Il Parma e l'eredità di Buffon, Delprato: "Capitano nel calcio come nella vita"

Ci sono vite che capitano e vite da capitano. Uno slogan ormai sdoganato in lungo e in largo per raccontare chi ha mostrato valori importanti nello sport, e nel calcio più precisamente. Ma c'è anche chi, pur non avendo indossato la fascia in campo o l'ha soltanto ereditata da poco, che ne incarna i principi. Lui è Enrico Delprato, capitano del Parma da questa stagione. Un passaggio di consegne da chi, come Buffon, ha fatto la storia del club, e non solo: "E' un grande orgoglio avere questa responsabilità in una piazza importante come questa". Leader carismatico dello spogliatoio, ma in fondo questo lo è sempre stato, e ora ha avuto la possibilità di portarne avanti gli ideali. Perché "nel calcio come nella vita bisogna dare l'esempio con i fatti e non soltanto con le parole" e tradotto sul campo: "Rispetto, umiltà e essere positivi". Parole da leader. Parole di Delprato a Gianlucadimarzio.com.

L'eredità di Buffon e l'amore per Parma

Un leader è colui che guida e sostiene senza dirigere e incolpare. L'ha detto Teddy Roosvelt, ma è una frase che trova conferme anche nelle parole di Delprato: "Voglio essere un punto di riferimento ed essere un affidamento nel poter aiutare gli altri. Sia per i miei compagni ma anche in generale al di là del campo". Giovane, ma con una maturità da veterano e ha avuto la fortuna di poter osservare da vicino Buffon: "Mi sento fortunato ad aver avuto la possibilità di giocare con lui due anni. Lo racconterò ai miei nipoti. Una persona genuina, umile e trasparente". Ma a colpirlo è stata "la sua positività anche nei momenti difficili" e "il fatto di spronare tutti, soprattutto chi giocava meno". Scrutare, osservare e mettere in pratica: "Ho tanto da imparare, ma sto dando il massimo per aiutare il gruppo". Nel calcio come nella vita perché essere capitani vuol dire anche "Aiutare il prossimo, questo mi rende felice". Valori importanti, tradotti poi anche nelle parole verso i compagni: "Non esiste l'io, ma solo il noi. Siamo tutti amici e in una stagione questo fa la differenza. E il nostro gruppo è forte e la squadra lo sta dimostrando sul campo".

Nelle vittorie, ma anche negli ultimi risultati: "Danno un segnale molto forte, perché i pareggi ottenuti (contro Palermo o Modena) valgono molto di più per come sono arrivati". Niente alibi nonostante gli episodi avversi: "Quelli esistono e fanno parte del calcio, ora ci girano contro ma siamo stati bravi a reagire". Il tutto è stato aiutato anche dalla conferma del gruppo: "E' stato importante portare avanti un progetto tecnico con l'inserimento di quei 3-4 giocatori funzionali al nostro gioco. Siamo un gruppo giovane ma già con esperienza". Una sinfonia perfetta che ha come direttore d'orchesta Fabio Pecchia: "Ci ha fatto capire che tutti siamo importanti. Lavoriamo con entusiasmo e con grande equilibrio, anche nei momenti difficili. Oltre a questo sa gestire molto il rapporto umano". Staff, gruppo ma anche i tifosi: "Ci stanno spingendo tantissimo e vogliamo concludere positivamente la stagione anche per loro. E' bello vedere persone di tutte le età che ti fermano, ti seguono e ti sostengono. Li stiamo coinvolgendo e questo ci fa piacere". Da due anni e mezzo vive in città e ormai Parma è diventata la sua seconda casa: "Non trovo troppe differenze con Bergamo. Sono città simili sia dal punto di vista sociale e sia in quello calcistico, perché c'è tutto per lavorare con tranquillità e al meglio". Poche differenze se non nella cucina, dove Enrico esprime una leggera preferenza: "A Parma si mangia bene c'è la base della cucina italiana". La leggerezza del capitano con un legame particolare per le sue radici e la sua famiglia.

