Franco Vázquez cerca una squadra mudista: “Voglio sentirmi importante”
Sentirsi dire “Sarò sincero: non mi piacciono le interviste, preferisco giocare a calcio” è probabilmente la peggior maniera di cominciare un’intervista, ma è anche quello che è lecito aspettarsi da un calciatore che sin da bambino viene soprannominato El Mudo. “So che fa parte del mio lavoro, ma quando posso le schivo”, aggiunge. È questa la grande differenza fra il piccolo e introverso Franco Vázquez di Tanti (Córdoba, Argentina) e quello trentaduenne, ancora introverso, che risponde dalla sua casa di Siviglia: ora giocare a pallone è diventato un lavoro.
Quello che non è cambiato è la sua maniera di farlo: divertendosi, facendo divertire; prendendosi il tempo necessario per coccolare la palla come si merita, perché il pragmatismo sarà pure efficace ma non ha mai fatto innamorare nessuno. Come dicono a casa sua, insomma, Vázquez è il classico giocatore forgiato dal “potrero”. “Il potrero è giocare per la strada, giocare su un campo dove l’erba non è erba, ma ci sono solo terra, fango e sassi; dove la palla rimbalza male e devi abituarti al fatto che prenderà sempre direzioni imprevedibili”.
“É lì che cresciamo noi giocatori sudamericani, per questo siamo così ricercati in tutto il mondo. Il potrero è questo: la scaltrezza, saper controllare una palla anche quando non prende il rimbalzo che ti aspetteresti, adattarsi a tutta una serie di situazioni e manie che ti fanno stare un passo in avanti rispetto ai giocatori che non sono cresciuti lì”, aggiunge. È un luogo dell’anima per lui, si vede dal sorriso che ha stampato sulle labbra mentre lo racconta a gianlucadimarzio.com.
Un trequartista in un mondo di mediani
Fra la perdita proprio della cultura del calcio di strada e un’evoluzione profonda del gioco, Franco Vázquez si è trovato a doversi conquistare un posto in un calcio che reprime sempre di più i pochi giocatori con le sue caratteristiche: “È la dura verità, il trequartista si usa sempre di meno. È tutto sempre più orientato verso il lato fisico, la corsa, l’intensità. Ma è così, noi che giochiamo in questo modo dobbiamo adattarci. Con il 4-3-3 e il 4-4-2, ormai il 10 classico non lo usa più nessuno, bisogna adattarsi ad altre posizioni ed aggiungere aspetti nuovi al proprio gioco, altrimenti giocare diventa difficile”.
Che sia chiaro, però, che adattarsi non significa condividere: “Io non lo capisco, ma che vuoi farci… Certo, se fossi un allenatore nella mia squadra giocherebbe sempre qualcuno con quelle caratteristiche! Non so se farei giocare me, ma un 10 ci sarebbe sicuro, perché è una figura importante in una squadra. C’è bisogno di entrambe le cose, del fisico e della creatività”, continua.
Ed è così che Vázquez si è trovato a mettere in piedi un lunghissimo repertorio di ruoli, arrivando a coprirli praticamente tutti dal centrocampo in su. A partire dal 2016, quando fu protagonista di una salvezza del Palermo conquistata all’ultima giornata giocando da mezzala con compiti difensivi. Ma, come lui stesso dice, sempre aggiungendo aspetti al suo gioco, non sottraendogli mai la “scaltrezza” e “l’immaginazione” che la strada gli ha regalato. E senza sacrificare colpi di tacco o tunnel, il suo marchio di fabbrica, anche se non tutti gradiscono.
“Non è che mi alzi il giorno della partita e penso che farò un tunnel. Quando hai la palla lo provi, semplicemente. A volte viene, altre no. Non è una giocata che puoi pensare, viene dall’immaginazione. È un istinto. Non mi ha portato problemi con avversari, ma con qualche allenatore sì. Perché a volte vuoi fare un tunnel al limite dell’area e magari la perdi e loro ti gridano di andarlo a fare dall’altro lato del campo. Ma questo è il mio modo di giocare, è quello che faccio da quando ho l’uso della ragione. È un gioco, bisogna divertirsi”.
Sapere aspettare
Il mondo del calcio si ricorderà sempre di Vázquez innanzitutto per quelle giocate, anche se probabilmente il valore che ha fatto la differenza nella sua carriera è stata la capacità di saper attendere la propria occasione. Come nel 2013, quando tornò al Palermo dal prestito al Rayo Vallecano e, a due giorni dalla chiusura delle liste, Gattuso gli disse che lo avrebbe escluso dall’elenco dei giocatori utilizzabili in Serie B. “Mi prese molto di sorpresa, sono sincero. Lì mi dissero che c’era la possibilità di andare a Cipro e, beh, io risposi di no perché non mi sembrava una buona opzione per me”.
"Che fai, non giochi?”. Il momento della svolta arrivò poco tempo dopo, con l’arrivo di Iachini, che al primo allenamento riconobbe subito che tanta classe non potesse rimanere fuori da un campo da calcio. “Guarda che a dicembre ti metto in lista, è impossibile che tu non giochi”.
“Saper aspettare è parte del lavoro e della crescita, anche se forse io avuto la vita più difficile rispetto ad altri giocatori. Ma sono cose che possono succedere e che ti rendono più forte — analizza Vázquez—. Io cercavo di continuare ad allenarmi anche se poi non avrei giocato, di farlo per me, perché sapevo che quella non fosse la fine. Quando Iachini mi disse che mi avrebbe reintegrato lo ringraziai, ma risposi di no, che volevo andare via perché pensavo che non si fossero comportati bene con me. Alla fine, ebbi l’opportunità di andarmene, ma Iachini fece tutto il possibile per farmi rimanere e lì iniziò tutta la mia storia con il Palermo”.
