Dal Foggia dei miracoli al Rolex di Spalletti, Petrescu si racconta: "Luciano è il miglior allenatore in Serie A. Zeman mi ha rovinato la schiena"

“Quando allenavo in Russia dissi a Spalletti che prima di affrontarci di nuovo lui sarebbe stato matematicamente campione. Lui mi promise un regalo e quando la mia previsione si avverò si presentò nel nostro spogliatoio con una borsa che conteneva… un Rolex!”. Un rapporto particolare quello tra l’allenatore nerazzurro e Dan Petrescu, nato perché i due erano gli unici allenatori stranieri nella Premier League russa e coltivato negli anni fino ad oggi: “Guardo le partite dell’Inter da tifoso solo per lui, personalmente lo considero il miglior allenatore in Serie A”.

I legami tra Petrescu, oggi allenatore in Romania con il CFR Cluj, e l’Italia non si fermano però ovviamente alla figura di Luciano Spalletti, ma affondano le loro radici negli esordi da calciatore del rumeno, passando per l’approdo al Foggia e i rapporti creatisi anche con Vialli e Zenga. Cronologicamente parlando la prima esperienza che condivide con il calcio italiano la vive da avversario, durante la finale di Coppa dei Campioni del 1989 in cui è titolare della Steaua Bucarest sconfitta dal Milan per 4-0: “Quel Milan penso sia il migliore ci sia mai stato. Sacchi era in quel momento il migliore allenatore al mondo e il gruppo di olandesi formato da Van Basten, Rijkaard e Gullit dominava in lungo e in largo. In ogni caso - confessa ai microfoni di gianlucadimarzio.com - la nostra prestazione non fu all’altezza di quella serata, ci furono problemi all’interno della squadra ed il viaggio per arrivare a Barcellona fu massacrante, per questo ho sempre pensato che probabilmente quella finale l’avremmo persa in ogni caso, ma magari non in maniera così netta”.

L’arrivo nella nostra Serie A nel “Foggia dei miracoli” degli anni ’90 nasconde un aneddoto particolare, una vera e propria sliding door che avrebbe potuto cambiare completamente la sua carriera: “Ricordo che ero in aeroporto con l’idea di andare ad Istanbul per firmare col Fenerbache, quando il mio procuratore quasi mi costrinse a cambiare tutti i piani per andare in Italia a conoscere Pasquale Casillo e Zdenek Zeman. Annullai il volo per la Turchia, ma restai a Bucarest per decidere fino a quando fu lo stesso allenatore a raggiungermi e spiegarmi la sua idea di calcio votata all’attacco ed ovviamente non ebbi più dubbi sul se accettare”.

La differenza rispetto al lavoro in allenamento provato in patria era enorme, ma gli esercizi imposti da Zeman hanno avuto degli ottimi risultati sul prosieguo della sua carriera, creandogli però qualche problema di troppo attualmente: “Il lavoro a cui ci sottoponeva era davvero duro, fortunatamente ho avuto modo di provare quest’esperienza ad inizio carriera, così che tutto quello che è venuto dopo sembrasse molto più semplice. Anche se gli allenamenti sugli spalti mi hanno rovinato la schiena (ride, ndr)”.

Gianluca Vialli da calciatore prima e allenatore poi la squadra vince tre trofei, compresa la Coppa delle Coppe: “Quando Gianluca arrivò al Chelsea da calciatore siamo diventati molto amici, si era creato un gruppo molto solido insieme anche a Zola e Di Matteo. Era un professionista straordinario, difficilmente mi è capitato di incontrare una persona altrettanto dedita al lavoro, lo apprezzavo davvero tanto”.

Non è però oro tutto quel che luccica e nel passaggio da calciatore ad allenatore qualcosa si rompe: “Ci fu una differenza sostanziale nel rapporto con lui e ad esempio quello con Gullit” - entrambi compagni di squadra prima di essere nominati allenatori, con l’olandese sostituito a stagione in corso - “Ruud mi offrì un nuovo contratto appena cambiato ruolo, mentre Vialli mise immediatamente in chiaro che da quel momento il nostro rapporto sarebbe stato differente, lasciando da parte la nostra amicizia. Non penso ce ne fosse bisogno, avremmo tutti rispettato la sua figura da professionisti quali eravamo, e da quel momento il clima non è stato dei migliori”. La stagione finì comunque in un trionfo per i Blues: “Quell’anno resta molto positivo per la storia del Chelsea, arrivarono tre trofei ed ora a distanza di vent’anni anche il club vuole celebrare quell’anniversario. Con Gianluca magari non c’è più stata la stessa amicizia, ma quando ci incontriamo abbiamo ancora un rapporto normale, questi sono episodi che capitano durante la carriera”.

Non mi sorprese la dichiarazione che fece in rosanero sullo scudetto, è sempre stato un ottimista. A lui come avversario sono legati due dei ricordi più belli della mia carriera da calciatore: il mio esordio con la Romania vissuto contro la sua Italia ed il mio primo gol in Serie A, ovviamente con Walter in porta".

