Aquilani, andata e ritorno: "Roma è tutto. Io, Liverpool e l'amatriciana di mamma"
Alberto Aquilani è un sorriso d’istinto quando si parla di Roma, gli occhi bassi quando ricorda gli infortuni: “Mi hanno tarpato le ali”. Una luce mentre rivede il gol nel derby grazie a una fotografia, o la 10 della Nazionale incastonata alle sue spalle: “Italia-Montenegro 2-1, 2008, prima doppietta con gli azzurri”. Una delle tante maglie regalate a papà Claudio, finita in un quadro appeso al muro nel bar della Spes, società in cui è cresciuto: “Sono tornato a casa".C’è anche quella dell’esordio in A contro il Torino nel 2003, quando l’arbitro Pieri prolungò la sfida di un minuto: “Mi disse che non avrebbe fischiato la fine finché non avessi toccato il pallone. Un grande gesto, in questo mondo c’è anche umanità”.
LA ROMA DI ALBERTO AQUILANI
Aquilani guarda in alto e legge i nomi sulle maglie: Ibrahimovic, Del Piero, Gerrard, Zanetti, Nesta, Totti. “Grandi campioni, presto ci sarà anche quella di De Rossi”. Con dedica, come le altre: “Compagno di tante battaglie”. I bambini alzano gli occhi e sognano, guardano più in alto e vedono i trofei. Due Coppe Italia e una Supercoppa: “So’ pure pochi, ti dico la verità”. Vinti da protagonista con la Roma, 'regazzino' prima e uomo poi: “Ogni tanto prendo uno dei miei e gli chiedo se gli piacerebbe vedere la sua maglia su quel muro. Deve essere uno stimolo. Non voglio scovare talenti, ma formare ragazzi dalla scuola calcio”.
Alberto è diventato il presidente della Spes Montesacro (società di Roma Nord), è tornato a casa e vive ancora vicino al campo, come quand’era ragazzo: “Ho iniziato qui, voglio continuare in questa veste. Era la squadra del mio quartiere, sono tornato indietro di 30 anni e ne sono fiero”.
Guarda fuori dalla finestra e vede il ‘muretto’ dove calciava il pallone, sempre lì: “Dagliela bene, lui te le ridarà perfetta. È stata la mia filosofia”. Nella città della sua vita, nella squadra del suo cuore, prima che arrivasse la Roma, come racconta in esclusiva su Gianlucadimarzio.com: “Dovevo scegliere tra Roma e Lazio. Tempestilli disse a mio padre di andare a Trigoria per firmare. Il cuore decise per me”.
Principino come Giannini, da giovanissimo rifiuta il Chelsea e l’Arsenal di Wenger: “Ci parlò mi padre, lo chiamava spesso”. Meglio la Roma. Gli chiediamo di sintetizzare tutto in 5 immagini ma non ci riesce: “So’ poche, te ne potrei dire 50!”. Partiamo dalla ‘rabona’ di San Siro: “Gesto istintivo, di classe, fortunatamente Totti riuscì a segnare".
Poi i trofei, o il derby delle 11 vittorie di fila con un guizzo dl 'Albe'. L’abbraccio a Totti è nella storia: “Uno dei giorni più belli della mia vita”. Poi il primo gol in A e la Champions.
Infine Spalletti: “Mi ha insegnato tutto, mi faceva giocare e mi ha dato fiducia, lo ricordo con affetto”. Quando insistiamo su Totti sorride di nuovo: “Era quello che noi avremmo voluto essere, ho avuto anche la fortuna di conoscerlo e di averlo come amico. Lo metto al primo posto, l'affetto va oltre”.
UN'AMATRICIANA A LIVERPOOL
Il 2009 è l’anno della svolta, conosce la sua futura moglie - l’attrice Michela Quattrociocche - e saluta Roma per la prima volta: “È stato difficile. Sarei andato in Inghilterra, in una città fredda, un cambiamento importante, ma ho giocato con giocatori incredibili. Torres, Mascherano, Kuyt”. Sorride e ricorda Gerrard: “Uno dei più grandi con cui ho giocato. Il fatto che ci fosse lui incise moltissimo, non lo nascondo, è un campione”.
