Da assistente di Capello e Mancini alla panchina di Charlotte, Lattanzio: “Vi racconto la mia storia”
Quando Christian inizia a viaggiare tra i ricordi ti dà l’impressione di poter continuare a parlare all’infinito. Un fiume di aneddoti, chicche e momenti che scorre senza fermarsi. Si potrebbe iniziare dalla vittoria della Premier League al fianco di Mancini, o magari dagli anni con Capello sulla panchina dell’Inghilterra. Ma la storia di Lattanzio va raccontata partendo dalla fine. Dalla sua Charlotte.
Mancini, Capello e la panchina di Charlotte: l’intervista a Lattanzio
Mentre in Italia è quasi sera, da lui è da poco passato mezzogiorno. Christian ha appena terminato una conferenza stampa in vista del weekend di MLS. Sì, perché Lattanzio è l’allenatore di Charlotte da quasi un anno. “Amo profondamente questo club. So il percorso che ha avuto” racconta ai microfoni di gianlucadimarzio.com. Ma come ha fatto ad arrivare lì?
Se dovessimo riassumere la sua storia in una frase basterebbe questa: un italiano che non ha mai allenato nel suo paese. “Ho iniziato lavorando nelle giovanili del West Ham, alla fine degli anni ‘90. Poi sono diventato collaboratore di Zola nella prima squadra : ognuno aveva tanti compiti e più ruoli, sia tecnici che gestionali”.
Dopo qualche anno nel West Ham tra giovanili e prima squadra, Lattanzio fa uno step importante. Da collaboratore di Zola a quello di Capello. Il tutto sulla panchina della nazionale inglese: “Ho incontrato Baldini che aveva bisogno di qualcuno che conoscesse bene l’ambiente inglese e che aiutasse lo staff italiano della nazionale a inserirsi. Mi sono trovato bene a lavorare con Fabio, i rapporti sono diventati sempre più stretti”.
Stare vicino a Capello è un po’ come andare a scuola ogni giorno. “Ho imparato molto in quel periodo. Il mister gestiva la squadra con grande cura dei dettagli ed esperienza ma a volte anche con ironia“. Con i tre leoni sul petto, Lattanzio ha anche preso parte ai Mondiali del 2010 in Sudafrica. Una coppa che in Inghilterra ricordano con l’amaro in bocca per tanti motivi: “Non l’ho ancora digerita. Il primo giorno di ritiro abbiamo perso Ferdinand: lui era un trascinatore, era fondamentale averlo sia in campo che fuori. E poi tanti giocatori non erano in ottima forma in quel periodo, per esempio Rooney non era brillante”.
Tra gli altri motivi, c’è anche il gol fantasma di Lampard contro la Germania: “Eravamo sotto 2-0 e riuscimmo a rimontare. Era un metro dentro, non so come non riuscirono a vederlo. Tutti avevano visto che fosse entrata. Sarebbe cambiata la partita”. Alla fine sarà 4-1 per i tedeschi ed eliminazione per l’Inghilterra.
West Ham, Nazionale e poi… Manchester City. Fino al 2015 “l’ufficio di lavoro” di Christian è sempre stato in Inghilterra. E la magia vissuta nel periodo ai Citizens resta (forse) il ricordo più bello nella sua testa. “Il City stava cercando di strutturarsi. Mancini era arrivato già da sei mesi, volevano uno staff che lo aiutasse. A una cena il ds del club chiese aiuto a Capello e gli diede il mio nome”.
Siamo nel 2010: il City era in un’altra era rispetto a quella che conosciamo ora. “Abbiamo vissuto due anni e mezzo bellissimi. Al tempo l’obiettivo del Manchester era di qualificarsi in Champions, con Mancini abbiamo bruciato le tappe. La vittoria della Premier League era in programma entro cinque anni, noi ci siamo riusciti alla seconda stagione”.
Quella seconda stagione indimenticabile. I Citizens vincono la loro prima Premier League, negli anni 2000 grazie alla pazza vittoria contro il QPR. “Quella stagione fu incredibile. Abbiamo iniziato in modo strepitoso, poi lo United tornò avanti e si portò a +8 da noi. La partita contro il QPR fu pazzesca: eravamo morti e siamo risorti”. Manchester si tinge di blu e la storia cambia.
L’esperienza inglese di Mancini durerà solo un’altra stagione (fino al 2013), mentre Lattanzio resterà ancora un po’. Questa volta, però, nella seconda squadra del City. Come vice allenatore di Patrick Vieira. “Ho legato molto con lui. Ci sono dei giocatori che capisci che diventeranno allenatori. Al City ne avevamo tanti: Kompany, Tevez e appunto Patrick. Vedeva il calcio, parlavamo di tattiche e ne discutevamo. Mi volle come suo vice nella seconda squadra del Manchester”.
Dal 2013 si arriva al 2016. Vieira dice sì alla proposta del New York City FC e porta con sé Christian: “È stato chiamato a dirigere il New York City FC e si è portato dietro lo staff che aveva. Abbiamo cominciato questa avventura e ha fatto anche lì un grande lavoro. L’ultimo anno siamo stati vicini a vincere l’MLS, eravamo favoriti”. L’ultima esperienza al fianco di Patrick sarà quella al Nizza. Una volta fatto tappa in Francia, Lattanzio è volato ancora negli USA. E qui torna Charlotte.
“Dopo che siamo stati mandati via dal Nizza, ho ricevuto questa proposta. L’MLS stava migliorando molto, l’opportunità di tornare lì mi stimolava. Ho avuto dei contatti con Charlotte e sono entrato nello staff di Ramirez. Diventare primo allenatore poi è stato particolare: sono rimasto sorpreso. Abbiamo provato ad arrivare ai playoff e ci siamo andati vicini. Siamo rimasti vivi fino alla fine, questa era la cosa più importante”. Ha iniziato come vice e poi si è preso la panchina. Questa stagione. invece, non è iniziata benissimo (6 punti in 8 partite), ma la strada è ancora lunga.
L’MLS cresce anno dopo anno. Parola di chi vive quella realtà ogni giorno: “Sento dire delle stupidaggini su questo campionato. Si vive di luoghi comuni pensando agli anni ‘80. Quello che sta facendo l’MLS è una crescita sostenibile”.
Un progresso che passa dai tanti giovani statunitensi sbocciati in questi anni, ma anche da ex campioni del calcio europeo e talentini sudamericani, che scelgono l’MLS come vetrina: “Quando ero a New York nessuno parlava di Jack Harrison, ora è al Leeds. Tutti si concentravano su Pirlo, Lampard e Villa. La verità è che in MLS ci sono giocatori giovani forti che sono pronti per l’Europa. Miguel Almiron, Aaronson, Tyler Adam, Gio Reyna, Scally: sono tutti ragazzi che giocano nei top cinque campionati europei”.
Se oggi Christian può raccontare una storia come questa, lo deve anche alla sua voglia di imparare. Un esempio? Nel 2001 si è diplomato nella PNL (Programmazione Neuro-Linguistica). “Ti aiuta a capire quali siano i meccanismi per comunicare, mi ha permesso di essere più chiaro con i giocatori”.
Tante tappe tra Inghilterra, Francia e USA senza mai tornare nella sua Italia. “Non ho mai avuto la possibilità e in realtà non l’ho mai cercata, ma comunque mi piacerebbe lavorare nel mio paese”. Che sia in un altra nazione o a casa, la cosa certa è che Lattanzio ha tanto da dare al calcio. La chiamata si chiude così.
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