Diventato leader del Palermo in Serie B e avendo lasciato la squadra nella massima categoria, nel 2016 Vázquez si trasferisce a Siviglia. Argentina-Sicilia-Andalusia: un percorso che racconta la ricerca continua di luoghi caldi e calorosi, vitali per un ragazzo che sente fortemente i concetti di famiglia e di radici. “È vero — riconosce — mi sento molto argentino, e sia la mia famiglia che mia moglie mi hanno sempre aiutato tantissimo con un abbraccio o con la parola giusta nei momenti di difficoltà. L’essere finito sempre in posti così accoglienti è stata una fortuna, perché dovunque sia stato la gente mi ha sempre fatto sentire a casa”.
La fine di un capitolo
Fra le altre cose, gli affetti sono stati una parte centrale della commovente cerimonia di addio che il Siviglia ha organizzato per lui qualche giorno fa. Il suo contratto, infatti, scadrà a fine mese e lui dovrà trovarsi un’altra sistemazione. “È stata la squadra dove più sono rimasto, dopo cinque anni era parte di me. Poi da un momento all’altro ti rendi conto che finisce tutto. Ed è difficile, ma sapevo che sarebbe arrivato. Mi sento molto fortunato di aver vissuto questa esperienza qui, in una grande squadra che ogni volta lotta per obiettivi più grandi. Poi la gente mi vuole bene e per questo sono molto riconoscente”.
L’ultimo anno è stato quello più complicato, dato che l’argentino ha avuto sempre meno occasioni di mettere in mostra la sua classe, donata per l’ultima volta al sevillismo con un golazo di tacco contro l’Elche. Si torna sempre lì, alla capacità di saper attendere: “È stato un anno difficile, perché quando non giochi ti intristisci e diventa tutto più complicato. Però ho cercato di viverlo al massimo, allenandomi come sempre e cercando di dare il meglio nei minuti che mi toccavano. Quel gol fu un gran ultimo atto. Estetico, improvvisato: sono contento che a Siviglia mi ricorderanno con quella immagine”.
In generale, l’esperienza del Mudo a Nervión e più che positiva, chiudendosi con 198 presenze, 26 reti e un trofeo, l’Europa League dello scorso anno, che sa un po’ di premio a una carriera vissuta controcorrente: “L’aver vinto un trofeo così importante è stata la ciliegina sulla torta, bellissimo. Ma ci sono stati anche altri momenti speciali, notti fantastiche come quando passammo ai quarti di finale di Champions per la prima volta nella storia del club, battendo lo United all’Old Trafford. Quel momento fu incredibile”.
Soprattutto, però, c’è la sensazione di aver lasciato un’eredità sentimentale enorme, come ha sottolineato il presidente del Siviglia, José Castro, nella cerimonia di addio: “Sono convinto che fra 50 anni qui si continuerà a parlare della qualità del Mudo, perché il mudismo è entrato nel cuore dei nostri tifosi. No Mudo, no Party!”. “Il presidente mi ha rubato tutto il discorso”, ha ribattuto subito Monchi. “Anch’io sono mudista, mudista convinto. La mia filosofia rappresenta al 100% il mudismo e un poco del mio cuore, oggi, se ne va con lui”.
Ma cos’è, esattamente il mudismo? “Beh, è un nomignolo che hanno dato alla mia maniera di giocare, di essere. Che dire, io gioco così da quando ho l’uso della ragione. Io mi sono divertito e mi diverto a giocare così, se anche le persone si divertono non posso fare altro che ringraziarle”, spiega lo schivo predicatore di questa filosofia.
Ciononostante, Vázquez è cosciente di essere stato un calciatore divisivo nella sua carriera, di quelli che li ami o non li capisci, forse perché il suo modo vistoso di stare sul campo non è per tutti: “Sì, sì, ovviamente. Lo so e lo capisco perfettamente, non sono nemmeno l’unico giocatore a cui capita. Ma non importa. Io cercherò sempre di fare il mio gioco. A qualcuno piacerà, ad altri no. Il calcio è così: tutti possono dare la propria opinione. Ed è perfetto così, altrimenti sarebbe così noioso!”.
Il futuro
Paradossalmente, Vázquez sa già più del suo futuro a lungo termine che del prossimo. “Ritirarmi nel Belgrano è un gran desiderio che ho, ma la mia prossima squadra, ad essere sincero, non so ancora quale sia. Certo, qualche offerta l’ho già avuta, però ora ho qualche giorno di vacanza e voglio rifletterci con calma. È una decisione importante per la mia carriera.”
Ma cosa cerca Vázquez? Un club prestigioso o semplicemente una squadra che lo renda l’asse del proprio gioco? La domanda è ingenua: “Se sono entrambe le cose, è perfetto! In primis, voglio sentirmi di nuovo importante. Mi sento bene fisicamente per poter rendere ad un buon livello. Poi, ovviamente, il posto te lo devi guadagnare in campo, ma voglio sentire la fiducia del club e della squadra. Non fa differenza il campionato. Sia quello spagnolo che quello italiano mi divertono e sono adatti a me”. In altre parole, il Mudo è alla ricerca di una squadra mudista.
Qualsiasi sia la sua prossima destinazione, l’augurio è che non smetta mai di sorprenderci con un tunnel, come se stesse giocando ancora nel campetto sterrato di Tanti. Qualcuno lo amerà, qualcun altro non lo capirà. Come sempre. Perché, nonostante al calcio contemporaneo possa non piacere, Franco Vázquez è questo.
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