Quando parla del trasferimento torna serio: “Ogni anno ricevevo offerte importanti, dissi no all’Inter e alla Juve, ma con la Roma declinavamo tutto”. Fino al Liverpool: “Quell’anno ero infortunato, la Roma aveva problemi economici e doveva fare una cessione importante. Io e Vucinic avevamo diverse offerte, ando così”.
20 milioni sul tavolo: “Non giocavo da mesi, mi ero fatto male, tutto faceva pensare che la mia avventura a Roma fosse arrivata al capolinea. Furono costretti a vendermi, ma non mi ha cacciato. Ci tengo a ribadirlo”. 26 gare e 2 reti il primo anno, un’esultanza speciale raccontata da una foto.
Gli aneddoti migliori tenuti alla fine: “Avevo 23 anni, ero giovanissimo, mia madre veniva su e cucinava l’amatriciana. C’era anche Macheda, giocava nello United e ci trovammo lì. Erano le nostre rimpatriate romane, parlavamo in dialetto, eravamo felici”. Davanti a un piatto di pasta.
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ITALIA 2.0
L’Italia chiama e Alberto risponde, due anni tra Juventus e Milan: “Molto strani, particolari. Dopo Liverpool andai alla Juve in prestito secco, i primi 6 mesi furono molto positivi, eravamo secondi. Da gennaio ci fu un tracollo e io ho pagato un po’ per tutti. Altri si sono trovati in un Juve che poi avrebbe fatto bene. Ma non mi lamento, non amo farlo, mi tengo stretta l’esperienza”.
E Del Piero, sul muro c’è anche la sua maglia: “Un altro campione”. Poi il Milan, diritto di riscatto legato al numero di presenze: “Un infortunio mi penalizzò, ma va bene, lo ripeto. Ho avuto la fortuna di giocare anche con Ibrahimovic, davvero un fenomeno”.
Aquilani sposa Firenze e resta tre stagioni, forse tra le migliori della sua carriera: “Ho trovato continuità, ho segnato molto (15 gol). Giocavamo bene, eravamo una squadra stupenda”. Montella allenatore, amico ed ex compagno ai tempi della Roma: “Lui e Pradè mi convinsero ad accettare, avevano un bel ricordo. Sono stato uno dei primi giocatori acquistati”.
MALEDETTI INFORTUNI
Nel 2014 segna 7 reti e si guadagna un posto nei 23 per il Mondiale, ma non gioca mai: “Ero orgoglioso di essere lì, la Coppa del Mondo è un sogno. Il rimpianto resta, avrei voluto giocare, pazienza. Nel 2013 arrivammo terzi in Confederations Cup, eravamo un bel gruppo, poi ci furono 3 partite strane e andammo fuori”. Il ricordo più bello resta la doppietta contro il Montenegro, con la 10: “Che vuoi di più?”. Altro sorriso, toccando i tasti giusti è inevitabile.
Domanda secca: “Gli infortuni hanno condizionato la tua carriera?”. Forse sì, Aquilani non ha rimpianti ma questo è un altro tasto, stavolta dolente: “Mi sono fatto male nei momenti clou, è andata sempre così. Nel Milan giocavo bene, ero in forma, poi sono stato fuori 3 mesi e non mi sono ripreso. Avrei potuto fare qualcosa in più, ogni tanto ci penso, ma va bene”.
Meglio prendere il meglio da ogni esperienza: “Ho conosciuto culture diverse, ho giocato in Portogallo (Sporting Lisbona), Inghilterra e Spagna (Las Palmas), la Liga è il più bel campionato del mondo e volevo giocare lì”. E ora? Alberto non ci pensa: “Ho messo la famiglia al primo posto, ha inciso in alcune scelte. Ho due figlie e voglio stare vicino a loro, crescerle insieme a Michela”.
Ricominciando da presidente e con nuovi obiettivi: “Mi piacerebbe fare l’allenatore”. Provocazione scontata: “Magari alla Roma?”. Alberto sorride ancora, guarda fuori dalla finestra e dà uno sguardo alle maglie dietro di lui. Qualche secondo di silenzio, poi risponde: “Ecco, adesso farete il titolone. Neanche te lo devo dì, dai…”. E chiude così, da romano vero, con una battuta, guardando di nuovo il campo della Spes. Casa sua. Dove Aquilani sarà sempre Alberto.
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