Il valore della famiglia, il basket e l'Atalanta

Un salto indietro, nel passato, al Delprato bambino e sognatore: "Il calcio è sempre stato nella mia vita, mio papà giocava, però i miei genitori non mi hanno mai indirizzato anzi mi hanno sempre lasciato libero di scegliere". E per un momento la scelta è ricaduta sul basket: "Ci avevo giocato a scuola nell'ora di educazione fisica e tornando a casa dissi loro di voler dare priorità a questa strada, ma...". A far cambiare idea a Enrico è arrivata puntuale la chiamata dell'Atalanta: "Ho fatto un provino con loro, mi hanno preso e ho iniziato nella categoria dei pulcini. E' stato uno stimolo". Poi scherza: "Nel basket, per la statura, avrei potuto fare soltanto il playmakers (ride n.d.r.)".

Una passione che è rimasta: "Quando posso vado a seguire l'Olimpia Milano". E in generale è appasionato di tanti altri sport: "Seguo la pallavolo, il baseball, il football americano o anche il tennis. Mi piace vedere e osservare come vivono l'aspetto sportivo anche negli altri settori e le differenze con il calcio". Questione di valori. E qui si torna alla famiglia: "Mi hanno insegnato tanto e sono stati bravi a martellare sull'aspetto scolastico". Nonostante le difficoltà dovute agli allenamenti: "Tra Allievi e Primavera non è stato facile ma sono contento del percorso che ho portato a termine". E anche con l'Atalanta è riuscito a togliersi tante soddisfazioni: "Il gruppo dei '99 dell'Atalanta è sempre stato molto forte: abbiamo vinto il campionato Allievi e poi, due anni dopo, la Primavera". Tra l'altro al Tardini, ma ironia della sorte: "Ero al Mondiale U20 con l'Italia".

Il rinnovo col Parma, l'Italia e l'idolo Maldini

A Parma però c'è arrivato lo stesso qualche anno dopo e ora in campo sta costreuendo il suo futuro, compreso il rinnovo: "Non ho esitato ad accettare la proposta della società perché è difficile trovare un club con un progetto solido come questo e spero di farne parte anche per i prossimi anni". E l'obiettivo è chiaro: "Andare in Serie A con il Parma, sarebbe un sogno e una sorta di regalo per mio papà, lui l'ha soltanto sfiorata con l'AlbinoLeffe". Tornando alla convocazione con la maglia azzurra: "L'esperienza più bella è quella al Mondiale U20, per il fatto di misurarsi con giocatori di altri Paesi e capire anche le differenze. Poi la finale nell'Europeo U19 e sono arrivato fino all'U21". Sempre con il Ct Nicolato: "Lui mi ha aiutato e dal punto di vista umano mi ha trasmesso tantissimo". Manca soltanto l'ultimo step: "La Nazionale maggiore per chiudere il cerchio, ma è difficile pensarci ora. Devo superare altri step e dimostrare ancora tanto". Ma il mantra da seguire è sempre lo stesso: "Niente è impossibile. Lavorare, dare il massimo e non porsi limiti".

Nemmeno in campo perché anche nei ruoli non ne ha. Centrocampista, esterno, terzino o braccetto nei tre, ma lui risolve: "Ovunque purché sia sul lato destro, dove posse rendere al meglio (ride n.d.r.)". E la sua svolta è stata proprio nella chiamata di Nicolato: "A Livorno giocavo poco da centrocampista, ma in Nazionale il Ct mi ha chiamato per dirmi che aveva bisogno di me come terzino destro e giocando lì poi nel club ho giocato tutte le partite successive". Da Livorno a Reggio Calabria fino a trovare la sua dimensione a Parma per portare avanti i suoi ideali, da capitano. E i suoi punti di riferimento non sono poi così lontani: "Calcisticamente Maldini, perché da piccolo ho sempre avuto un debole per il Milan. Ha fatto la storia del calcio italiano. Prima di lui però dico mamma e papà. Loro sono i veri idoli perché mi hanno supportato, sopportato e insegnato tanto soprattutto a livello personale". Questione di valori, gli stessi che ora mette in campo con il suo Parma. Nel calcio come nella vita perché l'esempio parte da lontano. Parola di Delprato.

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