Gonzalo Rodriguez: "Sei interventi alle gambe. Ora mi godo i figli"

gonzalo_rodriguez_fiorentina_image

In Argentina il lockdown va avanti da 100 giorni. Solo ieri però i nuovi casi di coronavirus sono stati oltre 2400: "Non ce la facciamo più", sbuffa Gonzalo Rodriguez, che si fa forza con i figli. Ian Luca ha quattro anni, Iago solo sette mesi: "Giochiamo tanto. E poi cambio qualche pannolino", sorride. Li osserva mentre corrono in giardino. Guarda anche Martina, la sua compagna. Ora vivono a Buenos Aires ma l'ha conosciuta in una discoteca di Firenze: "All'inizio non ci capivamo, io non sapevo l'italiano e lei non parlava spagnolo. Quanto mi ha aiutato google traduttore...". 

LEGGI ANCHE - L'ANNUNCIO DI GONZALO: "MI RITIRO"

"Avevo perso la voglia di allenarmi"

Qualche anno dopo una pandemia lo tiene chiuso in casa da oltre tre mesi. Gonzalo ne ha approfittato per pensare e ha capito. Cosa? "Che il calcio non mi è mai mancato - ci racconta - mi sono reso conto che è arrivato il momento di godermi i compleanni dei miei figli, di portarli al parco. Avevo perso la voglia di allenarmi, di lasciare casa per andare in ritiro. Ho 36 anni e sei interventi alle gambe". Addio al calcio dunque. Dopo 18 anni di battaglie, gol e lacrime. Come quelle versate al Villarreal, dove dal 2006 al 2007 si fa male al ginocchio tre volte in un anno: "Alla seconda rottura del crociato è stata durissima - ricorda - pensai di tutto, temevo di non tornare quello di prima". Al suo fianco c'è sempre stata la famiglia. Josè, il padre, nel barrio di Boedo lo conoscono tutti grazie alla sua storica macelleria: "Quando avevo cinque anni mi portava al centro sportivo del San Lorenzo. Lui giocava con gli amici e io facevo lo stesso con gli altri bambini. E' iniziato tutto così". 

Per i Rodriguez il San Lorenzo è la passione di una vita. La prima cosa che Gonzalo ha fatto vedere a Martina quando l'ha portata in Argentina è stata Avenida La Plata, la strada dove sorgeva el Gasometro, lo storico stadio demolito nel 1983 per fare spazio ad un supermercato. Sia al Villarreal che alla Fiorentina custodiva nell'armadietto una maglia blaugrana e il 20 dicembre del 2014 si è chiuso in una stanza con Borja Valero, Neto e Cuadrado per assistere alla finale del Mondiale per Club contro il Real. Al San Lorenzo è tornato nel 2017, con qualche anno di ritardo. 

Con Borja o nulla: l'arrivo alla Fiorentina

Lo stava per fare nell'estate del 2012: "Dovevo andare via dal Villarreal perché eravamo retrocessi. La situazione economica era difficile e io volevo cambiare. Poi però è arrivata la Fiorentina. Macia e Pradè volevano prendere sia me che Borja Valero. O tutti e due o nessuno. Borja non sapeva che fare: 'Guarda che Firenze è bellissima', gli dicevo per convincerlo. Alla fine disse di sì. A novembre vincemmo 3 a 1 a San Siro con il Milan. Eravamo quarti. Quando tornammo, la stazione era piena di tifosi. Da lì fu amore". Sopra un taxi la musica è sempre la stessa: 'Con la Juve vincete eh'. Succede il 20 ottobre 2013. Tevez e Pogba portano Conte all'intervallo sul 2-0: "Eravamo distrutti - ricorda Gonzalo - ci dispiaceva per la gente. Montella fu fondamentale nello spogliatoio, ci tirò su. Nella ripresa li abbiamo mangiati fin da subito". Finirà 4-2, tripletta di Giuseppe Rossi: "Era in un momento incredibile. Che sfiga ha avuto nella sua carriera, senza infortuni avrebbe giocato nelle più grandi d'Europa". 

Salah e il sogno scudetto

Gonzalo la Juve la batterà anche il 5 marzo del 2015. Si gioca allo Stadium, semifinale di andata di Coppa Italia. Dall'altra parte in panchina c'è Allegri, che assiste impotente alla doppietta di Salah: "Non ho mai visto molte partite alla tv. Quando il Villarreal prese Giuseppe Rossi dallo United rimasi un po' sorpreso. Era basso, tozzo. Poi ho scoperto un fenomeno. La stessa cosa mi è capitata con Momo. In allenamento facevamo molte partite nello spazio corto e lui soffriva. Poi un giorno abbiamo allungato il campo e addio. Ha iniziato a correre e non lo fermava nessuno: 'O sono diventato scarso io o è fortissimo lui', mi dissi". Chi lo ha impressionato qualche anno dopo è stato anche Federico Chiesa: "Di solito fra le giovanili e la prima squadra c'è una grossa differenza - spiega Gonzalo - ma per lui sembrava non fosse cambiato nulla. Prese ritmo fin da subito. Il suo futuro? Ha un babbo che sapeva giocare benino a calcio... lasciamo che lo decida con lui".

A lanciare Fede con i grandi fu Paulo Sousa, che nella stagione 2015/16 riportò i fiorentini a pronunciare la parola "scudetto". Merito di un secondo posto conservato fino a metà gennaio, poi il crollo: "Se ci abbiamo mai creduto? La squadra era matura, dopo Natale però non siamo riusciti a conservare la stessa velocità. Siamo arrivati stanchi fisicamente, dato che giocavamo pure l'Europa League e che a scendere in campo erano sempre i soliti 14. La società lì doveva fare il salto. Forse era arrivato il momento di prendere qualcuno sul mercato".

Il no al Napoli e la coppa

Gonzalo alle trattative non ci ha mai pensato. Neanche quando il Napoli gli bussò alla porta: "Mi offriva di più rispetto a quanto facesse la Fiorentina. Io però non avevo bisogno di soldi, a Firenze avevo famiglia e amici. Mi sentivo a casa, avevo anche la fascia". Contro il Napoli nel 2014 perde la finale di Coppa Italia. Una partita strana, preceduta da scontri e sangue. E che causerà la morte del giovane Ciro Esposito: "Non sapevamo cosa fosse successo, nemmeno mentre stavamo per uscire dagli spogliatoi - ricorda Gonzalo - tuttavia non può essere una scusa per il risultato. E' stato un match strano, loro hanno fatto due tiri e hanno segnato due gol".

Sempre vicino ad un trofeo, che però a Firenze non è mai arrivato. Chissà, magari un giorno Gonzalo ci riuscirà da allenatore: "Ma quando sei così tanto innamorato di una squadra, è difficile farlo - sorride - metti in gioco tante cose". Il futuro potrebbe comunque essere in panchina: "Però prima devo studiare, devo vedere se mi garba", conclude in fiorentino stretto. Intanto il presidente del San Lorenzo gli ha proposto un ruolo da ambasciatore per l'Europa, che lui per ora ha rifiutato. Il calcio non gli manca, il suo amico Astori invece sì: "Era sempre il primo compagno che abbracciavo quando la squadra faceva gol. Era lì, accanto a me. Esultare è stata una gioia rara che ci ha unito". Lo racconterà ai figli, adesso di tempo ne avrà: "Ciao grande", riattacca così. Lui grande, in campo, lo è stato davvero.

Google Privacy