Il codice Paratici: "Il mio metodo di lavoro, Ronaldo e la trattativa più logorante: vi dico tutto"
“Tutto è nato quando ci siamo visti con Jorge Mendes per parlare di Cancelo, la cosa nasce da questo. Parlando di Joao, Mendes mi dice: ‘Tu non ci credi, ma Cristiano vuole venire alla Juve’. Io gli dico: ‘Sì, ci credo, ma mi sembra difficile riuscire a far quadrare tutto’”. Il retroscena è svelato da Fabio Paratici, intervistato in esclusiva per Sky Sport da Gianluca Di Marzio. Segreti, trattative e obiettivi di uno dei direttori sportivi più vincenti degli ultimi anni.
Una lunga chiacchierata in cui si sono toccati diversi temi: a partire dall’acquisto di Ronaldo: “Con Cristiano è stato abbastanza semplice perché lui aveva in testa di venire alla Juve. Non c’è stato bisogno di convincerlo tanto. Credo intorno al 25 di maggio, dopo la finale di Champions. Lui è stato subito deciso, ha detto “Io, se la Juve c’è, voglio solo la Juve. ”. Il Presidente è una persona molto presente nella nostra vita quotidiana perché è sempre con noi, o comunque sempre raggiungibile. Ci si può incontrare facilmente. Eravamo in giorni di programmazione, questo non era programmato, ma io gli ho detto: “Ci sarebbe una opportunità, l’importante è che mi ascolti fino alla fine. Sai, quando ti presenti nel suo ufficio e gli dici che devi comprare Cristiano Ronaldo… è una bella notizia sportiva, ma poi c’è tutta un’altra parte. Ma lui capì subito.
Credo di averci messo un minuto a capire che lui stava già ragionando in quella direzione. Quando sono uscito dall’ufficio ho creduto che potessimo arrivarci. Agnelli mi ha detto: “Fammici pensare un giorno o due”, ma mi ha telefonato dopo 3 ore. Per redigere tutti i contratti ci siamo chiusi in una villa sul Lago Maggiore per un giorno intero con tutti gli avvocati della Juve e del calciatore".
Paratici ha ripercorso anche i suoi inizi: “Sono nato in questo paese (Borgonovo, ndr), dove mio padre era il presidente della squadra che giocava in prima categoria in questi campionati dilettantistici. Quindi il mio primo tesserino l’ho firmato con mio papà e lui ha firmato anche il primo trasferimento, quando a 14 anni sono passato dalla Borgonovese al Piacenza. Io mi ricordo quando mio padre mi portava ai famosi tornei estivi, il calcio dilettantistico viveva di questi incontri. Io ero piccolo, avevo 6, 8, 10 anni e andavo spesso. Probabilmente anche quello ha inciso".
Anche un ricordo sul periodo da calciatore: “Al mio esordio tra i professionisti c’era ancora la famosa marcatura a uomo e in un Piacenza-Modena finì 1-0 per il Modena. Non segnò Mazzarri, fortunatamente per me (sorride, ndr)". Dagli scarpini alla scrivania, con un metodo di lavoro perfezionato negli anni e ormai vincente: “Se è vero che sono uno che va su tanti giocatori contemporaneamente, anche un po’ per disturbare o far pagare di più le concorrenti? Sì, ma credo che quella sia un po’ una cosa di tutti. Nel mio caso non è nemmeno troppo una strategia. È che sono ossessionato dal riconoscere. Quindi quando vedo o leggo o sento dagli agenti, o dalle persone che mi informano, che qualcuno sta trattando un giocatore, la mia più grande dote credo che sia la curiosità di sapere com’è quel giocatore. Questa è una cosa che mi stimola molto. Quindi a volte faccio azioni di disturbo anche non volendo strategicamente. È proprio una questione di conoscere e di sapere, ma quando poi ti informi su un giocatore logicamente lo collegano alla tua squadra e anche tu diventi un potenziale pretendente".
“Il segreto della coppia Marotta-Paratici? Credo che fossimo molto ben assortiti, complementari. Nel senso che io mi occupavo di una parte prettamente tecnica, lo scouting, il rapporto con gli agenti, individuare i calciatori. Sì, il calciatore lo individuavo io, poi c’era il confronto con lui, che è una persona molto esperta, che conosce il calcio e che conosce molto bene i numeri, e fino a dove si poteva arrivare in una trattativa. Diciamo che la cosa migliore era il fatto di essere ben assortiti. Io portavo avanti fino all’ultima fase, dove lui interveniva con la sua esperienza e mi aiutava a fare meno errori possibili".
La trattativa più logorante della carriera di Paratici? Chi pensa a Ronaldo è in errore, il retroscena lo svela lo stesso direttore sportivo: “Credo che, nella durata, sia stato Tevez. Alla fine, è stato un giocatore che abbiamo contattato alla fine del primo anno alla Juve, quando non facemmo una bella stagione. Dovevamo rilanciare la Juve e contattammo ugualmente Tevez, anche se non eravamo qualificati per la Champions. I grandi giocatori, quando non giochi la Champions, fanno fatica a venire. Però lui disse subito: “Sì, anche se non siamo in Champions, io alla Juve verrei”. Poi la trattativa non è andata in porto per altri motivi, economici e via dicendo, però siamo sempre rimasti in contatto perché è sempre stato un mio chiodo fisso portare Tevez alla Juve.
Il mercato di conte e quello di Allegri? Conte era legato alla funzionalità del giocatore, rispetto a quello che voleva fare lui, che è una cosa legittima, anzi, facilita anche il lavoro di chi deve cercarti i calciatori. Conte aveva uno schema di gioco e, giustamente, bisognava cercare di trovare giocatori funzionali ad uno schema di gioco. Allegri, in questo senso, è più elastico, non ha solo un sistema di gioco, è più aperto, ha più soluzioni. Quindi il mercato si amplia un po’ di più. Io mi reputo fortunato anche solo per il fatto di poter vedere, da appassionato di calcio, tutti i giorni, da 10 anni, i più grandi calciatori dell’ultimo decennio. Mi sono goduto Pirlo, Vidal, Pogba, Dani Alves, Buffon”. Capitolo Champions League: “Vincere la Champions? E’ una nostra ambizione, ma non un’ossessione".