Il giocatore e l'allenatore. La sua carriera fino all'Atalanta. A tutto Gasperini: "Rappresentiamo qualcosa di piacevole. Poi se continuiamo a vincere magari diventiamo antipatici"
Un'intervista a 360°. Giampiero Gasperini si è raccontato ai microfoni di Sky durante la trasmissione Mister Condò. Ha parlato della sua vita, privata e professionale, di quando era un giocatore e di come è diventato allenatore. Fin dal principio, quando ha iniziato la sua carriera nelle giovanili della Juventus: “E’ stato per la fede di mio papà, juventino. E così ho iniziato
con un provino nelle giovanili che all’epoca iniziavano a 10 anni. Prima ho
giocato tantissimo nei cortili, all’oratorio, per strada, sui campetti di periferia
e questa è la vera grande palestra". Andava da solo, da Grugliasco, agli allenamenti: "Imparavamo ad essere indipendenti e
a muoverci anche a quell’età con delle scelte individuali". Cresciuto con Paolo Rossi, Sergio Brio, Gasperini ha ricordato così quegli anni: "Rossi e Brio erano
giocatori già acquisiti. Marocchino? Era come lo vedi adesso, a parte le
qualità da calciatore. Quelle amicizie sono rimaste tuttora molto forti. A
Villar Perosa eravamo in un vero e proprio collegio, vivevamo lì la settimana e
questo ha cementato le amicizie che a distanza di tempo sono diventate ancora
più forti. Rossi? Era già molto forte, si allenava presto con la prima squadra.
Non c’erano delle gerarchie ma anche da ragazzini si capiva chi era più forte".
Poi l'adolescenza, vissuta durante gli anni di piombo: “Sono stati anni veramente difficile. Mi ricordo le manifestazioni oceaniche di operai e studenti. C’erano delle mattine che scendevi dal tram e arrivavano cortei, si andava anche pochissimo a scuola alcuni anni tra contestazioni e assemblee. Ho assisti anche a devastazioni di file di tram, dovevi stare molto attento ma tutta questa era una situazione molto viva che ti permetteva di vivere la città e tutto quello che stava succedendo in quegli anni". Vita politica dell'epoca sullo sfondo, ed ecco poi la convocazione in prima squadra: "Capelli corti, per avere un comportamento consono alla società. Aveva un suo perché anche la forma. Era un modo di avere rispetto, un’educazione. Adesso c’è un po’ un vuoto di ideali. Allora erano molto forti, quasi tutti di natura politica e quello finiva per monopolizzare le discussioni. C’era quasi la sensazione che, venuti a mancare questi ideali, si siano trasferite molto aspettative sul calcio. Si è preferito convogliare i problemi negli stadi, per non averli nelle strade".
Tornando al campo, è stata una delusione il fatto di aver capito di poter giocare in Serie A ma non nella Juve? "E' una situazione che accetti strada facendo. Da ragazzo vuoi arrivare al massimo, ma questo vale per tutti, in tutti i mestieri. Ero andato alla Reggiana in prestito, poi a Palermo ed il secondo anno ceduto. E te ne fai una ragione. Ma rimani comunque partecipe di quell’ambiente. Ti accorgi che i tuoi mezzi non sono quelli di poter giocare in una grandissima squadra. Gli anni di Pescara? Sono stati fantastici. Molto anche per la capacità di Galeone di essere un personaggio. Ricordo che a Napoli abbiamo fatto una partita contro Maradona e compagni, e noi avevamo sfiorato in 20 minuti due o tre gol, poi la palla è finita sui piedi di Maradona e ce ne ha fatti due. Lui allora ha tolto due terzini e messo due ali per rimontare e poi è finita 8-2. Galeone aveva alcune caratteristiche geniali. Ha trasmesso la capacità e la voglia di giocare a calcio: la giocata tecnica, l’inserimento ma anche per l’estetica che non è qualcosa di effimero ma qualcosa che conta. E’ anche vero che alcune situazioni erano nuove per l’epoca. Prediligeva il ripartire subito".
