Bigica, storia dell''umile guerriero' alla guida della Fiorentina Primavera
Emiliano Bigica, una vita immersa tra i ragazzi e per i ragazzi. Una carriera spesa a dare i consigli giusti. Sempre al fianco e mai al centro. “Coppa Italia? La voglia di vincere è tanta dopo 4 finali in due anni. Mi piacerebbe regalare una gioia alla città, ai tifosi e alla società”. Così parlava Emiliano prima della finale d’andata di Coppa Italia Primavera vinta dai viola per 2-0 contro il Torino.
Oggi quella gioia l'ha regalata davvero. Vittoria 2-1 e Tim Cup Primavera che si tinge di Viola grazie a lui e ai suoi ragazzi, da Vlahovic a Montiel. La sua voce piena di carisma ha sempre trasmesso serenità all’ambiente e questa è la conquista che aspettava, lui che solo pochi giorni fa era un'ipotesi per la panchina della prima squadra dopo le dimissioni di Pioli.
Carisma e semplicità, due doti che Bigica si porta dietro da quando era un calciatore. Nella stagione 1993/1994 non ha alcuna paura a indossare la fascia da capitano del suo Bari a soli 20 anni, al cospetto di giocatori molto più esperti come Pedone, Protti, Tovalieri, Amoruso e Gautieri. Tutti però capiscono che quel ragazzino ha qualcosa dentro. Dimostra di avere grande personalità, che gli permette di comandare il gioco dei pugliesi a centrocampo trascinandoli fino alla promozione in Serie A. Una vita da mediano, la canzone di Ligabue sembra stata scritta apposta per lui. Anche suo fratello Claudio, che in quel periodo fa il portiere, ascolta i suoi consigli quasi fosse un vate. I suoi compagni lo ricordano prodigo nell’aiutare, ma anche deciso nel rimproverare. La sua leadership e il suo senso del gruppo convince anche Cesare Maldini, allora allenatore della Nazionale Under 21, ad affidargli la fascia per l’Europeo.
Risultato? L’Italia sconfigge il Portogallo in finale ed Emiliano alza la Coppa circondato da Filippo Inzaghi, Fabio Cannavaro e Christian Vieri tra gli altri. Non proprio dei giocatori qualsiasi. Emiliano non è solo un capitano “sulla carta”, ma un vero e proprio riferimento. Una stella che cerca di brillare il meno possibile per non prendersi tutta la scena. La fascia non gli pesa, è solo motivo di orgoglio e un pretesto per incitare ancora di più i compagni che corrono accanto a lui. Un lottatore nato, quello che, dopo le pagine indelebili scritte con il suo Bari, passa a malincuore alla Fiorentina, dove dopo un buon avvio fa perdere le proprie tracce. I tifosi viola si interrogano su come si pronunci il suo cognome più che disquisire sulle sue giocate. Finisce poi al Napoli dove la sfortuna bussa prepotente alla sua porta: crociato rotto e inizio del declino della carriera da calciatore. Ma la fine di questa storia permette un nuovo inizio, altrettanto pieno di soddisfazioni. Perchè un guerriero come lui non si può arrendere. E non può lasciar perdere il calcio, ragione di vita.
Emiliano trasferisce la leadership e la personalità che mostrava in campo appena fuori dal terreno di gioco, intraprendendo la carriera da allenatore. Comincia dai giovani allievi del Novara passando poi al Vigevano in serie D e al Verbania in Eccellenza. Durante queste esperienze dà il massimo, capendo di non poter fare a meno di stare in mezzo ai giovani per trasmettere loro insegnamenti e consigli, proprio come faceva da giocatore. Dopo essersi seduto sulla panchina degli allievi nazionali dell’Empoli e della Nazionale Under17 nel 2017 approda alla Fiorentina Primavera, dove ha inizio la storia che porta fino al titolo di questa sera che inevitabilmente porta anche la sua firma.
Riccardo Despali