Diego, per sempre
Diego, papà e io. La prima volta che si associa il suo nome a quello della mia famiglia, io avevo solo quattro anni. Papà allenava il Napoli e nell’estate del 1978 decide di viaggiare verso l’Argentina, a caccia di qualche talento. La storia di come ha scoperto Maradona, dei tentativi che ha fatto per portarlo il più in fretta possibile in Italia, ve l’ho già raccontata.
A ripensarci, mi emoziono ancora. Un po’ come quando Diego, nella sua prima intervista rilasciata a Fabrizio Maffei della Rai (era ancora sull’aereo che da Barcellona lo avrebbe portato a Napoli) disse: “Perché Napoli? Era destino dal 1978, quando Gianni Di Marzio fu il primo a parlarmene per cercare di portarmi da voi”. La nostra storia insieme comincia qui e si porta avanti a tappe. In Italia, Diego non cerca Gianni, Gianni non cerca Diego. Non tanto, almeno: ho sempre pensato fosse una forma di rispetto. A ciascuno il proprio lavoro, senza interferenze.
A Padova, però, è capitato il mio primo incontro con lui. Indimenticabile. Precisamente a Selvazzano, a pochi chilometri dalla città, dove Maradona si sta allenando da solo perché leggermente infortunato. Gli dicono che c’è un bambino che fa di cognome Di Marzio, mi fanno passare e lui mi invita a sedermi a bordocampo per godermi i suoi palleggi da supereroe. Non sto a dirvi come palleggiava: sarebbe superfluo. Poi lui va negli spogliatoi, e io resto in un angolo. Emozionatissimo. Non parlo. Sto lì, immobile, aspettando che quel gigante mi desse un segno. Lo fa: mi prende per mano e mi porta in giro con lui. Ecco, quello è il mio primo ricordo con Diego, quelle le mie prime foto.
Passa qualche anno e ci rivediamo a Cosenza: il suo Napoli batte 3-0 in Coppa Italia la squadra di papà. Per consolarmi, mi regala la sua dieci. Sudatissima ma profumatissima, non so come fosse possibile. Avete presente Proust? Quel profumo mi rimanda a quel ricordo preciso: mai sentito così forte altrove. Ora quella maglia è stata lavata, ed è nel mio armadio a fianco alla seconda foto scattata con lui. Papà? Quella volta l’incontro fu molto più formale.
L’ho già detto: Diego non cerca Gianni, Gianni non cerca Diego. Due strade parallele, con pochi incroci. Sono anche riuscito a intervistare Maradona, a Sky: per me fu un sogno e ho capito perché papà ha quasi voluto più bene a lui che a me. Ve lo spiego.
In Italia si sono sentiti meno di quello che avrebbe voluto: poche telefonate, pochi contatti. Però un giorno succede una cosa: Diego era a cena a casa di Salvatore Bagni, io a passeggiare con papà. Squilla il mio telefono, glielo passo: “Ti vuole un amico”. “Pronto Gianni? Ciao, sono Diego…”. Due battute con lui e gli occhi sono diventati improvvisamente lucidi. Un po’ come i nostri, quando abbiamo saputo che Maradona non sarebbe più stato con noi. Allora, a passeggio con papà, ho capito cosa volesse dire essere felici. Oggi, invece, cosa vuol dire lasciare il segno.
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