C’era una volta il Presidentissimo. Romeo Anconetani raccontato da suo figlio. “Il Pisa è stato la sua vita"
Piazza dei Miracoli, la Torre Pendente, Galileo Galilei, Romeo Anconetani. Simboli di Pisa, in epoche diverse. Eppure forse solo il Presidentissimo li racchiude tutti. Perché fu un rivoluzionario eretico come Galilei, perché il suo fu il Pisa dei miracoli e perché, come dicono in città, “con lui anche la torre avrebbe rigato dritto”.
Di sicuro, l’avrebbe disegnata perfettamente. Prima di dedicare la sua vita al calcio, Romeo fu un designer. Si era diplomato a Trieste, sua città d’origine, nel ’39. Aveva 17 anni e una passione per il pallone alimentata dall’amicizia con Nereo Rocco. “Prima non prendiamole e poi diamole. Gliel’ha insegnato il Paròn. Mio padre non l’ha mai dimenticato”. A parlare è Adolfo, figlio di Romeo. Hanno vissuto fianco a fianco quasi mezzo secolo di vita nel calcio. Un cammino iniziato molto prima di Pisa. “Mio padre iniziò da dirigente a Empoli nel ’50. Fino a quel momento lavorava a Milano per la Montecatini. Faceva il disegnatore industriale. Fu il primo a introdurre le prevendite per i tifosi. Ha sempre pensato prima di tutto a loro”. Anche a Prato, dove pochi anni dopo istituì treni speciali per le trasferte. “Poi purtroppo ci fu quell’episodio…”. Una presunta combine fra Pontassieve e Poggibonsi. “Fu messo in mezzo”, lo difende suo figlio al microfono di gianlucadimarzio.com. La mano della giustizia sportiva fu pesante: radiazione.
Formalmente escluso dal calcio. Sulla carta, perché Anconetani era abituato ad aggirare le asperità della vita. “In guerra fu silurato tre volte sullo Stretto di Messina. Non era uno che si arrendeva facilmente”. Per questo s’inventò un ruolo nuovo: il consulente esterno, una sorta di procuratore ante litteram. La leggenda del “signor 5%” nasce in quei giorni. “Consumava le suole e aveva amicizie ovunque. Vedevamo giocatori e tenevamo un archivio. Le società chiedevano consigli, che ovviamente non erano gratis”. Le prime commissioni: Romeo consiglia un calciatore e prende il 5% sul trasferimento. Arriverà a mettere 40mila schede nel database. Internet non era nel vocabolario. Spesso interveniva per mediare trasferimenti importanti, come quello di Claudio Sala dal Napoli al Torino nel ’69. “Curiosamente il primo ufficio da consulente lo aveva aperto a Livorno. Il Pisa doveva ancora venire”.
Quando arrivò, fu una folgorazione. “Era il 1978. La società era in vendita. Mio padre aveva delle case a Pisa e aveva già spostato lì la sua attività. Il presidente Rota gli chiese se voleva prendere il timone. Gli costò 200 milioni. Iniziò tutto così”.
Dopo la vittoria del mondiale ’82 fu decisa l’amnistia”. Tutti perdonati e passaggio di mano. Simbolico, perché nella sostanza non cambiava niente. “Siamo stati gli ultimi a vincere un derby a Livorno. Peccato che non abbiamo potuto vederlo”. Già, perché 40 anni fa i nerazzurri espugnarono l’Ardenza con gol di Barbana, un piccoletto che regalò l’ultima gioia pisana in trasferta. Romeo e Adolfo erano rinchiusi all’Hotel Continental di Tirrenia. “Il questore ci aveva sconsigliato di andare allo stadio per motivi di ordine pubblico. Poi i tifosi vennero a festeggiare sotto l’albergo”. Fu la prima grande gioia di suo padre, che intanto aveva fatto nascere club in tutta la provincia pisana. “Arrivammo a 50 negli anni della serie A”. Una scalata rapida e fulminante. Come diceva Romeo, in quattro anni “dal Rende alla Juventus”. Un miracolo sportivo figlio di una programmazione meticolosa. “Mio padre era un perfezionista. Faceva vivere la società con gli utili delle cessioni e col settore giovanile. Ogni anno una vendita importante, ogni stagione un giovane da valorizzare in prima squadra. Era l’unico modo di andare avanti. Mica aveva un’azienda alle spalle…”.
