Fonseca: "A Kiev in un bunker per evitare le bombe. Mia moglie piange ancora"
"Era il 24 febbraio e dovevo partire alle 10 per il Portogallo con la famiglia, quando alle 4.30 abbiamo sentito cadere le prime bombe. Ci siamo spaventati. Il mio amico Srna mi ha invitato ad andare all’hotel Opera, dove c’era la squadra. Ci siamo rifugiati in un bunker. C’era De Zerbi, c’erano i brasiliani con le famiglie".
Inizia così, a La Gazzetta dello sport, il racconto toccante di Paulo Fonseca, ex allenatore della Roma e dello Shakhtar che, dopo aver visto con i propri occhi l'inizio della guerra in Ucraina, è diventato ambasciatore per la pace per trovare alloggio, lavoro e scuola ai profughi.
"I bambini dormivano per terra nei sacchi a pelo - le sue parole a La Gazzetta dello Sport - Avevamo paura. Poi la mia ambasciata ha organizzato un mini-van e in tre famiglie siamo partiti verso la Moldova. È stato un viaggio terribile. Trenta ore senza fermarsi mai, incolonnati a volte a 5 km/h, con gli aerei che ci passavano sulla testa, i posti di blocco, mentre la gente intorno non trovava né carburante né cibo. Mia moglie piange ancora in continuazione".
La Fiorentina e il paragone con Mou
Fonseca, poi, ha parlato anche di calcio. Dopo essere stato vicino al Tottenham di Paratici, l'allenatore portoghese aspetta ancora una nuova avventura per ripartire. "Spero di allenare ancora in uno dei 5 tornei top - spiega alla Gazzetta - Sono stato vicino alla Fiorentina, ma poi non si è fatto nulla. Ammetto che l’Italia mi piace".
Chiusura dedicata al paragone tra la sua Roma e quella di José Mourinho. "Situazioni diverse, investimenti diversi. Dico solo che, nonostante la pandemia e il cambio di proprietà, avevamo una nostra identità ed eravamo una delle squadre che giocavano meglio".
L'INTERVISTA INTEGRALE NELL'EDIZIONE ODIERNA DE LA GAZZETTA DELLO SPORT
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