Gilardino si racconta: "Milan, primo posto meritato. Mancini è il futuro della Nazionale"

Dal violino alla lavagnetta è un attimo. Da quando Alberto Gilardino ha smesso di giocare (e segnare) ha subito trovato la sua nuova strada. E per farlo non ha nemmeno dovuto camminare troppo. Si è spostato appena di qualche passo: dal campo alla panchina. Attaccante ieri, allenatore oggi. Stessa vocale, stessa voglia di vincere. «Ho smesso di giocare allo Spezia e ho avuto subito la possibilità di fare il corso Uefa A e B da allenatore», racconta Gila a gianlucadimarzio.com.

«Perché la mia volontà era quella di rimanere in campo anche dopo aver smesso da calciatore». Detto, fatto. E nell’arco di qualche mese è arrivata la chiamata del Rezzato, serie D nel bresciano. «La gavetta è importante. Guarda Sarri: ha fatto tutte le categorie ed è arrivato così in alto. Io non ho paura di iniziare dal basso, l’ho fatto perché volevo capire se questa nuova carriera avrebbe potuto interessarmi». E così è stato.

 

 

Dopo il Rezzato sono arrivate la Pro Vercelli e il Siena, dove ha concluso la sua avventura dopo un anno e poco più. «A Vercelli ho portato avanti un percorso fatto con tanti giovani, mentre quella di Siena è stata per me una vittoria nonostante l’esonero. Credo che da ogni esperienza si possa crescere e sono certo di aver dato il massimo». Anche per questo se guarda al passato da giocatore mette insieme un’infinità di maestri che uno dopo l’altro hanno aggiunto un mattoncino alla costruzione dell’allenatore che vuole diventare. «Ho preso qualcosa da ognuno di loro, ma per adesso preferisco fare dei testa mia: sbagliando si impara».

Però qualcosina c’è, non lo riesce a nascondere. «Negli ultimi anni da calciatore, quando tornavo a casa mi segnavo molte cose che vedevo in allenamento. E poi c’è il rapporto umano nello spogliatoio. Da questo punto di vista ho avuto due maestri unici: Ancelotti e Lippi, due che sanno gestire il gruppo come nessuno». 

 

 

A sentirlo parlare, però, sembra che il Gilardino allenatore non stia soffrendo della sindrome di Peter Pan, o di Pippo Inzaghi: ovvero l’allenatore che durante gli allenamenti segna più dei suoi attaccanti. «Ho visto qualche video di Pippo, ma io preferisco guardare gli allenamenti e intervenire. Poi, ovviamente, mi è capitato qualche volta di giocare con i ragazzi, ma bisogna essere onesti: più passano gli anni e più si fa fatica a stargli dietro».

Ma questa non sembra essere l’unica difficoltà di un ex giocatore passato da quell’altra parte. «Devi cambiare subito mentalità, capire che devi dare tutto te stesso nel gruppo. Diventa un impegno 24 ore su 24 e non puoi più limitarti ad arrivare al campo un paio di ore prima e dare il massimo durante l’allenamento. Da calciatore devi pensare solo al tuo fisico e a giocare, non devi mantenere il gruppo anche a livello psicologico. Il più grande cambiamento sta nell’essere curioso e studiare ogni singola cosa».

 

 

A furia di studiare, però, si è anche fatto un’idea sulla lotta scudetto. «Non ho mai giocato in un campionato così equilibrato e mi diverte molto seguire questa lotta a tre». Stasera contro il Bologna, il Milan deve allungare. «I rossoneri lassù non mi stupiscono, perché ho avuto Pioli proprio a Bologna ed è un allenatore straordinario. Ovviamente si è evoluto nel tempo e ha uno staff di grande qualità. Credo che il vero fuoriclasse del Milan sia l’identità di squadra e ha dato lui. Così come sta facendo anche Spalletti nel Napoli».

Nel 2006 il suo violino ha fatto suonare tutta l’Italia. Oggi quella stessa Nazione sembra ricaduta in un incubo chiamato Mondiale. «Contro la Macedonia ero a Palermo per vedere la partita dal vivo. Mi sono mangiato le mani perché avremmo dovuto segnare tre gol nel primo tempo ma purtroppo il calcio è questo. E intanto bisogna ringraziare i ragazzi per quello che hanno fatto a luglio. Mancini è l’uomo giusto per aprire un nuovo ciclo. E mi auguro che questa sconfitta pesante faccia pensare tutti sul dove ripartire. Cioè dalle fondamenta. I vari Scamacca, Raspadori, Zaniolo, Kean devono crescere ancora tanto. E per farlo hanno bisogno di giocare con continuità. Questi sono i giocatori del futuro. Ho grande fiducia nei settori giovanili. È da lì che si deve costruire».

 

 

A proposito di costruire. Anche Alberto Gilardino ha le idee molto chiare su come costruirebbe la sua squadra se fosse l’allenatore di una squadra dal budget illimitato. «Forse è un po’ presto, ma è un gioco e ci provo. Ne prendo uno per ruolo dalla nostra serie A. Vlahovic sarebbe l’ideale per il mio gioco offensivo. In mezzo al campo mi piace molto Tonali, mentre in difesa prendo Bastoni che è il futuro della difesa dell’Italia e può giocare anche a quattro». Anche se i moduli spesso sono secondari. «Parto sempre con l’idea del 4-3-3, ma adesso il calcio si costruisce in un modo e si rifinisce in un altro. Quindi all’interno di una partita cambia tutto. Anche a Siena ho dovuto cambiare per necessità e ho giocato a tre dietro. Poi ovviamente devi adattarti anche agli interpreti che hai: devi metterli sempre nelle condizioni migliori». Parola di Alberto Gilardino, che da solista del violino è già diventato direttore d’orchestra.

Google Privacy