Retrocessioni e risalite, 16 anni di presidenza. I migliori della storia del club. “Passarono da qui grandi giocatori. Noi li scoprivamo, gli altri ce li compravano: Bergreen alla Roma per 7 miliardi, Kieft al Torino per 6”. Cinque promozioni in A, il fiore all’occhiello di una semifinale di Coppa Italia contro il Napoli di Maradona nell’89, Tutto nel segno di Romeo Anconetani, uomo di fede e di scaramanzie. Si definiva “un vescovo mancato” e allo stadio spargeva il sale. Il suo rito propiziatorio prima delle partite. Nel ’90 fece arrivare Lucescu in panchina e Simeone a centrocampo. Pochi mesi dopo li cacciò entrambi. “Mircea era un grande allenatore ma a Milano contro l’Inter perdemmo 6-3. Ti ricordi cosa diceva Rocco? Ecco”. E il Cholo? “Lo prese che era ancora minorenne strappandolo al Verona. Una volta però era infortunato e invece di starsene a casa, andò in discoteca. Mio padre si sentì preso in giro e lo vendette al Siviglia”.
Anconetani dava tutto e pretendeva altrettanto. Quando non era contento, era il momento di andare tutti in ritiro. Lui compreso. “Partiva con la squadra e stava lì sempre. Tirrenia o Pescia era uguale. In quei giorni compattava il gruppo e spronava tutti”. Puniva ma col sorriso, Una volta disse “andiamo a ossigenarci per sei giorni, Larsen (biondissimo danese ndr) potrebbe anche restare qui tanto è già ossigenato”.
Poi magari cambiava anche l’allenatore: 22 in 16 anni. “Se non vedeva l’atteggiamento giusto, preferiva un cambio di rotta”.
Il 1991 retrocesse in B e non risalì più. In quell’estate partorì un’idea fantascientifica e contrastata da tutti: il “Pisorno”, la fusione fra Pisa e Livorno. “Era un tentativo disperato per restare aggrappati ai grandi campionati. Unire due bacini di utenza e non accumulare perdite economiche gravi. Il calcio stava cambiando, lui provava a salvare il salvabile”. Ma in una terra di campanili storici, la sua proposta non fu mai considerata ricevibile. Svanì, come il suo Pisa, retrocesso in C dopo lo spareggio contro l’Acireale e fallito in estate, travolto da un deficit finanziario che rimase una macchia. “È stato pugnalato alle spalle da chi aveva promesso aiuto. È morto di questo. E abbiamo pagato tutto con le nostre tasche, vendendo le proprietà. Solo una persona gli ha teso la mano: Silvio Berlusconi”.
In un’incredibile chiusura del cerchio, Anconetani torna a Milano, in via Turati, quasi mezzo secolo dopo. Dai disegni industriali alla Montecatini a fare l’osservatore per il Milan. Adolfo svela un ultimo retroscena. “Otto anni prima, quando Berlusconi comprò il Milan, chiamò Anconetani ad Arcore per farsi spiegare alcune situazioni. Una consulenza che non dimenticò”.
Il Presidentissimo morì nel ’99. Il suo funerale allo stadio fu un evento storico. La città rendeva omaggio al suo simbolo più importante degli anni ’80. Nel 2001 l’Arena Garibaldi prese il suo nome. Adolfo ci entra difficilmente. “Non vado allo stadio a vedere il Pisa. La seguo affettuosamente, ma adesso appartiene ad altri”. Venti anni sono passati da quel giorno. Dall'alto continuerà a seguire la sua squadra. Tra Piazza dei Miracoli, la Torre Pendente, Galileo Galilei, c'è Romeo Anconetani, il Presidentissimo che fece grande il Pisa.