote: “La società stava fallendo, io e i miei compagni non vedevamo più i rimborsi” e riescono di fatto a salvare l’Imolese da una situazione critica.

La stagione seguente è uno show, che culmina con una promozione in D che mancava da tanto: “A quel punto mi sono accorto che come calciatore stavo diventando vecchio. Invece come Presidente sarei stato giovanissimo – scherza Lorenzo – e allora decisi di appendere le scarpette al chiodo e di acquistare il restante 40% della società”.

I risultati, appunto, sono sotto gli occhi di tutti. “Che spettacolo, grazie presidente” Recita uno striscione che sporge dalla tribuna del campo d’allenamento: “Qui, quando sono arrivato io, non c’era tutto questo. Poi abbiamo costruito i sintetici per il settore giovanile, gli uffici, il ristorante. Il prossimo obiettivo? Costruire lo stadio all’interno del centro sportivo. Così diventerebbe la nostra casa a tutti gli effetti, sarebbe una novità assoluta per tutto il calcio italiano”.

Lorenzo Spagnoli è elegante tanto quanto lo era in mezzo al campo. Giacca, camicia, ciuffo sempre ben pettinato: “Mi piace la figura del presidente signorile, quello che risolve i problemi con una semplice stretta di mano”. La sveglia suona presto ogni giorno. La mattina Lorenzo accompagna i figli a scuola, poi subito al centro sportivo, dove rimane fino a tarda serata: “E’ una mentalità che voglio trasmettere a tutto l’ambiente – spiega – qui all’Imolese non si viene soltanto per timbrare il cartellino. Mi piace vedere tutto, dai giocatori ai magazzinieri. Anche la mia compagna passa molto tempo qui. Non si perde mai una partita, l’ho fatta appassionare al calcio”. Il marchio Imolese stampato su ogni vetrata, così come il motto del club: “Be different”. La diversità più evidente sta nella giovinezza del corpo dirigenziale. Dal presidente al direttore sportivo, passando per l’allenatore. Mister Dionisi , 38 anni e all’esperienza fin qui più importante della sua carriera: “Con una figura più vecchia avremmo rischiato di crearci delle difficoltà. L’anno scorso lo abbiamo affrontato e il suo Firenzuola era un inno al bel calcio. Mi ha colpito la sua mente libera. La sua spontaneità. E’ leale, vicino ai miei valori. Potremmo essere tranquillamente amici e fare delle serate insieme”.

E i risultati stanno ripagando la scelta fatta. Perché l’Imolese, da neopromossa e in serie C quasi 50 anni dopo l’ultima volta, ha perso solo in un’occasione nelle prime nove giornate. E’ quinta, in piena zona playoff: “Ma l’obiettivo primario è mantenere la categoria. Poi ognuno di noi deve essere ambizioso al punto giusto, senza sfociare nell’arroganza. Chi siede vicino a me, deve avere la voglia di stupire. Deve sempre avere dentro di sé la fiamma giusta. Quando questa si sta per spegnere, che si venga a parlare con me. La riaccendo in un secondo. Ho chiesto solo una cosa ai ragazzi, ovvero di essere sempre più affamati degli avversari. Quello non lo sopporterei”. Passione, talento, mentalità, disciplina e coraggio: questa la ricetta di un’Imolese che non vuole smettere di correre. Proprio come il suo presidente. Neanche 40 anni sulla carta d’identità, ma quante ne ha già viste…

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