Segnare il cammino, Emiliano Bonazzoli: "Gol e passione, la mia storia"

Un pallone rotola in un cortile. A calciarlo un bambino di 7 anni che gioca con il fratello e alcuni amici. Un viaggio iniziato per strada: “Un tempo la passione nasceva lì, tra l’aia di casa e l’oratorio”. Il 31 agosto 1997 tutto San Siro (e non solo) aspetta la prima italiana di Ronaldo con la maglia dell’Inter. Ma in quel pomeriggio, tra il Fenomeno e le due magie di Recoba, un’altra storia si stava scrivendo. La storia di quel bambino: “Questo è stato il mio esordio in A”. Nel sorriso sincero di Emiliano Bonazzoli rivive ancora quell’emozione. Un’emozione che rivive nel racconto della vittoria del suo Lecco a Palermo: “Un’impresa”. In quei km che legano il Meazza al Barbera si è disegnata la sua carriera. Anzi, le sue carriere. Prima di giocatore, ora di allenatore. La prima l’ha sognata, l’altra è arrivata per caso: “Giocavo in prima categoria, il presidente mi chiese di allenare la squadra”. In quei km ci sono dei lanci di Pirlo, corse sotto una curva, l'affetto di Reggio Calabria e il fascino di Marassi. Un viaggio 'spontaneo' "perché non ho mai programmato nulla. La passione mi ha accompagnato ogni giorno".

 

Fenomeno 

31 agosto 1997. “In Primavera pensavo di arrivare al massimo in Serie C, l’anno dopo alla prima di campionato mi sono ritrovato a esordire in A contro Ronaldo”. Una prima inaspettata: “Materazzi diede la formazione. Alcuni erano infortunati, senza dirmi nulla mi fece partire titolare in coppia con Hubner e Pirlo dietro”. Già, Pirlo: “Andrea, che dire… lo conoscevo dalle giovanili. Quando arrivai a Brescia sentivo di questo ragazzo che segnava 1, 2, 4 reti a partita. Poi ho compreso il motivo.Per un attaccante giocare con lui era semplice”. Esempio? “Sterzata sua, palla sopra la linea, contromovimento e gol”. Un ritorno al passato per una riflessione sul presente. Da ex calciatore, allenatore e padre: “La società è cambiata e così anche il calcio. Ai miei tempi esisteva solo il calcio. Finivi i compiti e andavi in cortile a giocare. Ora ci sono molte più distrazioni e la tentazione di fermarsi all’apparenza delle cose. Variabili che hanno svuotato l’essenza della passione per questo sport”. 

 

 

Percorso

Brescia, Verona e Parma gli anni di formazione, prima della maturazione a Reggio Calabria. L’apice a Genova con la maglia blucerchiata. Quello di Emiliano Bonazzoli è stato un viaggio per l’Italia. Tappe di vita. “Il mio cammino non è stato programmato. Non mi sono fatto distrarre dalle voci, era il mio lavoro ed ero concentrato su quello. È la passione che mi ha accompagnato ogni singolo giorno”. Un percorso che non è andato di corsa, ma ha saputo attendere i giusti tempi. Dopo l’esordio a San Siro, la seconda immagine: “Il primo gol in A a Verona su assist di Camoranesi contro l’Inter. Poi c’è la vittoria della Coppa Italia con il Parma”. Un anno e mezzo condiviso con Cannavaro, Gilardino e Adriano: "Fabio una grande persona. Il Gila lo conoscevo dai tempi di Verona".
Da Parma a Reggio Calabria: “I primi sei mesi con la Reggina  andarono benissimo. 8 gol e la rete decisiva nello spareggio salvezza contro l’Atalanta”. Una corsa sotto la curva: “Dovevo uscire, era pronto il cambio. Era la mia ultima azione”. Destino. “La gente in delirio. Al ritorno c’era una folla incredibile in aeroporto”. Un profondo legame nato con la piazza: “Mi hanno sempre sostenuto, anche nei momenti di maggior difficoltà. Quanti caffè offerti nelle vie della città…”. 

 

 Consacrazione

Nell’estate del 2005 arriva la chiamata da Genova. Tra i carruggi della città vive l’atmosfera europea: “Con la maglia della Samp giocai in Coppa Uefa”. Stadi, avversari, tifoserie: “Sensazioni uniche”. La magia di Marassi: “Per l’ambiente, la curva, lo stile inglese: un luogo affascinante”. La vittoria nel derby e il pareggio contro il Milan “le due partite più importanti in Liguria”. A proposito di Milan, a marcarlo Maldini e Nesta: “I difensori più forti affrontati. Duri, ma corretti e puliti”. Agli anni a Genova si lega anche il rimpianto maggiore della carriera: “Mi sono rotto due volte il crociato. Ero all’apice del mio percorso, peccato”. Come dirigente Beppe Marotta: “Persona corretta e diretta”. Nel 2009 lo scambio di prestiti con Pazzini e arriva a Firenze: “Una squadra che puntava alla Champions e arrivammo quarti. Sapevo di non giocare, avevo davanti Gilardino, ma volevo cambiare aria e decisi di andare alla Fiorentina”.

 

 

Poi il ritorno a Reggio dove incontra un giovane Acerbi: “Interpretava il ruolo di difensore in modo moderno, non era statico ed entrava nel gioco. Io e mia moglie lo invitavamo spesso a casa. Era ancora un ragazzo, molto istintivo.
E quanti karaoke con lui e Ciccio Cosenza”. Negli ultimi anni un’esperienza in Ungheria “per motivi personali non molto positiva” e una neanche iniziata a Miami: “Negli USA più di una stessa franchigia non può iscriversi nella stessa lega. C’era già il Miami FC e non fu possibile iscrivere il Miami Fusion, il mio club”.

Il destino lo rivoleva in Italia per tornare in quei campi vicini a quel cortile da cui tutto è iniziato. Il caso lo voleva in panchina per una nuova vita. Destino o caso, non importa. Emiliano Bonazzoli, fedele alla passione.

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