I capelli spettinati, il futuro, i social: De Rossi, una storia a 360°

Dal principio. Inizia così. E finisce con il futuro, magari da allenatore.

In mezzo la carriera, il presente, i capelli spettinati, le maglie che non ha potuto scambiare per i 'no' ricevuti e il rapporto con i social.

Passano gli anni, il pensiero non cambia. Daniele De Rossi a 360 gradi, pochi filtri come al solito e tanta sostanza.

Il capitano della Roma si è raccontato ai microfoni del canale tematico giallorosso: la sua storia, Roma e la Roma.

Partendo dalla prima volta che ha varcato i cancelli di Trigoria: "Avevo 11 anni, ne sono passati 24. Sono cambiate tante cose per fortuna, è molto bella adesso.

Sono entrato da un altro cancello, dove entravano i bambini. Abbiamo preso il materiale d’allenamento, te lo danno e te lo lavi da solo. Mi ricordo la camminata all’indietro, guardavo tutti i campi in erba, le cose della Roma.

Era estate, iniziavamo la preparazione. Ho rifatto le stesse cose per tanti giorni ma quello è stato uno dei giorni che ricorderò per sempre.

Quando ho detto “Farò questo lavoro”? Non subito, è un momento arrivato dopo, almeno per me. Adesso è un po’ cambiato, i ragazzi di 12-13 anni hanno il profilo social con il logo depositato e non so quanti milioni di follower.

Da noi non avevi la percezione che saresti potuto diventare un campione perché eri un bambino, avevi fatto delle cose buone prima, io all’Ostia Mare, ma come arrivi qui ti rendi conto che sono forti tutti come te, la competizione aumenta e non c’era quello sbocco mediatico che ti poteva far pensare “Mamma mia mi sa che sto diventando un calciatore“.


La sua Trigoria - "Io dormo nell’altra ala, sopra di voi. Fate parecchio rumore. Anche qui è cambiato tutto, c’era la cappella, una chiesetta dove chi voleva andava a messa, si celebrava qualche funzione. Credo di esserci entrato una volta in vita mia.

Anche qui è cambiato tantissimo. Abbiamo alternato allenatori che non facevano il ritiro come Spalletti, per gran parte anche Di Francesco l’anno scorso non ha fatto il ritiro. Le camere le vedevi poco e niente.

C’erano allenatori che se giocavi la domenica sera ti portavano in ritiro il sabato mattina, poi giocavi mercoledì e ti portavano in ritiro martedì mattina. Luis Enrique non ha mai fatto un ritiro in vita sua quando è stato qua.

Voglio molto bene a Luis Enrique, è stata un’esperienza piacevole conoscerlo e conoscere un calcio diverso, una mentalità di fare calcio diversa, non dico come divertimento, perché anche lui lo fa come lavoro, ci tiene e quando perde si avvelena, ma l’aspetto ludico rimane sempre in primo piano, l’aspetto che punta al divertimento come mezzo per raggiungere la vittoria, che è lo scopo per tutti quanti.


Gli anni 'divertenti' e le 'storie' su di lui - "Non sono stati tutti divertenti, gli ultimi sono quelli in cui mi sto divertendo di più. Ho una maturità diversa, sono cambiato io, mi approccio in maniera diversa al calcio e ho una scorza un po’ più dura. Certe cose che prima non mi facevano dormire per tre notti di seguito adesso mi tolgono 5 ore di serenità.

Non che non mi dispiaccia, ma so che i momenti molto buoni e quelli molto negativi passano. Ho imparato a vivere meglio questa professione ma soprattutto questa squadra, perché è il legame che c’è con la squadra che ti porta via tanta energia mentale ed emozioni.

Sono la persona sulla quale sono state inventate più storie negli ultimi 15 anni, dentro e fuori dal campo? Forse ne hanno dette talmente tante che diventano leggende metropolitane.

Si sopravvive perché nessuno ti dice niente in faccia o viene a rinfacciarti che tu fai cose che in realtà non fai. Il mio essere in una certa maniera mi ha creato un distacco con una parte della gente che abita questa città, che ha provato a combattermi in questa maniera, ma nello stesso tempo ha creato un amore e un legame forte con una grandissima altra fetta di tifosi romani che mi vogliono bene.

Dico romani perché ci metto in mezzo anche i laziali e quelli di altre squadre, perché in questa città io ci vivo bene.

