Approfondimento infortuni e condizione fisica: la vera integrazione pre-post partita
La sfortuna con la maggior parte degli infortuni non c’entra nulla. E i crolli fisici dopo 15 minuti dall’inizio del secondo tempo sono dovuti a un'eccessiva fatica accumulata durante i giorni prima della partita. Tradotto, significa che nel nostro calcio ci si allena troppo. Queste tesi, all’apparenza forti (ma in realtà normali), oltre che da preziosi studi scientifici, sono assolutamente suffragate dall’esperienza di alcuni importanti addetti ai lavori. E proprio qui, in esclusiva a GianlucaDiMarzio.com, Francesco Mauri – preparatore atletico dello staff di Carlo Ancelotti – aveva confermato le nostre ricerche: “Considerare come allenamenti efficaci, sessione lunghe e frequenti rappresenta un paradosso. La partita, oltre ad essere l ́evento determinante per il lavoro del calciatore, è anche l ́allenamento più duro e stressante. I due giorni che seguono la partita sono molto delicati e vanno a mio avviso utilizzati per il recupero attivo. Chi ha giocato 90 minuti non è infatti pronto e non ha bisogno di sottoporsi ad allenamenti intensi e stressanti ma deve soltanto ripristinare l ́equilibrio biochimico e strutturale del corpo”. (Per leggere l’intervista completa clicca qui). In particolare la miglior performance, farà strano leggerlo, si ottiene con molte meno ore di allenamento e con una maggiore intensità e qualità. Il tutto seguito e accompagnato da un adeguato recupero. Una condizione praticamente impossibile in un calcio così ricco di impegni e in una cultura dove – sbagliando – si pensa che i risultati si ottengano solo col duro lavoro. E così noi di GianlucaDiMarzio.com abbiamo deciso di andare oltre, facendoci strada nel nostro viaggio grazie al migliore degli alleati: la biologia umana. Non solo, con noi ha deciso di partecipare anche Claudio Tozzi, il più grande esperto di preparazione atletica sulla forza in Italia e autore di BIIOSystem, libro bestseller sull’allenamento, oltre che divulgatore scientifico. Con Tozzi, oltre che di recupero e allenamenti sulla forza, avevamo parlato e scritto di quale fosse la migliore alimentazione per arrivare al meglio alla partita. E di conseguenza per avere una prestazione al top (leggi qui l’approfondimento sull’alimentazione ideale per il calciatore). Ma oggi il discorso si amplia ancora di più. Questione di focus e voglia di cambiare le cose. Per questo abbiamo deciso di parlare di integrazione. Già, all’apparenza potrebbe sembrare un tema superfluo, quasi tabù, ma in realtà fra poco capiremo come sia essenziale per evitare improvvisi crolli nei secondi tempi. Oppure al fine di recuperare meglio dopo un’estenuante giornata di allenamento. O dopo la partita. Ovvio, come più volte raccontato ci dovrà essere sempre di mezzo il fattore essenziale (ma incomprensibilmente sottovalutato) del recupero e del riposo, ma con l’integrazione si potrà rendere ancora di più, evitando così spiacevoli inconvenienti fisici.
Tozzi, cosa vuol
dire - per un calciatore – fare integrazione? “Distinguerei
subito due tipi di protocolli integrativi: uno è quello specifico
per ristabilire dei livelli di nutrimenti base del nel
nostro corpo, ovvero quelli essenziali per ogni essere
umano. Indipendentemente che faccia sport o meno. Ma quindi di
conseguenza indispensabili anche per gli stessi calciatori. Poi, una
volta portati ai valori idonei questi livelli basali, aggiungerei la
specifica integrazione per lo sport, in questo
caso la meglio adatta alle esigenze del giocatore”. Bene
Claudio, partiamo dall’integrazione basale: “Senza dubbio
partirei dal ristabilire i valori di Vitamina D.
Ovvero un gruppo di pro-ormoni liposolubili, costituto da 5 diverse
vitamine, le cui due più importanti forme sono la D2 e D3
(colecalciferolo). La fonte principale di Vitamina D è la radiazione
solare, ma la nostra limitata esposizione al sole - soprattutto nella
stagione invernale – può portare ad una carenza di questa preziosa
sostanza. In passato la Vitamina D era conosciuta principalmente per
il suo ruolo essenziale nella salute delle ossa e nella regolazione
del calcio. In realtà si è arrivati a comprendere come sia
costituente basilare di parecchie funzioni fisiologiche
dell’organismo. Ma soprattutto c’è un legame forte e
scientificamente dimostrato tra i livelli di vitamina D nel sangue e
le prestazioni dei calciatori professionisti". Quali? "Una
carenza di vitamina D fa rima con performance ridotte e soprattutto
maggior rischio di infortuni. Questo perché buoni livelli di questo
ormone si traducono in un miglior assorbimento del calcio a livello
osseo e muscolare, con risultati evidenti sulla coordinazione motoria
e muscolare. Sulla forza e la capacità di recupero". Non
solo, importante è sottolineare come nei vari mesi dell’anno ci
sia un andamento variabile e marcato dei livelli di vitamina D nel
sangue dei calciatori (in particolare d’inverno, quando
l’esposizione al sole diminuisce): "I valori minimi
scendono tra gennaio e febbraio. A certificarlo è un recente studio
pubblicato sulla rivista Chronobiology International condotto da
ricercatori dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, che
ha focalizzato le attenzioni su un campione di 167 calciatori del
Bari, Lanciano e Pescara, sottoposti a vari prelievi sanguigni
nell’arco degli anni 2013 e 2014. E nonostante i partecipanti dello
studio fossero giovani sportivi sani, il dato ha evidenziato che 55
dei 167 calciatori presi in esame – il 32,9% – presentava carenze
lievi di vitamina D almeno in una fase dell’anno, mentre 15 di essi
– il 9% – mostrava un deficit più marcato di questo ormone. In
pratica un calciatore su tre ne è carente. Ha importanza sul
muscolo, sia sulla forza che la potenza. Ci sono dei lavori che la
correlano al consumo massimo di ossigeno, il V02MAX, la capacità
aerobica massima del muscolo, ovvero il massimo volume di ossigeno
consumato per minuto. E’ molto importante nel sistema immunitario.
