Cucchi: "Tifo Lazio da sempre, ma ho gioito pure per lo scudetto della Roma"
La prima fu nel 1982, Campobasso-Fiorentina di Coppa Italia, l'ultima alla "scala del calcio", 12 febbraio 2017, Inter-Empoli: 35 anni di radiocronache per Riccardo Cucchi. Serie A, Coppa Italia, Campionati Europei, Coppa delle Coppe, Coppa Uefa, Coppa dei Campioni... non manca niente nel palmares e per Cucchi all'attivo anche una Champions con l'Inter nel 2010 e la Coppa del Mondo dell'Italia nel 2006. Adesso la vita da pensionato è strana:
"Dopo aver ascoltato “Tutto il calcio”, io e mia moglie siamo andati a fare un giro nel centro di Roma" - si legge nelle pagine del Corriere della Sera - "E sono rimasto molto colpito dalla bellezza della domenica, con tutte le persone in giro. Dopo una vita di calcio, stadi e aeroporti, ho scoperto di avere un sacco di cose da recuperare. Tipo il violino. L’ho ripreso in mano ed è stato un disastro assoluto. Mio nonno paterno Piero era direttore d’orchestra al Regio di Torino. D’estate andavo là in vacanza. Ho cominciato così. Partite? Quelle della domenica pomeriggio le seguo rigorosamente alla radio. Voglio tornare a essere solo un ascoltatore, anche se ci sono colleghi che mi chiamano per sapere come sono andati. Ma non mi permetto di giudicare. E nemmeno lo voglio: mi è rimasto solo il piacere di ascoltare, tornando il bambino nato nel 1952 e che quindi ha ascoltato “Tutto il calcio minuto per minuto” fin dalla sua prima puntata, nel 1960. E quando suo padre gli regalò un registratore Geloso, si produceva in finte radiocronache con giocatori veri, scelti tra le figurine".
Squadra del cuore? La Lazio, che ora potrebbe vedere da tifoso: "Ho la curiosità di vederla tra i tifosi. Sono curioso di sentire che effetto mi fa la partita senza la mia voce sopra, riassaporando il sapore del pubblico, dei suoi rumori e del suo silenzio. Radiocronache della Lazio? Posso solo dire che Gianmarco Calleri, presidente della Lazio a cavallo tra gli anni 80 e i 90 una volta chiamò il mio capo di allora, Mario Giobbe e gli disse: “La smetti di mandarmi radiocronisti tifosi della Roma?”. Da ragazzo io andavo in trasferta coi torpedoni della Lazio. Nel 1974 ero in curva quando vincemmo lo scudetto grazie al rigore di Chinaglia contro il Foggia. Ovviamente, avevo la mia radiolina all’orecchio, dalla quale sentivo Ameri gridare “Lazio campione d’Italia!” e mi dicevo “Chissà se un giorno una cosa del genere capiterà anche a me”. Nel 2000 mi è successo... Ma nel frattempo avevo imparato che quando fai questo lavoro impari ad apprezzare tutti e a rispettare la passione di chi ascolta. In una partita ci sono la gioia e la delusione: tutti i tifosi devono poter godere le loro emozioni attraverso di te. Ho gioito per tutti gli scudetti, dico davvero: compreso quello della Roma nel 2001. Anche se so che non mi crede nessuno".
Cucchi ha terminato la carriera a Milano con una maglia celebrativa dell'Inter: "Il caso ha voluto che la mia ultima partita sia stata Inter-Empoli. Ma non mi aspettavo né l’applauso di tutto lo stadio né lo striscione di saluto degli ultrà, né di vedere sul tabellone i gol di Milito nella finale di Champions 2010, raccontati dalla mia voce: cosa che per me è stata una prima assoluta. Ho fatto fatica a non commuovermi. Mondiale del 2006? Chi se lo immaginava, prima, che l’Italia sarebbe potuta andare anche solo in finale. Ancora adesso ho i brividi a ripensare che ho avuto lo stesso onore toccato a Nicolò Carosio nel 1934 e ’38 e a Martellini nel 1982. Mi ricordo che ero così pieno di adrenalina che ho vagato tutta la notte a piedi per Berlino. Ho ripetuto "campioni del mondo" come Martellini. Mi ero preparato delle cose. Ma poi decisi che non era il caso di avere pronte due versioni, per la vittoria o per la sconfitta. Mi dissi: “Andrò come mi viene”. E mi è venuto spontaneo fare così. Magari è stato banale, ma Martellini (che tra l’altro veniva dalla radio) era stato straordinario. Mi sembrò coerente, per quanto non pianificato, citarlo omaggiandolo".
Consigli su come iniziare la radiocronaca? Cucchi rispolvera quello di Ameri: "Mi disse: “Vai in bagno perché poi non avrai più tempo…”. Ero entrato in Rai per concorso nel 1979. Avevo fatto un lungo corso di formazione: il nostro maestro di dizione era un certo Arnoldo Foà. Poi era iniziato un lungo periodo di affiancamento. Dovevamo stare al fianco di Ameri e Ciotti. Muti. E guardare come lavoravano. Al massimo tenevamo il conto dei corner. Col terrore di sbagliare. Avevo 27 anni, quella frase di Ameri fu in realtà il suo modo di dirmi di stare calmo. E comunque fu un consiglio fondamentale: che ho seguito sempre, verificando ogni volta quanto avesse ragione...". Altri consigli: "Sui dati statistici resto dell’idea che non dobbiamo citarne troppi. Meglio avere pochi appunti e raccontare molto. Anche perché si corre un rischio, quello di abbassare lo sguardo sui fogli mentre la palla è in gioco, perdendo qualcosa di fondamentale. Quindi: gli appunti vanno guardati solo a palla ferma. La mia regola n. 1 è “raccontare sempre dov’è la palla”: se non lo fai, impedisci all’ascoltatore di ricostruire quello che sta succedendo. Locuzioni come “tiro sotto misura” di Ciotti, cioè da vicino, sono fondamentali. Bisogna sempre dire se la palla è nella zona di centrocampo o se un tiro viene effettuato da 25 metri. Solo così si aiuta a visualizzare il pallone".
In chiusura d'intervista un consiglio al calcio: "Non dimenticare mai che, pur essendo una grande industria, non produce macchine o cioccolatini ma passione. Quindi il tifoso va trattato da appassionato, non da cliente. I dirigenti (italiani, cinesi o di qualsiasi Paese siano) sappiano che maneggiano cose come il tifoso che piange perché Totti segna 2 gol in 3 minuti. È di questo che stiamo parlando".