Oltre all’aneddoto sul Rolex ricevuto, è il momento per Petrescu di raccontare più approfonditamente dell’inizio del rapporto con Spalletti: “All’inizio dell’esperienza in Russia con il Kuban' eravamo in seconda divisione e dovevamo affrontare una trasferta a San Pietroburgo, quindi chiesi ad un amico di procurarmi il numero di Luciano perché volevo conoscere il mondo Zenit. Lui mi accolse alla grande una volta lì e per questo lo rispetto molto, iniziammo a stringere questa amicizia partendo dalla mia promessa di affrontarci una volta raggiunta la promozione e da allora siamo sempre stati in contatto. Apprezzo tantissimo la qualità che riuscì a portare allo Zenit”. Anche in questo caso però non si limita tutto ai bei ricordi, anzi in un episodio l’amicizia tra i due fu messa a serio rischio: “Quando allenavo la Dinamo Mosca in una partita con lo Zenit, i tifosi avversari lanciarono in campo un petardo che colpì in testa il nostro portiere mentre eravamo già in vantaggio per 1-0. Si decise di interrompere la partita e darcela vinta a tavolino, per questo motivo Spalletti era talmente furibondo che per un po’ di tempo non abbiamo parlato, prima di riuscire a risolvere la cosa”.




Gli anni successivi all’esperienza russa, l’allenatore rumeno li vive prima negli Emirati Arabi e poi in Cina, toccando con mano i movimenti calcistici in costante crescita nell’ultimo decennio, forti di una grandissima potenza economica alle spalle. Soprattutto il mondo cinese sembra essere avanti anche rispetto a quello europeo per un aspetto in particolare: “C’è più voglia di investire rispetto all’Europa non solo negli acquisti ma anche nelle infrastrutture e soprattutto negli stadi. Sinceramente penso che lì ci siano stadi migliori rispetto all’Italia e la Spagna, ma sono probabilmente superiori anche a quelli che hanno in Germania o in Portogallo, dove ci sono stati gli Europei. Può esserci una sorta di competizione solo con quelli inglesi, che si rinnovano costantemente e restano un grande spettacolo”.

La differenza sostanziale tra le due esperienze è da identificare nel maggiore seguito che il calcio cinese riesce a creare: “Negli Emirati Arabi ed in Qatar c’è la stessa voglia di investire ma manca lo stesso seguito, lì giocavamo in questi stadi ultramoderni senza un vero tifo a sostenerci, mentre in Cina non c’erano mai meno di 50 o 60mila spettatori paganti. Proprio questo calore è il motivo per cui il calcio cinese ha una marcia in più rispetto al semplice aspetto economico”.

Dal punto di vista tecnico invece lo sviluppo in Cina è ancora in corso, ma si è messo sulla strada giusta grazie all’aiuto di allenatori e dirigenti che hanno scritto la storia di questo sport: “Ogni anno il campionato cresce sempre di più, non solo per la qualità degli stranieri ma anche per quella dei calciatori locali: conosco degli atleti cinesi che potrebbero tranquillamente giocare dovunque qui in Europa. Qualche mese fa - prosegue Petrescu - anche Cannavaro è arrivato in una grande squadra, quel Guangzhou che domina ogni anno il campionato, e raccoglie l’eredità di allenatori che hanno vinto il Mondiale come Lippi e Scolari. In più sono convinto che anche gli stranieri possano crescere lì e sono stato davvero contento di vedere un amico come Paulinho arrivare fino al Barcellona, dove sta facendo una grande stagione”.

Dopo aver spiegato perché secondo lui manca ancora molto al vedere un talento cinese imporsi in Europa - “Il livello già ora non è lontano, ma rispetto a calciatori coreani come ad esempio Son del Tottenham, che per me è un vero fenomeno, molti cinesi semplicemente vengono pagati molto di più senza doversi allontanare da casa” - è il momento di analizzare la sfida di domenica lo vedrà affrontare la sua Steaua nel big match del campionato rumeno, con un commento anche sulla struttura di quest’ultimo: “Non può ancora essere la partita decisiva della stagione perché a causa dell’incredibile regolamento del campionato qui in Romania, ora abbiamo soli 2 punti di vantaggio invece dei 4 che avevamo meritato durante l’anno (alla fine del campionato infatti le 6 squadre migliori iniziano un nuovo torneo con i punti dimezzati ed arrotondati per eccesso). Mancano ancora 9 partite e non possiamo pensare neanche con una vittoria che il campionato sia definitivamente chiuso. Affrontare la Steaua sarà sempre un’emozione particolare, sono cresciuto in quella società e la porterò sempre nel cuore, ma da professionista farò anche di tutto per batterla”.

Per ora Petrescu si dice convinto nel rimanere ancora a lungo sulla panchina del CFR Cluj, ma non esclude un possibile futuro in Italia: “Sono stato contattato più volte per un posto da allenatore soprattutto in Serie B. Ricordo che Spinelli - presidente del Genoa quando ci militò Petrescu - mi offrì la panchina del Livorno quando ero in Russia, ma non ne ero convinto fino in fondo e feci una scelta differente. In futuro è sicuramente qualcosa che vorrei provare, così come magari un’esperienza in Inghilterra, ma lo farò solo quando mi sentirò pronto: non voglio partire per stare via un anno e dover immediatamente tornare indietro, ho bisogno della certezza di un progetto che mi coinvolga”. E chissà che dopo aver girato tutto il mondo non sia proprio la Serie A la destinazione finale, per costruire definitivamente il suo ciclo vincente anche in Europa. Google Privacy