Estudiantes, Vivas: "Devo tutto a Simeone. Inter? Mi sfottevano tutti..."
Che fine ha fatto Nelson Vivas? Quasi campione d'Italia nel 2002, l'argentino non lasciò il segno nell'Inter di Hector Cuper. Adesso il terzino ex Arsenal sembra ripercorrere la strada di un altro ex nerazzurro, Simeone: è Vivas il miglior allenatore argentino dell'anno. Attraverso le pagine di ExtraTime Nelson ricorda con piacere il periodo passato a Milano e parla del rapporto speciale con il Cholo e del suo amore per l'Estudiantes, la squadra del presidente Veron.
"Inter? Il primo giorno appare Ronaldo e gli chiedo scusa per un calcio che gli avevo dato in un match. Poi, Recoba. E lo stesso, il Chino era stato una mia vittima con l’Uruguay. 'Ma smettila di chiedere scusa', mi sfottevano gli altri. Simeone? Sono sempre stato a mio agio col Cholo, è stato lui a chiamarmi quando non avevo ancora deciso cosa fare. Così col Racing, poi l’Estudiantes, il River, il San Lorenzo... Ma quando lui andò a Catania io non volevo andare all’estero per motivi di famiglia. Il Cholo è sempre stato un grande allenatore e sono convinto che oggi sia tra i migliori al mondo. Ogni volta che ci vediamo parliamo della nostra vita, non molto di tattica".
Veron torna al calcio giocato: "Per lui sarà una grande sfida e io sono ottimista che noi possiamo aiutarlo. Altri sottolineano che è il presidente e sarà in spogliatoio, che ha quasi 42 anni. Ma sono convinto della sua maturità per capire i ruoli, e per quello che ci potrà offrire uno della sua esperienza nei momenti clou in campionato e in coppa Libertadores". Vivas ha cambiato carattere? "Dopo l’esperienza di tecnico al Quilmes, che è andata a finire male, fui esonerato per una lite con un tifoso, mi sono chiesto perché volevo rimanere nel calcio. Mi dicevo: 'Stai mangiando male, non dormi, i tuoi giocatori non guadagnano, dipendi dai risultati. Se non fosse per quei momenti di felicità negli allenamenti, il resto è sofferenza. Non sapevo se avrei continuato ad allenare, finché è arrivata la telefonata di Alayes, il d.s. dell’Estudiantes, che mi proponeva di andare a guidare la Primavera".
Dalla scorsa stagione guida la prima squadra del Pincha: "Abbiamo raggiunto grandi risultati: 3° posto nel 2016, il ritorno in Libertadores, 21 gare imbattuti, capolista per gran parte di questo torneo... I meriti li abbiamo, ma siamo in evoluzione. Come gestisco la rosa? L’unico modo che concepisco è il dialogo, convincere i calciatori di una idea. I concetti non si possono imporre. Il giocatore di norma non vuole cambiare se sta vincendo, ma il dovere dell’allenatore è spiegare che forse stai vincendo perché hai qualità per il contropiede, ma quando hai il pallone per iniziare un attacco non stai producendo le varianti sufficienti per tradurre il possesso-palla in occasioni da gol. E questa è una conclusione di un analisi con video e statistiche. Siamo in un Paese dove ti dicono che sei il migliore e poi il peggiore, senza vie di mezzo. Una vittoria nasconde tutto e un k.o. dipinge di nero tutto ciò che stai facendo di buono. E non è così".
L’Estudiantes è diventato un club speciale: "Sì, mi sento parte della famiglia Pincha nonostante non abbia giocato qui. Pensi sono arrivato qui da calciatore a 21 anni per un provino. Me ne andai al 3° giorno, deciso che il calcio non era la mia strada. E qualche anno dopo stavo giocando nel Boca di Maradona e in nazionale. Quando sono tornato qui, 15 anni dopo col Cholo, ho avuto gli stessi pensieri: 'Quasi quasi smetto!'. Ogni volta l’Estu ha significato un passo clou nella mia carriera. Abbiamo vinto l’Apertura 2006 e sembrava impossibile. E ora portiamo nello stemma della maglia una frase del Cholo: nella vita bisogna credere".
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