Cabrini, 60 anni domenica: "Alla Nazionale femminile ho dato tanto. Io 'Bell'Antonio'? A casa ho 6-7 sacchi pieni di lettere..."

Sessant’anni e non sentirli: giusto così, per un bell’uomo come Cabrini. O meglio, per un “Bell’Antonio” come lui. Che domenica compirà sessant’anni e, per l’occasione, ha organizzato una festa a Milano invitando tutti gli amici: “E’ un’età che vuol dire tutto e niente - ha raccontato l’ex difensore in un’intervista al Corriere dello Sport -. Ogni tanto, mi sento ancora quel bambino che, da grande, voleva vincere i Mondiali”. La “spunta”, accanto a quel sogno alla fine ce l’ha messa. Altri desideri? “Certo, da bambino volevo conoscere Pierino Prati: sono riuscito a fare anche quello. Però, troppo tardi, quando, ormai, ero già un professionista”. Il Bell’Antonio, a 60 anni, è ancora un bell’uomo. Ma che ricordi ha di quando era giovane e famoso?: “All’inizio ero infastidito, volevo solo giocare, non pensavo di poter legare la mia professione al mio aspetto. Poi mi sono detto che, se davvero questo Bell’Antonio c’è, era il caso di sfruttarlo. Così. sono stato il primo a fare pubblicità». Lui sognava Pierino Prati, già. Ma chissà quante ragazze, sognavano - o, forse, sognano ancora - Cabrini al loro fianco: “Ho 6-7 sacchi pieni di lettere alle quali non ho mai risposto. Le raccoglieva mia madre, a un certo punto non ce la faceva più. Prima o poi, però, le leggerò tutte: sono uno di quelli che odia non essere richiamato dopo aver trovato il telefono staccato. Anche se, a dire il vero, spesso non richiamo nemmeno io…”. Che rapporto ha Cabrini con i suoi figli? «Ottimo. Non sarò stato un padre troppo presente, ma molto amichevole. E, ora che sono grandi, spero di vederli realizzati». A due giorni dai sessant’anni, Cabrini non è cambiato di una virgola: “Sono sempre lo stesso. A 20 anni ero istintivo, a 30ci pensavo un attimo prima di fare qualcosa, a 40 e 50 un po’ di più (ma con gli stessi risultati), a 60 continuo a pensare che fosse tutto giusto». Isola dei Famosi compresa: «Quando ci andai, era un’esperienza che mi faceva restare nel mondo della comunicazione. Non rimpiango nulla. Eccezion fatta per alcuni momenti davvero terribili: penso all’Heysel o alla morte di Scirea». Tornando al mondo del pallone, Cabrini non va allo stadio da un pò di tempo - “L’ultima volta lo scorso anno, per una partita di Champions della Juve” - e si è dimesso da c.t della Nazionale femminile: “Penso di aver fatto crescere moltissimo la loro immagine, e ho fatto riflettere le ragazze su quello che significa essere calciatori professionisti. Qualcuno, evidentemente, non la pensava come me. Per me, da sempre, una stretta di mano vale più di un contratto. Quando te ne andavi dalla Juve non si facevano feste né Totti Day. Ci si dava la mano e, in quel gesto, c’era tutto». I bianconeri continuano ad essere i preferiti di Antonio: «Sono rimasto legato a tutte le squadre nelle quali ho giocato. La Juve mi ha insegnato a vincere e a comportarmi da campione. Alla Juve c’è la società, poi l’allenatore, dopo i giocatori. E, da giocatore, non ti puoi lamentare dell’allenatore. La società è al di sopra di tutto. Ancora oggi, d’altronde, secondo me l’impronta è rimasta, per quello che vedo. Guardo il calcio estero e sono felice delle vittorie di tanti allenatori italiani». La Juve nel cuore della sua carriera, Atalanta e Bologna prima e dopo i bianconeri: “Bergamo è l’ambiente ideale quando si ha vent’anni. Ma sono grato anche ai rossoblu che mi hanno permesso di chiudere bene la carriera. Allo stesso modo, sono legatissimo al trofeo Albertoni vinto con la squadra della mia città, la Cremonese, contro la Juve ai rigori, segnai anch’io». Da Cremona a Torino, oggi Cabrini vive a Milano: “A dire il vero, mi sento ancora un ragazzo di campagna». Eroe dei Mondiali nell’82, Cabrini non è mai arrivato in alto come allenatore: “Tardelli sosteneva che dopo l’82 avevamo nomi troppo pesanti. Non so se sia per questo motivo, secondo me è più importante legarsi ai carri giusti. Io, invece, non amo i compromessi. Adesso vorrei fare un’avventura all’estero, soprattutto a 60 anni vorrei vedere il calcio italiano gestito da ex calciatori, gente che ha vissuto tante esperienze importanti».

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