Le leggende metropolitane mi hanno dato fastidio perché hanno dato fastidio a chi mi stava vicino. Si sopravvive perché alla fine possono inventarsene quante vogliono ma poi vai in campo e di base ho sempre giocato bene e fatto capire che sei importante per questa squadra, che sei un giocatore forte e che hai deciso di dimostrarlo qua quanto ci tieni a questa squadra.

Può essere una cosa messa in dubbio per una due o tre partite ma alla lunga esce sempre fuori.


Poter tornare indietro e rigiocare una partita - Se potessi tornare indietro rigiocherei quel Roma-Sampdoria, magari mi metterei in marcatura a uomo su Pazzini. È la gara che ci poteva dare quel trionfo che questa squadra avrebbe meritato.

Di partite da rigiocare ce ne sarebbero anche altre, anche in quella stessa stagione, se ne avessimo vinte altre non avremmo avuto bisogno di quei tre punti con la Samp. O in diverse altre stagioni avrei potuto alzare qualche trofeo vincendo partite giocate a marzo-aprile e sono sembrate meno fondamentali di quella. La stessa Liverpool-Roma: una partita che avevamo iniziato benissimo e poi è finita con uno scarto troppo grande rispetto a quanto dimostrato in campo.

Una partita che vorrei rigiocare per rivivere un momento bello? Non lo so.

Dico sempre questa frase quando finisce una partita e la dico sia se vinciamo in casa contro l’ultima in classifica sia quando andiamo in trasferta e andiamo a San Siro: “Ma quanto è bello vincere?“. Dopo aver vinto i dolori, gli affaticamenti, la fame, la sete, lo stress, finisce tutto.

La criosauna? Come le camere di Trigoria, il cancello e i campi, è cambiato un po’ tutto quanto nel mondo del calcio. Un giorno ti buttavi dentro un bidone col ghiaccio, ma servono soprattutto quando hai tante partite una attaccata all’altra. Ne ho fatta una in Francia all’Europeo, dieci volte più grande di questa, era una stanza intera.

I primi secondi pensi di morire, credo arrivi intorno ai -150 gradi. La criosauna preghi, piangi. Questa è più sopportabile, hai mezzo busto fuori. L’altra guardi solo quanto manca. Dicono serva ma io non lo so (ride, ndr), alla fine se dormi bene, mangi abbastanza, ti alleni bene e fai prevenzione, questo ti aiuta.

Tutto insieme allunga la carriera, anche se un calciatore se la allunga da solo. In me ho visto un cambiamento radicale nell’affrontare la nostra professione. Non che prima facessi cose strane o ore piccole, ma ci stai più attento e sai quello che puoi fare e non puoi fare, sai quando puoi sgarrare e quando stare a stecchetta.

Ti ritrovi tutto dopo, non è un caso che stia facendo così bene negli ultimi anni. Ho avuto più cultura del lavoro anche nelle piccole cose. Sono sempre stato un professionista serio e legatissimo a questo lavoro, ma adesso lo faccio con più conoscenza.


De Rossi e i social - Instagram? Ho fatto un profilo mio con pochissimi amici ai quali ogni tanto metto mi piace o lascio un commento perché per me è normale fare così. Non sono contro i social, è divertente, convivo con miliardi di persone che li usano, mia moglie e mia figlia li usano. Non demonizzo il social, ma il fatto che diventi un motivo di vita, un impegno. Entrare in campo in allenamento pettinati perché Luciano ti fa le foto e vanno a finire su Instagram. Io entro in campo la mattina tutto spettinato e la barba incolta, l’importante è altro. Ma non dico che i giovani non pensino al lavoro, ma pensano anche all’altro aspetto e ogni tanto mi fa sorridere.


Il futuro - Oh, iniziate ad abituarvi all’idea, non manca tantissimo. Tanti mi dicono per strada che senza di me e Francesco siamo rovinati, ma la Roma va avanti. E’andata avanti dopo Di Bartolomei, Conti, Giannini, Falcao, dopo le peggiori partite perse e delusioni. Stiamo andando avanti anche senza Francesco, che è forse la cosa più dolorosa da fare per un tifoso della Roma, figuratevi se non si può superare il post carriera del sottoscritto.

