Hugo, un Maradona in terza categoria. “Diego? Mi chiede sempre del Napoli”

I balconi circondano lo stadio Don Antonio Basco. Nessuno si affaccia, il freddo di una sera d’inverno fa stare tutti dentro. Siamo a Parete, a metà strada fra Caserta e Napoli. 11mila abitanti, potrebbero stare tutti nella curva B del San Paolo.

Lo stadio di Diego Maradona è a 30 chilometri da Parete. O forse trent’anni. Perché da novembre qui è arrivato un altro Maradona. Hugo, fratello minore di Diego. “Sono tornato a vivere in Italia da otto anni. Ho sposato una napoletana e vivo a Bacoli”, racconta Hugo al microfono di gianlucadimarzio.com Il calcio è sempre stato la sua vita. Nove anni meno di Diego, un mancino che non somiglia a quello del fratello e un presente da allenatore. Come il suo hermano.






Uno dirige i Dorados in Messico, l’altro guida la Real Parete. Terza categoria campana, girone A. “È un gruppo giovanissimo, quasi tutti ragazzi del 2002. Sono qui per dare una mano. Più che un lavoro, è un modo per aiutare questi giovani a crescere. Cerco di dare consigli e insegnare quello che posso”. La classifica non sorride: penultimo posto, una sola vittoria negli ultimi due mesi. Ma il carattere c’è: nell’ultimo turno, i ragazzi di Hugo hanno recuperato uno 0-3. “Sono encomiabili. Ma c’è tanto da lavorare”.








“IO E DIEGO, UGUALI E DIVERSI. L’ASCOLI? HO FATTO 15 ANNI DA PROFESSIONISTA…”

I tratti somatici tradiscono una somiglianza impressionante. Guardi Hugo e vedi Diego, eppure caratterialmente non potrebbero essere più diversi. “Sono molto riservato, non mi piace parlare di me. Quando ho accettato di venire qui, ho premesso che avrei voluto solo venire al campo ad allenare e andarmene subito dopo”. E così fa, due volte a settimana. Una trentina di chilometri da Bacoli al Don Antonio Basco. I genitori dei ragazzi gli raccontano le emozioni vissute grazie a Diego. Ascolta tutti e silenziosamente sorride. Ama stare in disparte, abituato da una vita a restare nell’ombra. “Vedo Diego come un fratello, non come il più forte del mondo. Lui lo è stato perché ha respirato calcio sempre, ha vissuto per essere il numero uno. Non nascerà più uno così”.

Cuore di fratello, lo stesso che aveva Diego quando Hugo giocava (poco) nell’Ascoli. Tredici presenze, zero gol. Poco ma il più grande prendeva sempre le difese del più piccolo, a costo di farsi ore di macchina da Napoli alle Marche per parlare con Castagner, l’allenatore che teneva spesso Hugo in panchina. “Ma io non ho giocato perché ero il ‘fratello di’. Ho fatto quindici anni da professionista, segnato tanti gol in Giappone”. La nuvoletta del “raccomandato” da spazzare via con la passione. E con lo studio. “Diego è molto tattico, più di me forse. Non ha avuto ancora il successo che merita. Gli serve continuità”.

A entrambi piace tenere la palla e puntare sul palleggio. Buon sangue non mente.


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REAL PARETE, TRA PREMIER E TIKI TAKA. “COME ABBIAMO SCELTO MARADONA”

“Hugo a Parete gioca col 4-3-3. Per noi averlo qui è un onore, ma anche per lui è una possibilità di rimettersi in gioco”. A parlare è il giovane direttore sportivo Francesco Orabona, l’uomo che ha avuto l’idea di affidare una squadra di terza categoria a Maradona. “Lo avevo già appezzato alla scuola calcio Mariano Keller e ho pensato che avrebbe fatto bene con i nostri ragazzi. Siamo la squadra più giovane della Campania, lui ha portato serenità ed esperienza”.







Un’intuizione appoggiata dal presidente Pezone che insieme a Orabona ha riportato il calcio a Parete dopo 15 anni. “Chi meglio di un Maradona per sognare in grande”, dice il direttore sportivo, mostrando il logo della squadra. Un leone identico a quello della Premier League. “Ci ispiriamo al calcio inglese per il business e a quello latino dal punto di vista tecnico. A fine campionato ospiteremo il Bolton per un’amichevole. Siamo penultimi ma non abbiamo l’assillo di una retrocessione (anche perché non sarebbe possibile, ndr).






“LA JUVE? DIEGO NON CI SAREBBE MAI ANDATO A GIOCARE. PENSA SEMPRE A NAPOLI”

L’allenamento è finito. Hugo l’ha osservato in silenzio. Giornata di lavoro atletico, poco su cui intervenire. I ragazzi tornano nello spogliatoio e lo salutano. C’è il promettente portiere del 2003 Davide Boccia e il figlio d’arte del 2002 Rodolfo Pezone. C’è anche capitan D’Andrea, 25 anni. Quando non si allena, guida i camion. “Fanno tutti grandi sforzi, c’è un clima familiare che piacerebbe molto a Diego”, dice Hugo. “Siamo stati insieme a Natale. Pensa sempre a Napoli. Mi chiede sempre come ha giocato il Napoli, come va la squadra. C’è un legame impossibile da scindere con questa città”.

Memoria di giorni antichi e gloriosi. Domenica arriva la Juve di CR7, forse il più forte di oggi. “Diego non avrebbe mai lasciato il Napoli per andare a Torino. Non sarebbe stato lui se lo avesse fatto”.






Impossibile strappare a Hugo troppi dettagli su Diego. Riservatezza assoluta, tutela di un rapporto cementato dalle difficoltà. Un anno fa Hugo ha rischiato di morire. I medici dell’ospedale di Pozzuoli lo hanno riportato alla vita. È successo anche a Diego, seppur venendo da problemi diversi. Protetti dai loro genitori in cielo e dalla gente che li ha amati in terra. “Devo scappare, ho un compleanno a cui tengo molto”, saluta Hugo, avvolto nel giaccone della società.

Lascia il campo di Parete, sale in macchina e torna verso Bacoli. Diego è dall’altra parte dell’oceano e nei pensieri di tutte le persone che incontra qui. Sarà sempre così. Sguardi e sussurri. Un Maradona a Napoli è come un diamante: per sempre. “Non so se tornerà, ma non fa differenza”. Ha ragione: Hugo ci è tornato, Diego non se n’è mai andato.






Riprese e montaggio video a cura di Emanuele Ceprani

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