A 35 anni, addio al campo e al calcio giocato: "Sono tornato nella mia città dopo 16 anni, dove avevo la famiglia e dove i miei figli iniziavano ad andare a scuola. A 35 anni sei giovane come uomo ma non giovanissimo per affrontare alcune attività. Il mio desiderio era allenare i ragazzini per trasmettere loro la mia passione di giocare a calcio. Andavo a Milano poi per fare il promotore finanziario. Avevo realizzato un discreto portafoglio e poi dovevo fare delle scelte però, e avevo l’incubo dell’indice Mib. A un centro punto però ho scelto il calcio. Sono partito coi bambini di 11 anni ma mi appassionava. Nel frattempo continuavo a studiare e poi ho fatto tutte le categorie fino alla Primavera. Ho vinto un Viareggio anche". Poi è arrivato il giorno in cui ha lasciato di nuovo Torino: "Sono partito da Crotone, dove non ero mai stato e dove invece poi ho vissuto 3 anni. Sono andato ad allenare questa squadra, ho fatto questo salto con un po' d'incoscienza. Abbiamo vinto subito il campionato però ed è stato anche quello un successo. Ritorno alla Juventus possibile? Sì. Fui chiamato ma io ero molto legato a Preziosi e passare da lui non era cosa semplice. Forse ci sono stati un paio di momenti dopo l'anno di B e la promozione in A, ma poi la Juventus fece altre scelte. Nel 2006? Campionato straordinario. Ha attirato l'attenzione un po' di tutti quel campionato di B. Il mio rapporto con Preziosi? E' competente. Ha portato dei giocatori diventati fortissimi e quando li ha portati alcuni avevano avuto problemi, come Perotti, Thiago Motta, oppure altri erano sconosciuti che poi sono diventati grandi, penso a Ranocchia, Bonucci, Criscito e tantissimi altri. E' davvero un presidente capace. Mi chiedo come con così tante plusvalenze il club non sia riuscito ad avere un po' più di continuità. La piazza poi adesso non accetta più molto questa situazione nei suoi confronti. Non so a cosa sia dovuto, per diversi anni siamo andati sempre in crescendo fino al quarto posto a pari merito con la Fiorentina".
Ecco poi che Gasperini si trasferisce sulla panchina dell'Inter: "Io sono stato accolto bene, anche dalla gente. Potevo rappresentare una novità. Poi chiaro io avevo le mie caratteristiche, era una grande occasione. Non so cosa si aspettassero da me. Credo che invece loro volessero mantenere le loro abitudini, il loro modo di giocare, di allenarsi. In quell'anno non potevano fare un grande mercato, volevano magari gestire quella stagione senza modificare niente. Io invece volevo far ripartire quella macchina con dei nuovi valori. Difesa a tre? Era considerato un insulto, non era da squadra europea. Sono dispiaciuto ma è stata un'esperienza per me fondamentale, mi ha fatto diventare forte. Io credo al calcio allenato, non al calcio gestito. L'allenatore deve allenare, non deve gestire". Dopo l'Inter, il Palermo: "Perché ho accettato? Perché io sono una testolina un po' particolare. Zamparini mi aveva fatto la corte tante volte ma non ero mai andato. Non sono andato però per il contratto ma perché con lui volevo sfidare il presidente più difficile e poi perché lì ho giocato 5 anni".
Infine il presente: "L'Atalanta era un ambiente in cui si doveva fare qualcosa di diverso. Ho l'idea di Bergamo come una città molto identificata con la propria squadra. C'erano diversi under21 della rosa, quasi mai utilizzati. Petagna era diventato la quarta punta, Gagliardini doveva andare via, Conti aveva già fatto qualche partita, Spinazzola non si sapeva. Era una situazione un po' così, dove i giovani erano il contorno della rosa. Ma vedevo gli allenamenti, vedevo chi andava più forte. E anche l'evoluzione di alcuni è stata importante. L'obiettivo era la salvezza, non immaginavo questi risultati ma facevo quel discorso lì che era anche quello del presidente. Ma poi mi ha detto: 'Lei ha un coraggio da leone'. A Zingonia c'è un bell'ambiente, sano. Spero che si riaprano le porte a questo calcio, che tornino situazioni in cui il calcio possa essere frequentato dalla famiglie. Noi un Leicester italiano? Mi piacerebbe ma c'è una disparità pazzesca. In Inghilterra è stata una di quelle favole che fanno bene al calcio. Noi? Rappresentiamo qualcosa di piacevole. Poi se continuiamo a vincere magari diventiamo anche antipatici".