Nervo, ala fuori dal Comune: “Dal Bologna a sindaco. Oggi vendo mobili”

i>Pronto? Sì, il segnale potrebbe essere un po’ disturbato. Sono ad Algeri per lavoro”. Ma come Algeri? Bologna è lontana 2700 chilometri e quando pensi a Carlo Nervo, lo immagini sempre lì. Stadio Dall'Ara, numero 7 sulle spalle e le corse sulla fascia destra.

Come passi in fretta tempo, adesso corri più del vento, cantava Lucio Dalla.

“Che ricordi Lucio. Veniva sempre a salutarci prima delle partite. Vivevo accanto a casa sua. Sono stati anni unici”.

C’è stato un tempo in cui Carlo Nervo correva come il vento. La divisa rossoblù indossata per 417 volte, dal ’94 al 2007. Ieri ala destra imprendibile, oggi imprenditore di mobili. “A un certo punto, anche se non vuoi, devi smettere. I miei erano nel settore. Ho fondato un’azienda nuova e ho sviluppato idee diverse, racconta al telefono di gianlucadimarzio.com.

Rifornisce alberghi e negozi in giro per il mondo. Arredi per interni, una nuova vita dopo una carriera da esterno. “Il made in Italy tira sempre all’estero. Se solo avessimo una burocrazia più snella, sarebbe molto più facile ottenere risultati”.


Da una fascia all'altra. "Sindaco a modo mio"





Un discorso politico. Carlo sa di cosa parla. Nel 2009, due anni dopo avere abbandonato la fascia, se n’è messa una addosso. Sindaco di Solagna, provincia di Vicenza. “Un paesino di 2mila abitanti in cui sono cresciuto. Un amico me l’ha proposto, io ho accettato. Zero comizi, solo una riunione. Lista civica con l’appoggio della Lega. Ho vinto e poco dopo ho ribaltato tutto”. La libertà dell’ala destra applicata alla politica. Un dribbling ai partiti e un calcio agli schieramenti. “Ricordo quattro mesi d’inferno per capire il funzionamento del consiglio comunale e dell’amministrazione pubblica. Quando mi sono reso conto che certi schemi non funzionavano e che qualcuno seguiva strategie egoistiche, ho deciso di rifare le squadre”. Accordo con la minoranza e tutti dentro. Come in un calcio d’angolo al 90’, come un allenatore concentrato solo sul risultato finale. “In 5 anni, fra le altre cose, abbiamo sistemato la scuola e le strade, riaperto una casa di riposo e restaurato il municipio. Il mio merito? Circondarmi di collaboratori competenti. Prendevamo i fondi europei perché sapevamo come, dove e quando ottenerli. Abbiamo vinto l’appalto per una strada facendo il bando di notte, bruciando tutti sul tempo”.

Cinque anni di successi, poi l’addio. “Avevo fatto il mio dovere e volevo occuparmi dell’azienda. Anche se c’è stato un momento in cui ho rischiato di ricaderci ancora…”. Bologna, elezioni comunali del 2016. Una lista civica appoggiata dal centrodestra, la proposta. “Mi hanno proposto la candidatura a sindaco. Ci ho pensato a lungo. Poi ho lasciato perdere. Accettare avrebbe significato tradire la fiducia dei dipendenti della mia azienda”.

Niente fascia a Palazzo d’Accursio, né tagli di nastri in piazza Maggiore. Riavvolgere il nastro invece significa tornare indietro all’estate del 1994.


Da Crevalcore all'Europa. "Quel gol a Lisbona"






A Pasadena, Roberto Baggio manda in cielo un rigore, facendo piangere 60 milioni di italiani. Poche ore dopo, Carlo Nervo inizia la sua avventura col Bologna, in serie C. Due destini destinati incredibilmente a unirsi: se quattro anni dopo Baggio rigiocherà un mondiale, dovrà ringraziare anche quel ragazzo magrolino.

“Arrivai a Bologna dopo il fallimento del mio Mantova. Eravamo stati avversari in campionato. Perdemmo due volte contro di loro, pur essendo superiori. Appena misi piede al Dall'Ara, mi resi conto che stava passando un treno importante”.

Lo volle a tutti i costi il presidente Gazzoni Frascara, “che per me sarà sempre un secondo padre. Gli sarò sempre riconoscente”.

Poi a farlo diventare un giocatore vero, ci pensò Renzo Ulivieri. “Quante urla che ho preso da lui. Al momento della monetina, chiedevo a capitan De Marchi di scegliere il campo opposto alla panchina. Almeno mi facevo un tempo tranquillo. Speravo sempre che nel secondo tempo si calmasse. A parte questo, gli devo tantissimo. Poi mi ha rimassacrato quando mi sono buttato in politica. Quell’appoggio della Lega non gli andava proprio giù…”.

In pochi mesi, le urla di Ulivieri vengono coperte dai boati dello stadio. Il Bologna vince due campionati consecutivi e torna in serie A. Carlo ci arriva per la prima volta. “Ricordo il mio esordio all’Olimpico. Entrai dalla panchina. Al momento del cambio, mi cedevano le gambe dall’emozione. Ripensai ai primi calci dati a Solagna e ai sacrifici fatti per arrivare lì. Ce l’avevo fatta, non mi sembrava vero”. Ma quella che sembrava la meta, era solo l’inizio del viaggio. In quattro anni, il Bologna passa dal Crevalcore all’Europa. Lo fa grazie ai gol di Kolyvanov - “un fenomeno. Ancora non ho capito se era destro o mancino” - e a quelli di Roberto Baggio. “Ricordo l’emozione dello spogliatoio quando arrivò. Una squadra operaia che accoglieva un giocatore divino. Un campione di umiltà in spogliatoio. In campo bastava dargli la palla”.

