Zugno, la partita della vita: "Calcio e scuola, così combatto il tumore"

“Qualcuno si potrebbe chiedere: 'Ma chi te lo fa fare?'. Solo la passione: il mio vestito migliore è la maglietta che indosso la domenica con la fascia di capitano. Quello che porto in settimana serve solo a coprirsi”. Da buon difensore, Damiano Zugno è uno che non molla un centimetro. Soprattutto da quando lotta contro la malattia: la delicata operazione, la terapia, il ritorno in campo.

Oggi che la vita sta tornando alla normalità, Damiano ci ha voluto raccontare la sua storia in un’aula dell’Istituto Paritario Galilei di Treviso. “Non fate caso alla lavagna, non insegno mica russo!”. Già, calciatore la domenica e professore di italiano e storia durante la settimana. Il pallone e la scuola sono il mio motore, spiega Zugno, 30 anni, in esclusiva a GianlucaDiMarzio.com. Una doppia strada intrapresa dopo qualche infortunio di troppo e un contratto da professionista che finite le giovanili non è arrivato.

“Ma sono riuscito comunque a togliermi le mie soddisfazioni. Da ragazzo al Venezia ero in squadra con Sirigu e Foti, poi ho giocato un Europeo con la Nazionale dilettanti insieme a Caputo e Siligardi. Mi fa piacere vedere dove siano arrivati oggi, con Ciccio che sfonda spesso e volentieri le porte della Serie A”. E per Damiano, nel 2008 il sapore del debutto in B con la maglia del Mantova. “Contro il Rimini, 1-1. Un ricordo splendido, anche se la partita per me era terminata con un’espulsione per doppia ammonizione. Abbastanza frettolosa, a mio avviso. Però avevo comunque giocato contro Ricchiuti e Consigli. Non lo possono dire in tanti.





“Dei ragazzi del Mantova oggi sento ancora Filippo Cristante, che allena la Berretti del Pordenone. Ricordo tutti con grande piacere: Sacchetti, Brivio, Godeas. E c’era anche Stefano Fiore, arrivato direttamente da Valencia con grande scalpore. Così la mia microstoria si intreccia con quella dei campioni: quando si è dentro a questo mondo ci si rende conto quanto sia difficile arrivare in alto e quanto invece sia facile cadere”.

E allora la svolta accademica. “Mi sono laureato in storia, con una tesi in storia militare”. Tattica e schieramenti che si ritrovano nel calcio. “Ma anche il vantaggio della concentrazione collettiva è una lezione di cui far tesoro. Io credo che le esperienze vissute possano sempre creare punti di contatto tra loro. Anche quando sono diventato professore: l’importanza di combattere fino alla fine e di dare il massimo la domenica sono principi che trasferisco ai miei ragazzi a scuola. E viceversa, la capacità di analizzare necessaria a lezione si ripropone in spogliatoio studiando l’avversario”.

La Serie D a Suzzara e a Trento, poi il ritorno a casa. Noale, Edo Mestre, Martellago. Tra Eccellenza e Promozione, vincendo anche un campionato e una coppa di categoria. Quando si ha passione per questo sport ci si può sentire importanti anche in serie minori”. Dall’anno scorso Zugno gioca per l’Istrana (Eccellenza veneta, in girone con Treviso e Mestre). Poi, a settembre, il fulmine a ciel sereno. “All’esordio stagionale avevo anche segnato un gol. Ma proprio il primo giorno di scuola ho accusato un malore e mi hanno ricoverato in ospedale”. La diagnosi è di quelle che non si vorrebbero mai sentire. “Carcinoma cerebrale di media intensità. L’operazione è andata bene e ora sto cercando di vincere definitivamente questa battaglia attraverso la radio e la chemioterapia”.

Come hanno fatto Acerbi e Russ. E anche per Zugno, è arrivato puntuale l’affetto del mondo del calcio. “Devo ringraziare soprattutto Filippo Cristante, che si è attivato per far sapere la mia storia. Lui è di San Vito al Tagliamento come il Cristante della Roma e sa che sono un tifoso giallorosso. Così mi sono arrivati i messaggi di Bryan e di De Sanctis, oltre a quelli di altri ex compagni (Notari e Tarana a Mantova, Benussi a Venezia) e calciatori (Stefani, capitano del Pordenone) che attraverso Filippo hanno voluto mandarmi il loro incoraggiamento. Una fonte di forza, un motivo in più per continuare questa partita”.


Ma anche sul campo, Zugno è riuscito a recuperare a tempo di record. “'Vai e divertiti!', mi ha detto il medico a gennaio, con la dovuta accortezza. Così per la partita del 6 ero a disposizione, anche se non avevo tanti allenamenti alle spalle e mi sto ancora abituando a giocare con il caschetto protettivo”. Come Chivu e Cech. Il match del rientro è proprio a Noale, contro la sua ex squadra. “Eravamo sull’1-1 e curiosamente il mio ingresso in campo è coinciso dopo qualche minuto con il nostro vantaggio. Io non ho avuto un ruolo attivo in quell’azione, ma in qualche modo devo aver dato una scossa, quel qualcosa in più alla squadra per portare a casa la partita. Mi ricordo gli applausi e l’affetto di tutti i presenti, la gioia al fischio finale: è stata una liberazione”. Gli brillano gli occhi.

“In questo momento difficile il calcio e la scuola mi hanno fatto sempre sentire sempre vivo, continua Damiano. “La società e i miei compagni sono stati fantastici, per non parlare dei ragazzi del Galilei. Sono subito venuti a trovarmi in ospedale: un gesto che mi ha fatto capire il loro attaccamento e la bontà del lavoro svolto in questi anni. In fin dei conti vivono la loro gioventù, non bisogna dare le cose per scontato. E che festa al mio ritorno in classe! Ma ora è tempo di marciare, soprattutto per chi ha la maturità”. Il prof è sempre il prof.

Facciamo un giro per la scuola, ci presenta la sua classe. “Dai prof, venga vicino a me a farsi la foto!”: che gli vogliano un gran bene non c’è dubbio. Alla fine, Zugno ci vuole salutare con un messaggio. “Di fronte a partite così difficili è fondamentale trovare delle ancore a cui aggrapparsi. Nel mio caso sono state il pallone, il mio lavoro e i miei cari. Mi rivolgo soprattutto a coloro che stanno vicino a chi sta male: sopportate sempre e con forza, da stabili appoggi. Anche nei momenti di rabbia, che all’interno della malattia sono inevitabili”. La partita di Damiano continua. Registro in mano e fascia di capitano al braccio.



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