Carosso, il 2002 della Pro Vercelli che realizza i suoi sogni: step by step
25 agosto 2019. Quel giorno il tempo si è fermato per Alessandro Carosso. Stava per esordire, a soli 17 anni, con la maglia della Pro Vercelli in Serie C. Le gambe un po’ tremavano, il cuore batteva forte, la testa viaggiava in un arco spazio-temporale che non esiste. Tutto andava veloce dentro di lui, fuori sembrava che qualcuno avesse attivato lo slow motion. La prima cosa che ha pensato in quel momento ce l’ha già detto qual è stata: “Soddisfazione”. L’esordio va bene, mister Gilardino lo lascia in campo 90’ e gli dà l’opportunità di iniziare a sognare.
“Chiudi gli occhi ragazzo e credi solo a quel che vedi dentro”. Cantava così Roberto Vecchioni nel 1999 nella sua Sogna ragazzo, sogna. E dopo quel Pro Vercelli-Pianese Alessandro Carosso gli occhi li ha chiusi davvero: si è guardato dentro e ha deciso che voleva credere nel suo sogno e provare a realizzarlo. Era l’inizio, lo sapeva e lo sa, l’incipit di una carriera costruita con tanti sacrifici e che, un anno e mezzo dopo, continua a dargli soddisfazioni.
Ai microfoni di gianlucadimarzio.com ha raccontato chi è Alessandro Carosso oggi. Un ragazzo di 19 anni che ritroviamo con la barba. Un metodo per sembrare più grande e intimorire gli avversari come il suo idolo, Zlatan Ibrahimovic, gli avrebbe consigliato? Glielo chiediamo subito: “No, niente di tutto questo. Ho fatto un patto con un mio amico: finché non passerà un esame molto difficile per la laurea magistrale non me la taglio. Lui non si sta tagliando i capelli, altri miei amici non si stanno curando altre parti del corpo… e quindi fino al 1° luglio devo tenermela, ma lo faccio con piacere. Un po’ però l’ho sfoltita sennò era ingestibile. Almeno così assomiglio sempre meno a De Ligt”.
Già Matthijs De Ligt. Un paragone grande affibbiatogli per una vaga somiglianza fisica e che lui ci aveva raccontato di non amare. Un po’ perché lui vuole essere lui, un po’ per quel cuore colorato di granata, un po’ perché il difensore della Juventus appartiene ad una categoria di giocatori a cui lui ora non appartiene. La mentalità, dunque, è rimasta la stessa, nonostante sia arrivata anche una chiamata dalla Nazionale Under 19 (un’altra soddisfazione): “Non mi aspettavo che il ct Nunziata mi chiamasse, ma davvero. Quest’anno ho fatto meno gare rispetto a quello precedente, a causa di qualche infortunio di troppo. Mi ero rassegnato al fatto che sarebbe stato un appuntamento rinviato. Invece, è successa questa cosa bellissima. Mi ha chiamato il mio procuratore per dirmelo e quasi non ci credevo.
Mi ha inorgoglito molto. Ero l’unico giocatore di Serie C in mezzo a ragazzi cresciuti nei professionisti o comunque nelle Primavere di squadre di Serie A. Quando sono arrivato ero un po’ spaesato. Non so se andrò agli Europei quest’estate, ma già essere stato tre giorni con questo gruppo ad allenarmi è stato qualcosa di indimenticabile. Cosa ho pensato in quel momento? Mi sono detto: “Guarda Ale dove sei ora. Solo 4 anni fa giocavi in un campionato regionale con la squadra della tua città. Adesso indossi la maglia dell’Italia”. Ero e sono soddisfatto di me stesso”.
“Sogna, ragazzo sogna quando sale il vento nelle vie del cuore”
Alessandro è fatto così non è finta modestia la sua. Sogna, ma sa che i sogni si costruiscono con il sacrificio e passo dopo passo, ma soprattutto con il supporto della famiglia: “Quando hanno saputo della convocazione in Nazionale erano felici. Loro mi seguono sempre tanto: da mio fratello a mio nonno. Sono sempre molto contenti di quello che faccio. Gli ho sempre detto però di lasciarmi tranquillo altrimenti mollo tutto. Quando vengono alle partite infatti mi seguono, fanno il tifo per me, ma senza esagerare. Non voglio passare per quello con i genitori ‘fissati’.
Devo solo ringraziarli perché hanno fatto tantissimi sacrifici per me. Se sto riuscendo a ritagliarmi un piccolo spazio nel mondo del calcio è soprattutto grazie a loro che non mi hanno mai fatto mancare affetto e sostegno”.
“Sogna, ragazzo sogna. Non cambiare un verso della tua canzone, non lasciare un treno fermo alla stazione, non fermarti tu”
Sogni coltivati grazie al suo impegno, al suo sudore, ai treni rincorsi per non fare tardi agli allenamenti, alle serate senza discoteca a 15 anni, passate a letto per riposarsi ed essere pronto per la partita il giorno dopo, mentre i suoi coetanei fuori si divertivano e si godevano l’adolescenza: “Dalla 2^ superiore alla 4^ sono stati anni difficilissimi per me. Ho fatto diecimila sacrifici. In seconda superiore, ad esempio, è stata dura: finivo scuola verso le 14, a volte anche alle 15, prendevo il treno e pranzavo in viaggio, arrivavo al campo mi allenavo, finivo alle 20 e poi di nuovo treno per tornare a casa alle 21 passate. Le carrozze dei treni erano diventate il mio letto per un riposino veloce e la mia tavola per pranzare o cenare. La notte studiavo, se riuscivo, poi il giorno dopo ricominciava la stessa routine.