Baggio e il Bologna vivono insieme una sola stagione. Roberto si guadagna il mondiale, i rossoblù tornano in Europa, passando per l’Intertoto. “Sono stati i giorni più belli. Soprattutto quel gol a Lisbona contro lo Sporting, il primo del Bologna in coppa Uefa dopo una vita”.

E vittoria dopo vittoria, quello che doveva essere un Erasmus calcistico si trasforma in una cavalcata epica. Con Mazzone in panchina e con i gol di un nuovo leader. Beppe Signori arrivò al posto di Roberto e diventò il nostro trascinatore. So quello che ha passato negli ultimi anni. Io gli ho sempre creduto, spero possa dimostrare le sue ragioni”. Il volo di quella squadra s’interrompe all’ultimo minuto di una semifinale maledetta contro il Marsiglia. “Eravamo con un piede a Mosca e gli dettero quel rigore. Facemmo una gran scazzottata nel sottopassaggio. Fu un’amarezza incredibile”. Anche perché la finale sarebbe stata un derby. Lo stesso che si giocherà sabato: Parma-Bologna. L’Emilia che invade la Piazza Rossa, una storia da film. “E avremmo vinto noi. Eravamo superiori in quel momento”.

Sogni infranti e lacrime asciugate dall’abbraccio di 38 mila persone. Perché Bologna sa sempre come consolarsi. “Una città unica, che sa vivere la sua passione con rispetto. Ripenso a Santo Stefano, il quartiere in cui vivevo, alle serate in osteria e alla leggerezza di quei giorni".




Un bacio rubato e una ferita. "Meritavo un posto all'Europeo 2004"





Le vespe sui colli e gli innamorati che si baciano sotto i portici. Un po’ come …. Bellucci e Nervo dopo un gol, vero Carlo?

“Ahahah, quella storia mi fa impazzire. Era il 2001, giocavamo contro il Brescia. Bellucci, che era molto più basso di me, in settimana mi aveva detto che se avessi segnato, mi avrebbe baciato il ‘nasone’. Feci gol e lui corse verso di me per esultare. Nella concitazione alzai la testa e anziché sul naso, mi baciò sulle labbra. Il giorno dopo tutti i telegiornali parlavano del “bacio gay” dei calciatori. Incredibile. Mia moglie Elisabetta rideva come una matta”.

Elisabetta, sua compagna da una vita, ha condiviso con lui gioie e dolori. Come quella telefonata nel 2004, a poche settimane dagli europei di Spagna. “Ero entrato nel giro della Nazionale di Trapattoni dopo il mondiale in Corea. Mi stavo guadagnando sul campo quella convocazione. Sei amichevoli, sempre da esterno a sinistra. Quando mi chiedevano se avevo mai giocato su quella fascia, fingevo di esserci cresciuto. Poi un giorno chiamò il mister. Mi disse di tenermi pronto e che avrebbe dovuto scegliere tra me e Camoranesi. Misi giù e dissi a Elisabetta di scegliere un posto per le vacanze. Giocavo nel Bologna, mica nella Juve”.

Un’amarezza grande ma non paragonabile a quella dell’anno successivo. “La retrocessione nello spareggio col Parma. Pazzesca. A dieci giornate dalla fine ci mancavano tre punti per salvarci. Non arrivarono mai. Una maledizione. Quel 18 giugno ce l’ho ancora stampato. Noi in lacrime dentro agli spogliatoi, la polizia fuori e la gente che ci urlava di tutto. Il ritratto di un fallimento”.



Addio e ritorno. "Klas, amico perso in un giorno di festa"







E l’anticamera di una separazione improvvisa. “Chiesi due anni di contratto. Me ne proposero uno. Mia figlia Rebecca non stava bene e aveva bisogno di mare. Arrivò una proposta dal Catanzaro. Triennale, in serie C. Si era chiuso un ciclo, speravo se ne aprisse un altro”. Ma le cose non andarono così. “Gente stupenda, ma non c’erano le condizioni per fare calcio professionistico”. Marcia indietro e ritorno a Bologna per un’ultima stagione in B. “Non sono riuscito a riportare la squadra in A, l’importante è che ci siano riusciti altri. Continuo a seguirla sempre. Mi manca tantissimo. Tornare nel calcio mi piacerebbe, qualche esperienza amministrativa e imprenditoriale me la sono fatta…”.

Oggi, fra un mobile e un viaggio, il pallone è ancora al centro dei suoi pensieri. L’ultimo l’ha toccato con la Nazionale dei sindaci, “dove giocavo da fermo. A correre ci pensava Flavio Tosi (ex sindaco di Verona). Era il più forte del gruppo”.

Carlo Nervo, 47 anni, cittadino di Mantova, imprenditore, politico, calciatore, marito di Elisabetta, padre di Jacopo e Rebecca.

Chissà, chissà, domani, canterebbe Lucio Dalla.

“Se non avessi fatto il calciatore? Sarei andato a lavorare. Magari nel settore dei mobili”.

Ha fatto il giro del mondo sulla fascia, segnato reti storiche e indossato 417 volte la maglia rossoblù.

Oggi vende mobili come se non avesse mai giocato e si commuove pensando al 29 ottobre, giorno del suo compleanno. “Dal 2014 è soprattutto l’anniversario della morte di Klas Ingesson. Il mio amico Klas…”.

S’interrompe. Non è un problema di segnale con Algeri. È il calcio. Quello chiuso in uno spogliatoio, quello che gli manca di più. Google Privacy