Non così
Ore 8.33 di un martedì di maggio. Un tweet, 210 piccole ferite nel cuore dei tifosi: “De Rossi lascia la Roma”. Come? Quando? Non è possibile. Così? Con un tweet? Sì, attraverso quei social da lui tanto odiati. Le stringhe di un comunicato, la freddezza di una nota pubblicata sul sito ufficiale per comunicare la fine di un amore. La peggior sveglia che i tifosi giallorossi potevano immaginare. 14 maggio 2019, finisce un’era.
“Roma-Parma sarà la sua ultima partita con la maglia della Roma”. Piccole ferite che diventano coltellate: “De Rossi non si ritirerà dal calcio giocato, ha intenzione di intraprendere una nuova avventura lontano dalla Roma”. Una volontà spesso ammessa senza timori. Gli States come chiusura di un cerchio familiare ormai internazionale, la suggestione Boca Juniors per inseguire quell’istinto emozionale manifesto del suo calcio. Comunque lontano da Roma, lontano dall’Italia. Possibilmente senza dover mai incontrare quella maglia da avversario.
Ma il calcio è passione, tormento, esaltazione, eccitazione, sofferenza, gioia. L’intangibile che diventa tangibile grazie a un pallone. Un involucro di sentimenti romanisti portati con orgoglio per 18 anni, terminati con un tweet. Per questo non doveva finire così. Ma non finirà come Totti, ne siamo certi. Non è nelle sue corde. E soprattutto non si è mai messo e mai lo farà, alla pari della storia della Roma. Francesco è stato Francesco, Daniele è Daniele. Sobrietà e appartenenza. Con la stessa forza emozionale. Perchè la Roma prima di tutto, la maglia sopra a tutto.
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