Il post carriera? Sono molto volubile. Se mi fa male il ginocchio per cinque giorni di seguito, penso che voglio smettere e dico a mia moglie che questa estate ce ne andiamo in vacanza per tre mesi, perché non si può sentire dolore tutti i giorni. Appena sto bene, penso subito alla prossima gara, la Spal poi il Cska.

Sono volubile da questo punto di vista come lo sono tutti i calciatori. Ma sono coerente, non voglio fare figuracce, non voglio essere un peso, non voglio essere qualcosa che toglie, per ora non lo sono. Ho già le idee chiare sui prossimi anni. Non lo dico mai, lo tengo per me, in questo caso sono egoista e mi tengo la libertà di poter cambiare idea.

Il mio corpo mi sta dicendo qualcosa, ma finché non si vede in campo ed è un discorso di fatica fisica nel reintegrarsi dopo tre giorni che hai giocato una partita, lo accetto tranquillamente. Quando vedrò che dopo tre giorni che ho giocato i dolori saranno talmente tanti che in campo andrò più piano del centrocampista che ho di fronte o accanto, quello è il momento di alzare la mano e sono sicuro che tanta gente mi riconoscerà l’impegno che ho sempre profuso per questo gioco.

Se farò l’allenatore? Ho grande passione per questo sport, per questo lavoro. L’unica cosa che mi vedo in grado di fare è l’allenatore. Dovrò capire se avrò quella voglia di sottoporre la mia famiglia allo stress dei risultati, del cambiare città, della lontananza o se ti seguiranno, avranno un papà che sta sempre in ritiro. Questo mi spaventa, dopo 24 anni di questo lavoro, farne altri 24 a questi ritmi. A oggi non so quante altre cose so fare, dovrei studiare, non mi spaventa, dovrei scoprire altre passioni. Rimanere nel calcio mi sembra una cosa logica, poi si vedrà. Devi anche essere capace, conoscere il calcio e riconoscerlo, una cosa che mi attribuisco anche quando vedo una partita, vuol dire tutto tranne saper essere un bravo allenatore. Un allenatore deve fare molto altro, deve fare tutta un’altra serie di cose non sempre legate al cambio, alla formazione o all’allenamento. E’ un lavoro complesso e non ho la presunzione di dire che sarò capace. Dovrò imparare, ma un po’ di passione ce l’ho.

Se non avessi giocato a calcio? Le nostre vite sono talmente condizionate da questo lavoro sin da quando siamo piccoli, che non sai che sbocco avrebbe potuto avere la tua carriera scolastica o quella facendo un altro lavoro. Mi piacciono le lingue e viaggiare, ho un amico con un’agenzia di viaggi e lui va a conoscere realtà che temo io non vedrò mai, specialmente se continuerò a fare questo lavoro, non avrò il tempo materiale per andare a visitare ogni Paese che mi piacerebbe andare a vedere.


Le maglie (non) scambiate - Mi ricordo 2-3 giocatori che mi hanno detto di no a 19 anni. A fine partita gli ho chiesto la maglia e mi hanno detto che non potevano farlo. Un paio di italiani che mi piacevano tantissimo e facevano il mio ruolo che mi hanno detto di no. Ho scambiato la maglia con Gerrard, mio idolo storico. Non ho giocato contro Roy Keane ma mi sarebbe piaciuto tanto scambiare la maglia con lui o fare un paio di contrasti alla maniera sua o alla maniera mia. Contro Gerrard vincemmo i quarti di finale dell’Europeo, festeggiamo perché avevamo vinto ai rigori. Scesi nel sottopassaggio dello stadio di Kiev e lui era lì che mi aspettava e che mi doveva dare la maglia. Sono piccole cose che cerco di imitare per essere disponibile, ci sono i ragazzi della Primavera che sono cresciuti guardandomi giocare e magari mi chiedono la maglietta. I magazzinieri sanno che devo arrivare con le buste con la scorta di magliette per tutte le partite per lasciare un ricordo come Gerrard. La cosa bella di questo lavoro è che mi sono venuti a chiedere maglie giocatori che ci fanno divertire, giocatori a cui non l’ho chiesta perché mi vergognavo. Sono quelle piccole cose che, soprattutto per chi non ha vinto tanto come me, ti lasciano un ricordo piacevole, anche se magari questi giocatori durante la partita ti hanno fatto 3-4 gol.


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