La convocazione in nazionale, in tal senso, è stata una piccola vittoria per me perché ha ripagato i sacrifici che ho fatto. Non ho fatto la vita di molti miei coetanei: loro uscivano, andavano a divertirsi, il sabato andavano a ballare e io non potevo perché poi il giorno dopo giocavo. Sono tutte cose che ho patito al momento. La chiamata dell’Italia mi ha fatto capire che quei sacrifici hanno portato i loro frutti”.
Corre e marca stretti i suoi sogni, da buon difensore, nonostante sia stato difficilissimo conciliare scuola e calcio. Il lockdown lo ha aiutato a superare la quarta superiore, ma adesso c’è la maturità un traguardo che vuole raggiungere nonostante il percorso si sia complicato: “Allenandoci prevalentemente al mattino non riesco a fare presenze né con la didattica a distanza né a scuola. Quindi ho retto per un paio di mesi, ma dopo non ce l’ho fatta perché era controproducente. Per capirci: ho quasi 70 assenze. Ci ho provato finché ce l’ho fatta ma quando arrivi a lezione e senti parlare arabo, perché ti sei perso tutta le spiegazioni precedenti, è durissima.
Però sono stato fortunato: un mio professore, andato in pensione quest’anno, ma che mi ha sempre seguito in questi 4 anni di superiori, mi ha proposto di ritirarmi dalla scuola a marzo, ovviamente con il consenso dei miei professori e coordinatori, e procedere con gli studi privatamente per presentarmi all’esame di maturità da privatista. Mi aiuterà lui e altri docenti che verranno a casa mia o io andrò da loro. È una soluzione per raggiungere quest’obiettivo e potermi concentrare anche sul calcio”.
"Sogna, ragazzo, sogna passeranno i giorni, passerà l'amore, passeran le notti, finirà il dolore e sarai sempre tu"
Le ambizioni e i sogni in Alessandro proliferano forti. Il calcio per lui è la scalata ripida di una montagna: bisogna fare un passo alla volta per arrivare in cima, se ne fai troppi assieme prima o poi rischi di cadere e di farti male. Ogni passo pesa sempre di più ma ti dà la consapevolezza di essere sempre più vicino al traguardo e ti insegna come mettere i piedi, come gestirti e se anche all’inizio hai paura… piano piano, strada facendo, te ne liberi.
Ascolti i consigli di chi ha già iniziato da tempo la sua scalata e anche se li trovi troppo severi se sei un ragazzo sveglio ascolti, cambi la tua attitudine e continui a salire: “In cosa sono migliorato rispetto al mio esordio? In tranquillità, ma anche nel rapporto con il gruppo. Il primo anno ero molto rigido con tutti, mantenevo un po’ le distanze anche perché ero il più giovane. Con il tempo ho imparato a sciogliermi e a interagire con tutti. Certo le distanze le mantengo sempre perché con i giocatori più esperti bisogna sempre mantenerle, anche come forma di rispetto. A chi va il merito? Ai più grandi dello spogliatoio. Mi hanno aiutato molto anche rompendomi le palle tutti i giorni”.
"Sogna, ragazzo, sogna. Ti ho lasciato un foglio sulla scrivania: manca solo un verso a quella poesia, puoi finirla tu"
Sogni tanti, idee chiare e obiettivi ben delineati. Alessandro Carosso sa cosa vuole adesso e nel suo futuro: “Alla Pro Vercelli mi trovo benissimo. È la società che mi ha cresciuto e la ringrazierò sempre per quello che mi ha dato e mi sta dando. Io punto in alto, sogno grandi palcoscenici ed esperienze sempre più importanti e stimolanti. Quest’anno con la Pro siamo lì: vogliamo tornare in Serie B e possiamo farcela. Io sarei felicissimo di giocarmi le mie chance in quel campionato, con questa maglia e il mio numero 31 sulle spalle”.
Step by step, sempre. Ci lasciamo come vecchi amici che si ritrovano dopo tanto tempo e si raccontano la loro vita, ma prima svela un ultimo sogno che se dovesse realizzarsi potrebbe anche fargli mollare tutto per riprendere una strada che ha abbandonato per fare il calciatore. “Il film perfetto per la mia carriera? Arrivare in Serie A e giocare il derby Torino-Juventus. Calcio d’angolo. Stacco di testa più in alto di De Ligt e metto la palla in rete: corro verso i tifosi con il mio 31 sulle spalle (dedicato alle vittime di Superga ndr.), urlo forte perché abbiamo vinto il derby grazie ad un mio gol. Non succede, ma se per puro caso dovesse succedere fatta una cosa del genere posso anche smettere di giocare. E cosa vado a fare? Il Carabiniere”.
In fondo è proprio vero: sognare non costa nulla. E noi gli auguriamo davvero di farcela. È passato solo un anno e mezzo da quel 25 agosto 2019 e oggi, 28 gennaio 2021, Alessandro Carosso non è cambiato molto: ha la barba, le gambe gli tremano un po’ meno e non ha smesso di sognare e di togliersi le sue soddisfazioni. Sempre un passo alla volta