Zotti, errori e sfortuna: "Sognavo la Roma e la Nazionale, potevo fare di più"

La sua storia in sei parole: “Preferisco avere fortuna, piuttosto che talento”. È una frase di ‘Match Point’, Jonathan Rhys-Meyers e Scarlett Johansson, una storia d’amore finita male. Basta il prologo: una pallina da tennis tocca il nastro e l’immagine si ferma, dove andrà? Vincere o perdere, fortuna o talento.

Carlo Zotti è stato un portiere di talento, parola di Bruno Conti e Fabio Capello: “Mi dicevano che non avevano mai visto uno come me". Ma la sorte l’ha sempre preso a cazzotti, perfino a fine carriera: “Gli ultimi due anni sono stati un calvario, sono rimasto da solo”. Voce strozzata: “Stavo per firmare a Losanna, ma in allenamento mi faccio male al polso. Che sarà mai?’, mi dico. E invece no, sbagliano l’intervento e resto fermo 2 anni”.

 

ZOTTI, SFORTUNA E RIMPIANTI

 

Oggi Carlo non gioca più, il destino ha deciso per lui, sta studiando per diventare preparatore dei portieri: “Ho 36 anni, voglio ripartire, è il mio nuovo sogno”. Sfiorò il primo a 22, giocando 14 partite nella Roma dei quattro allenatori, stagione 2004-05: “Forse la peggiore di sempre”. Nel posto giusto al momento sbagliato: “È una cosa a cui penso spesso, avrei potuto fare un’altra carriera. Tutti i giorni faccio i conti con me stesso, cosa non è andato, cosa ho sbagliato”.

Anche con un ‘no’ al Milan nel 2003: “Mi avevano offerto un contratto di cinque anni, ma non potevo lasciare la Roma. Mi aveva dato tutto, ero arrivato a 13 anni, amavo la città. È il mio grande rimpianto”. Raccontato in prima persona su gianlucadimarzio.com, anche se prima di ‘aprirsi’ ha riflettuto molto: “Sono anni che non rilascio interviste, ma stavolta voglio raccontare tutto, e a modo mio”. Siamo pronti ad ascoltare.

 

 

Il primo set è suo: “Potevo arrivare lontano, lo dico sinceramente, chi mi conosce lo sa. Ero fortissimo, sognavo la Nazionale, Tancredi stravedeva per me”. Anche se a 18 anni deve mollare tutto e tornare a Foglianise, il paese in cui è cresciuto (vicino Benevento).

Dissero che aveva lasciato il calcio per suonare la chitarra: “Una grande stronzata. È vero, amo la musica, ma tornai a casa per un problema personale molto serio. Ne uscì un polverone, mi chiamò perfino Maurizio Costanzo".

Poco dopo Zotti fa il suo esordio in Serie A, Roma-Torino 3-1. È il 10 maggio del 2003: “Che emozione, il ragazzo di paese finalmente tra i grandi. Sono stati anni bellissimi, parai un rigore a Flachi e a fine anno vinsi l’Europeo U21 del 2004. Eravamo io, Agliardi e il mio amico Amelia. Non giocai, ma lo sento mio”.

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LA ROMA, GIOIE E ILLUSIONI

Il secondo set finisce male, è la Roma dei 4 allenatori: “Alternai belle partite a prestazioni disastrose, immagina un ventenne in quel contesto. La contestazione dei tifosi, un clima infernale, i cali mentali. A fine stagione volevo andare via, pensai che Roma era diventata troppo grande, persi tutte le mie sicurezze. Volevo cancellare la stagione e ripartire. La società credeva in me, io meno, ma tornando indietro resterei nella Capitale”.

Sceglie Ascoli, nessuna presenza, altra sconfitta: “Andai lì all’ultimo momento. Ricordo una partita contro il Milan, dovevo giocare titolare, ero molto carico, ma Giampaolo cambiò idea all’ultimo minuto”. Ferdinando Coppola al posto di Zotti: “Da quel giorno ha fatto il fenomeno, non è più uscito, a fine anno andò al Milan”.

La pallina colpisce il nastro e cade dalla sua parte. Sfortuna. Andrà sempre così: “Il responsabile sono io. Forse non ho mai avuto una mentalità forte, a un certo punto ho mollato. Delusione dopo delusione, sconfitta dopo sconfitta, è anche normale”.

 

"HO BUTTATO LA MIA CARRIERA, ORA VADO AVANTI"

 

 

Nel 2009 lascia l’Italia dopo un anno a Cittadella, il treno è passato, Zotti non è mai riuscito a prenderlo: “Negli anni ho subìto 7 interventi chirurgici, di cui 4 alla spalla. Quattro. Capisci, no? Ho giocato 3 anni al Bellinzona, a un certo punto feci talmente bene che mi cercò anche lo Young Boys. Poi la squadra è fallita, sono stato due anni al San Gallo e oggi eccomi qui”.

Nuovamente a casa, pronto a studiare per diventare preparatore: “Sto tirando fuori tutta la forza che mi è mancata in questi anni. Mi sono curato da solo, ho ingaggiato un preparatore dei portieri per tenermi in forma e allenarmi. Potrei stare tutta la vita a dire che avrei potuto fare di più, ma poi? Che faccio? Ho buttato la mia carriera, lo sanno tutti, ora basta. Mi rimbocco le maniche e vado avanti”. Nonostante i rimpianti.

 

 

L'anno scorso è tornato a Trigoria dopo più di 10 anni: “Quando sono entrato ho dovuto mostrare un documento, mi è venuto da ridere. Ho salutato lo staff delle cucine, i custodi del campo, quelli che sono rimasti. Sono contento di aver lasciato un segno come persona”.

I compagni di allora sono andati via: “Conoscevo soltanto Totti e De Rossi”. Il compagno di una vita: “Gli voglio bene, ogni tanto ci sentiamo, ricordo il giorno in cui Capello ci disse che ci saremmo allenati in prima squadra. E’ un fenomeno. Non l’ho mai invidiato”.

Prima di staccare ci lascia un ultimo messaggio, che poi riassume tutto: “Certo che è assurdo, porca miseria. Io ho sbagliato, ci ho messo del mio, ma la fortuna non mi ha mai dato una mano. Mai. Neanche a dire, ‘non farmi infortunare, lasciami tranquillo”. Colpa di un nastro maledetto, nel Match Point di Carlo Zotti.

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