Dalla testa ai calzini: la svolta dell’Ascoli di Dionigi
Il peso di una vittoria si misura dal valore di un abbraccio. Collettivo e bagnato dai gavettoni degli “invasori”.
Ascoli, lunedì sera, ore 23. Al triplice fischio dell’arbitro Ros, i bianconeri che non hanno giocato e i sostituiti, scendono i gradini della tribuna e scattano in campo. Urlano e corrono ad abbracciare i loro compagni. Tutti, anche il patron Pulcinelli.
Da pochi secondi l’Ascoli ha battuto l’Empoli, mettendo provvisoriamente la testa fuori dai playout. È la fotografia che resta, la copertina di un film con una sceneggiatura riscritta di corsa. Metamorfosi bianconera. Dalla testa ai piedi, letteralmente.
CALZINI ROSSI
Lo scorso 29 giugno, giorno della sfida al Del Duca contro il Crotone, l’Ascoli rispolverava una tradizione cromatica: i calzini rossi. Come quelli che portava il Presidentissimo Costantino Rozzi (QUI LA STORIA). Molto più di una scaramanzia. Un segno di appartenenza tramandato per generazioni.
Fino a quest’estate, solo nella partita casalinga più vicina alla ricorrenza della scomparsa di Rozzi - 18 dicembre 1994 - l’Ascoli andava in campo così. Con risultati peraltro eccezionali: 7 vittorie, 4 pareggi e una sola sconfitta. Il 14 dicembre, contro il Cittadella era arrivata la settima gioia in rosso.
Nelle ultime 4, in casa e straordinariamente fuori, la vecchia tradizione è diventata un abito irrinunciabile. E ha accompagnato solo sorrisi: 10 punti in 4 gare, tre vittorie consecutive. Risalire dal basso. Partendo da un colore che va oltre mode e scaramanzie.
UMILTÀ
Al netto della cabala, l’eredità di Rozzi era legata soprattutto a due valori: umiltà e lavoro. E forse, più che per i calzini, il Presidentissimo sorriderebbe più nel vedere applicati i suoi concetti guida. Gli stessi portati in città da Davide Dionigi, l’allenatore che il neo direttore sportivo Giuseppe Bifulco ha scelto dopo la sconfitta interna contro il Perugia.
Il quarto a sedere sulla panchina bianconera dopo Zanetti, Stellone e Abascal. Sembrava una mossa disperata, fatta dopo il gran rifiuto di Zanetti, che aveva preferito la rescissione al ritorno.
Bifulco, arrivato ad Ascoli il 13 giugno, ha deciso in fretta, col pieno appoggio della proprietà. Serviva qualcuno che riaccendesse la scintilla. Una figura che riportasse quella rabbia che, insieme ai risultati, sembrava sparita. Dionigi aspettava quel momento dall’8 ottobre del 2017, giorno del suo esonero a Catanzaro. Quasi mille giorni di attesa e di studio. Si è presentato con umiltà e idee, certezze tattiche e orgoglio.
SCELTE
Ha cambiato in pochi giorni il modulo, scegliendo la difesa a 3 e un trequartista dietro due punte: 3-4-1-2, la formula dei 10 punti in 5 partite. Ma oltre a questo, ha saputo reagire all’esordio sfortunato di Venezia. Quella sconfitta, dopo una partita a tratti dominata, era sembrata un segnale irreversibile. Le 3 giornate di squalifica a Gravillon per un pugno a Fiordilino a fine partita avevano ulteriormente aggravato le cose. Dionigi non si è perso d’animo, anzi. Ha inserito il giovane Ferigra al posto di Gravillon, ottenendo tre prestazioni impeccabili da un ragazzo del '99 perfetto nel farsi trovare pronto al momento giusto. Ha ritrovato i gol di Scamacca, decisivo a Cosenza. E quando lo ha perso per un problema all’adduttore, ha ripescato un Marcello Trotta straripante: prima il gol del pareggio contro il Crotone, poi la doppietta per affondare la Salernitana.
SACRIFICIO
Ma non solo. In ogni discorso alla squadra, ha messo la parola “sacrificio” al primo posto. E sul campo si è visto soprattutto nel lavoro richiesto al trequartista. Schermare il portatore di palla avversario e offendere. Un compito assunto egregiamente da Leonardo Morosini nelle partite della svolta e da Mirko Eramo nel trionfo contro l’Empoli. È stato proprio lui - con un destro al volo su assist di Sernicola, altro rigenerato - a firmare il successo. Lampo di talento in una gara passata a non far vedere la palla a uno come Samuele Ricci.
Applicazione e orgoglio, stesse doti di Nahuel Valentini, da riserva di lusso a muro insuperabile, insieme a Ranieri e Gravillon, contro il tridente empolese. Leader con l’esempio e con la voce. Nei primi minuti aveva calmato Ninkovic, nervoso dopo un fallo non fischiato. Un richiamo fermo, senza isterismi.
E il serbo si è messo a disposizione, col suo solito estro e con una voglia di difendere impressionante.
In quest’Ascoli definito dalla gente “mazzoniano” - paragone che piace molto a Dionigi - la giocata più apprezzata è un contrasto vinto o una rincorsa di 30 metri. Il numero 11 non si è sottratto, così come Cavion, mezzala che ha fatto impazzire il gps e Bandinelli.
E se parliamo di sacrifici, impossibile non citare un giocatore che ne ha fatto la parola d’ordine per un’intera carriera: Simone Padoin. Dionigi lo ha messo a destra nei quattro di centrocampo. Durante l’anno ha fatto spesso il terzino sinistro. Zero problemi, a parte i crampi che lo hanno costretto al cambio, dopo 70 minuti di anticipi e ripartenze.
TESTA
Squadra trasformata in due settimane. Questione di fiducia e di testa, allenata anche da un mental coach voluto dalla società per focalizzare ancora di più un obiettivo ancora lontano dall’essere raggiunto. Perché nonostante la serie positiva, l’Ascoli ha solo un punto di vantaggio sulla zona playout. All’orizzonte ha quattro partite impegnative: Cittadella, Pordenone, Pisa e Benevento.
Quindici giorni fa avrebbe messo i brividi, adesso c’è solo voglia di mettersi di nuovo i calzini rossi. La giungla della classifica dice tredicesimo posto. L’ottavo - primo utile per i playoff - è lontano 6 punti. È un rimpianto a cui nessuno pensa. L’Ascoli vive il momento e festeggia le vittorie cantando canzoni napoletane. Nessuno svela quali. Segreti di uno spogliatoio ritrovato.
Credits foto: Ascoli Calcio