Emery: "L'Arsenal non mi ha protetto: mi sono sentito solo"

Quello che poteva essere e non è stato. Unai Emery mastica ancora amaro per com'è finita la stagione 2018-19 dell'Arsenal: la finale persa contro il Chelsea in Europa League, e le tre sconfitte ravvicinate contro Crystal Palace, Wolves e Leicester, che sono costate il quinto posto e la beffa della mancata qualificazione in Champions League che invece sembrava cosa fatta. Una stagione che sarebbe potuta essere quella del rilancio Gunners dopo l'era Wenger e che invece è divenuta il prologo della fine della storia tra l'allenatore basco e il club londinese, a suon di "Emery out" e commenti niente affatto gentili. In una lunga intervista concessa al Guardian, Emery ripercorre la sua esperienza all'Emirates.

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"La prima stagione abbiamo fatto bene. Ho pensato: questa è la mia squadra. E la gente diceva di vedere la mia personalità riflessa nella squadra. Abbiamo giocato grandi partite, con intensità ed energia, raggiungendo la prima finale europea dell'Arsenal dopo 13 anni. Potevamo arrivare terzi, ma poi abbiamo perso quei punti decisivi in modo per me ancora oggi incomprensibile". Emery dà grande peso all'infortunio di Ramsey: "Era al suo meglio e aveva grande influenza sulla squadra: portava positività ed energia. Col suo infortunio era necessario che ogni altro giocatore desse il 100%. Ma alcuni giocatori hanno una mentalità del tipo 'un giorno sì, l'altro no', quando nel calcio dovrebbe essere 'un giorno sì e l'altro pure'. Ci è mancato quel plus nelle ultime settimane: se l'impegno scende sotto il 100%, puoi perdere. Come è accaduto a Baku contro il Chelsea".

Proprio su Ramsey, Emery sottolinea come la sua partenza già programmata - direzione Juventus - sia stata un errore da parte del club. E svela poi un retroscena: "All'inizio voleva restare. Doveva negoziare un nuovo contratto con l'Arsenal, ma non è stato trovato l'accordo. Il club aveva dei dubbi sul rinnovo a certe cifre e Ramsey voleva sentirsi apprezzato". Un altro giocatore di cui parla Emery è Ozil: "Con lui ho parlato tanto. Deve essere autocritico e analizzare la sua attitudine e il suo impegno. Ho fatto di tutto per aiutarlo: lo volevo coinvolto, al centro del progetto e nello spogliatoio. Sarebbe potuto essere anche il capitano dell'Arsenal, ma i calciatori non hanno voluto. I capitani sono quelli che difendono club, allenatore e compagni".

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Tornando al rapporto con tifosi e proprietà, Emery confessa di essersi sentito un bersaglio troppo facile quando le cose andavano male. E prende ad esempio le prese in giro subite per la sua pronuncia in inglese: "Lo parlavo discretamente, anche se so che dovevo migliorare. Quando perdi, poi, ti manca la profondità linguistica per spiegare. Mi prendevano in giro quando dicevo 'good ebening'. Ok, so che è 'good evening'. Ma quando vincevamo tutti pensavano fosse divertente, quando perdevamo diventava una disgrazia". Emery confessa poi di non essersi sentito protetto: "Lorca, Almeria, Valencia, PSG, Siviglia: mi sono sempre sentito protetto. All'Arsenal non sono stati capaci di farlo, forse perché erano reduci da Wenger che faceva tutto. Mi dicevano: 'Siamo con te, ma di fronte a tifosi e spogliatoio non mi hanno protetto. La verità è che mi sono sentito solo". Emery, poi, non è stato molto convinto di alcune scelte di mercato: "Pepé? Un ottimo giocatore, ma con lui serviva tempo. Avrei preferito uno come Wilfried Zaha, che conosceva la Premier e aveva dimostrato di saper vincere da solo certe partite. La società scelse Pepe per il futuro, ma io dissi che dovevamo vincere subito".

"Forse - conclude Emery - se Aubameyag avesse segnato quel rigore contro il Tottenham sarebbe cambiato tutto. Critico anche me stesso: in certi momenti non sono stato bravo a portare a casa i risultati. Ma mi sono goduto comunque l'esperienza all'Arsenal, lo seguo ancora. Arteta è stato la scelta giusta. Ho parlato con lui verso Natale, auguro il meglio a lui e all'Arsenal. Io? Il desiderio e l'energia per tornare in panchina ci sono, se arriva una chiamata dalla Premier sono disponibile. Io vengo da San Sebastian e la mia squadra del cuore è la Real Sociedad. Dalle mie parti ti identifichi col club e questo l'ho ritrovato in Inghilterra: è come andare in chiesa, mantiene il gioco in vita".

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