Bentornati...Lupi! L'Avellino riparte, il ds Musa: "Polvere e sudore..."
Un’estate triste, brutta, semplicemente terribile. Un’estate da dimenticare, al più presto. Appena ventotto giorni fa il de profundis, a Roma, in una stanza. Le lacrime, la disperazione dei tifosi. Perché il calcio, ad Avellino, non è soltanto un dilettevole svago. Il calcio ad Avellino è appartenenza, è orgoglio, è vita. E’ aggregazione, è riscatto, è condivisione. Tutto in frantumi, in quel dannato 31 luglio. Tutto. Ma se il tuo vessillo è il Lupo, non puoi non rialzarti. Lo esplica ben bene la storia di una città, di un popolo che pur nelle difficoltà non ha mai chinato il capo, con orgoglio e dignità, si è sempre ripreso.
Ed è stato così, anche questa volta. Ventotto giorni dopo – oltre ogni campanilismo – allieta il cuore vedere i tifosi tornare a emozionarsi, a cantare, a sventolare le bandiere. E’ ripartito l’Avellino. Con una nuova dizione, con un nuovo staff dirigenziale. Ripartirà dalla Serie D, ‘ma non importa! Noi siamo qui, oltre la categoria, chiediamo soltanto la maglia sudata ogni domenica’. Il sacrosanto monito dei tifosi. Perché l’amore è amore. Non conosce standardizzazione. Non esiste amore di Serie A, B, C, D, E, F. L’amore è amore, punto.
Archimede Graziani in panchina e Carlo Musa nel ruolo di direttore sportivo. Ventotto anni, come i giorni trascorsi dal maledettissimo 31 luglio (mai dimenticare il passato…). Tranquillo, pacato, ancora oggi emozionatissimo. “Quel quindici agosto ho ricevuto una delle chiamate più belle della mia vita. L’emozione è ancora tanta, sono praticamente quattordici giorni che non torno a casa a Roma, ma non importa. Ora c’è solo da lavorare, con l’obiettivo innanzitutto di rendere orgogliosi i nostri tifosi che hanno sofferto tanto e meritano di tornare a gioire”.
Idee chiare, concetti ben esplicati. Come la nuova proprietà, la Sidigas. Azienda di prim'ordine, ben radicata nel territorio, detenendo già la squadra di basket (la Sidigas Avellino milita in Serie A)… “Abbiamo alle spalle una presidenza molto seria e solida. L’amministratore Gianandrea De Cesare ha deciso di intervenire dopo il de profundis della precedente società, in primo luogo per senso di dovere verso questa città. Siamo operativi a tutti gli effetti da appena otto giorni, vogliamo costruire una squadra di livello. Poi è chiaro – spiega Musa ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – gli obiettivi sono importanti, vorremmo tornare in Serie B entro i prossimi quattro anni ma pensiamo al presente. La Serie D è tosta, tutti ci aspettano e ci faranno la guerra, siamo l’Avellino…”.
C’è una maglia da sudare, una tifoseria da onorare. C’è un sentimento fortissimo di una città che trasuda calcio in ogni dove… “I tifosi mi stanno dando una carica incredibile, per non staccare mai dal lavoro, per non dormire la notte. Sono veramente dei Lupi, non hanno mollato e si sono rialzati da un momento triste, non solo per il calcio. In questi giorni, tra Facebook e la città, ho parlato con molti di loro. Mi hanno dato un input chiaro, categorico. Non mi hanno chiesto nomi o figurine, mi hanno chiesto gente che lotta. Ho una frase nella mia testa, che qualche ora fa mi ha detto uno di loro…’Preferisco perdere uno a zero al novantesimo con la maglia sporca di sangue, che vincere tre a zero a tavolino’. E questo deve essere il nostro motto…”.
Che poi, in fondo, è anche un po’ il suo. Carlo Musa, ventotto anni, laureato in Economia, pioniere del pallone. Una passione anche difficile da spiegare, anacronistica nella sua accezione… “A ventuno anni ho smesso di giocare, facevo il portiere ma sentivo dentro di me che non era la strada giusta. Così, finito quell’anno per onorare un amico caro, prematuramente scomparso e al quale voglio dedicare un pensiero speciale, Alessio Braccani, ho deciso di smettere. Io avevo un chiodo fisso in testa, volevo fare il dirigente. Qualche settimana dopo mi chiama il presidente dell’Aranova, Prima Categoria laziale. E’ un po’ fuori Roma, sull’Aurelia, per andare verso Ladispoli, Fregene, verso il mare insomma. Alla terza stagione, avevo ventiquattro anni, centriamo il salto di categoria in Promozione, faccio altri due anni e poi finisce. Vado a fare il corso da direttore sportivo, compagni di banco Luca Toni e Pasquale Foggia (ride).
La chiamata dell’Avellino? E chi se la scorda? Sono passati quattordici giorni, ho ancora i brividi. Ero a Milano Marittima con i miei amici a trascorrere Ferragosto quando mi squilla il telefono. Era il direttore della squadra di basket, Nicola Alberani che mi invitava a fare un colloquio. Preso dall’adrenalina, saluto tutti, prendo e parto. Alle 12 del 16 agosto sono arrivato ad Avellino. Beh, da quel momento in poi non me ne sono più andato…”.
La famosa scintilla è già scoccata. Oltre ogni retorica, perché il calcio è (anche) questo. E’ condivisione, è empatia, è gioia. E’ anche gavetta. E mai dimenticarsi del passato, il nostro autentico passe-partout per vivere rettamente il presente e per scrivere un futuro migliore… “Non dimentico la polvere dei campi della provincia di Roma dove sono cresciuto sia come dirigente che come uomo. Lì non esiste giacca e cravatta. Se devi fare il guardalinee, fai il guardalinee. Se devi raccattare le magliette, raccatti le magliette. Se devi pulire il water, pulisci il water. La polvere, però, serve e serve tanto…”.
Riparte da questa frase del direttore sportivo Musa l’Avellino. Riparte dalla voglia di tornare a invadere ogni stadio d’Italia. Dal calore straripante di quelle migliaia dei tifosi che sole o pioggia, neve o grandine, non si perdono una partita. Da coloro i quali rinunciano alla pizza il sabato sera pur di potersi permettere di andare a vedere la partita. Ah, per favore, poi non veniteci a dire che è solo un gioco…. Attenti ai Lupi…