“Io resto in Kosovo”. Nava, portiere nel Paese senza coronavirus

La vita è un paradosso. Siamo in guerra, impensabile fino a due settimane fa. Un conflitto contro un nemico intangibile. Lo stanno vivendo tutti. O quasi. Perché un’oasi, almeno per ora, esiste. È in un Paese che abbiamo sempre associato a guerre vere: il Kosovo, quasi due milioni di abitanti, neanche un caso di coronavirus.

Lì vent’anni fa morivano migliaia di soldati nell’ultimo conflitto slavo, lì oggi si guarda alla pandemia con relativa serenità. Anche nel calcio, che va avanti, seppure a porte chiuse. Perché prevenire è meglio che curare. Prima delle porte, qui anche le frontiere sono sempre rimaste serrate. Precauzioni necessarie: il Kosovo non potrebbe sostenere economicamente un disastro del genere”. Giacomo Nava è l’unico giocatore italiano nel Paese.

Ha 23 anni, un passato nelle giovanili della Samp e un presente da portiere del Llapi, sesto in Superliga. “Vivo a Pristina, il campo è a 25 chilometri da qui. È un mondo in cui sono stato catapultato da gennaio, ma mi trovo benissimo. Pago 200 euro di affitto e per tagliarmi i capelli un euro e 50. Lo stipendio medio di un giocatore è sui 3500 euro mensili e il calcio ha un ruolo cruciale nella cultura nazionale. Zero violenza negli stadi e una passione quasi sudamericana: noi abbiamo 6mila persone che vengono a vederci”.

Porte chiuse e la paura dei contagi: "Quando ho detto che ero italiano..."

Anche loro in questo weekend dovranno stare a casa. Il Kosovo si cautela perché - anche se il coronavirus è rimasto al momento chiuso fuori - la paura è tanta. “Giovedì sera ero andato a mangiare in un ristorante. Sono tornato indietro perché non trovavo le chiavi della macchina. Ho chiesto aiuto e mi hanno domandato di dove fossi. Quando ho risposto che ero italiano, ho letto il terrore sui loro volti. Sono un popolo ligio al dovere e attento a non mettersi nei guai. Mascherine non se ne vedono, ma nei bar hanno iniziato a mettere già i guanti. Qui l’economia si sta riprendendo solo adesso. Sarebbe devastante una pandemia in questa terra”.

La famiglia a Genova e le raccomandazioni di mamma sull'igiene

Purtroppo lo è anche da noi. I genitori e gli amici di Giacomo sono rimasti a Genova, sua sorella studia a Parma. Mia mamma mi ha chiamato poco fa. Era tornata dal supermercato, stava disinfettando gli alimenti. Si raccomanda che compri gli igienizzanti, perché dice che a Genova non si trovano più. Cose inimmaginabili: qui la vita scorre normalissima, è come se non ci fosse nulla. Mio padre poi è appena uscito da un intervento... La mia paura è che il virus arrivi in Kosovo tra qualche settimana, quando finirà il campionato. Sarebbe una beffa restare bloccato qui, quando in Italia ne saremo usciti. Nel dubbio oggi ho messo il wifi: mal che vada ho la playstation e una scorta di passati di verdura infinita”.

 

Quell'alfabeto con 36 lettere: "Menomale che ho difensori albanesi"

Ciò che più conta per il momento è poter continuare a fare ciò che ama. Mentre noi siamo ostaggi di un esercito invisibile, Giacomo è una persona libera. A Podujeve, città del Llapi, può continuare a tuffarsi sull’erba. “Qui parlano un albanese particolare. Sto seguendo un corso, ma è tosta. L’alfabeto ha 36 lettere… Sto imparando, ma intanto le parole utili le conosco”.

Cadenza ligure e vocabolario da portiere emigrato. “Dil significa ‘sali’, un vuol dire ‘mia’, shpina è il nostro ‘solo’. Sulle cose fondamentali ci siamo dai. Poi comunque su quattro difensori che ho davanti, tre sono albanesi e capiscono bene l’italiano. L’altro è kosovaro ed è un po’ più complicato, ma facendo un po’ di cinema il modo si trova”.

Dal niente al Kosovo in 72 ore: "Qui vanno tutti all'attacco sempre"

Nava è arrivato in Kosovo a gennaio, dopo sei mesi di inattività. “Pensa te, da svincolato a titolarissimo qui in tre giorni”. Sei partite giocate e 5 gol subiti. L’anno scorso era al Rimini in serie C, dopo una gavetta in D fra Lecco, Lentigione e RapalloBogliasco. La Sampdoria è un ricordo lontano, ma improvvisamente vicino quando pensa a Gabbiadini e al dottor Baldari, vittime del virus. “Con Manolo mi sono allenato nell’anno in cui ero Primavera. Il doc è lì da vent’anni… Sono notizie che mi lasciano senza fiato”.

Tra poche ore Giacomo difenderà la sua porta dagli assalti del Dukagjini ultimo in classifica. “Ma qui mai fidarsi. Neanche del tempo: adesso (venerdì) sono 25 gradi, ma domenica dovrebbe nevicare”.
E il campionato? “Il livello tecnico è buono, soprattutto per quanto riguarda gli attaccanti. Tutti giocano un calcio offensivo, pure troppo per i miei gusti. Anche domenica scorsa stavamo vincendo con la seconda in classifica e a due minuti dalla fine continuavano tutti a salire per fare un altro gol. E io urlavo…”.

La sua voce e il suo albanese essenziale risuoneranno ancora di più all’interno dello stadio Zahir Pajaziti deserto. Il calcio professionistico in Kosovo continua, mentre le giovanili si sono fermate dopo la chiusura delle scuole decisa dal governo. I voli per l’Italia sono bloccati “e naturalmente ho disdetto l’aereo che avevo preso per la pausa nazionali di fine marzo”. Quella sosta oggi è un buco nero su un calendario ormai stracciato. Noi restiamo in casa, lui resta in Kosovo. 

Aggiornamento ore 10: purtroppo il coronavirus non ha risparmiato neanche il Kosovo. Poco dopo le 9:30 di sabato 14 marzo, la federazione kosovara ha fermato i campionati. Due casi nella citta di Klina, proprio la squadra che avrebbe dovuto affrontare il Lllapi. Giacomo adesso deve togliersi i guanti. Anche un Paese che sembrava immune deve combattere la sfida della pandemia.

 

 

 

 

 

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