È utilizzata nell’approccio delle malattie
autoimmuni tiroidee e, addirittura, per bloccare la sclerosi
multipla. Sembra in grado di diminuire le infezioni delle
alte vie respiratorie nei maratoneti per esempio. In particolare, se
la vitamina d va sotto i 30, l’obiettivo è portarla attorno ai
70-80, soprattutto negli sportivi".
(leggi qui il nostro articolo completo sull’importanza della Vitamina D, grazie al contributo di Claudio Tozzi e del dottor Fabrizio Angelini)”.
E oltre alla Vitamina D? “Per quanto riguarda l’integrazione basale, al calciatore – come del resto ad ogni uomo – darei gli Omega 3, ovvero acidi grassi essenziali che non possono essere sintetizzati dall’organismo e, per questo motivo, si devono ottenere dagli alimenti, ma come sappiamo l’alimentazione di oggi non è poi così efficace in quanto seguita in maniera troppo superficiale. Partite e incessanti allenamenti espongono il giocatore a continue infiammazioni, senza contare i continui chilometri macinati, i quali logorano brutalmente le articolazioni, causando gli infortuni. Bene, diversi studi hanno dimostrato come un’assunzione regolare di EPA e DHA possa mantenere controllata l’infiammazione originata dall’attività sportiva. Poi integrerei la Vitamina B12, essenziale per la formazione di globuli rossi e per la buona salute del sistema nervoso. Da non dimenticare poi gli alcalinizzanti, obbligatori per ristabilire l’equilibrio acido-base che purtroppo è messo in pericolo dalle diete ricche di zuccheri e farine. Tra l’altro quelle tipiche del nostro territorio e di gran moda anche nello sport (leggi qui invece quale sia l’alimentazione perfetta per il calciatore, e non solo).
L'integrazione sportiva
Bene Claudio, dopo aver snocciolato l’essenziale capitolo - ma non affatto scontato - dell’integrazione basale, spiegaci adesso il protocollo specifico per il supplemento nutrizionale dello sportivo. In particolare quello adatto ad ogni calciatore: “Per cominciare vorrei fare una premessa importante. Purtroppo, per colpa di una cultura poco avanzata in materia e di una visione prevenuta, oggi c’è ancora una visione distorta in merito all’integrazione sportiva. Soprattutto nel calcio. E il motivo è molto semplice: fino 10-15 anni fa c’era effettivamente una connessione ambigua tra integratori e doping, ma ciò non voleva assolutamente dire che l’integratore fosse dopante. Infatti succedeva che alcune case che producevano integratori facevano anche dei prodotti a base di proormoni: come DHEA o androstenedione, entrambi utilizzati illegalmente per gli sport di bodybuilding e culturismo. A volte succedeva che incapsulavano gli integratori consentiti e salutari, come per esempio i normalissimi ammonioacidi semplici o ramificati (quindi quelli concessi tutti gli sportivi, calciatori compresi) con la stessa macchina con cui avevano incapsulato quelli a base di androstenedione. E quindi succedeva che c’era una contaminazione di sostanze come il nandrolone che inquinavano – rendendoli quindi proibiti – i semplici amminoacidi ramificati. È provato che alcuni integratori, assolutamente legali, erano contaminati da sostanze esterne ed illecite, quali i prooromini. E questi proormoni, negli anni 90, negli USA erano commercializzati (androstenedione e tutti i vari precursori del testostrerone) e quindi in sbaglio le case produttrici contaminavano un po’ il tutto. Sporcando quindi gli integratori legali. Poi le stesse aziende, capendo che queste leggerezze potevano essere un grave problema in termini commerciali e non solo, hanno creato macchine diverse e apposite per gli integratori normali e salutari. E addirittura anche in America i cosiddetti proormoni sono stati proibiti, quindi i problemi della mescolanza non sussistono più. Attualmente il rischio di prendere una contaminazione accidentale è pari a 0. Inoltre, esistono delle ditte che sul tappo scrivono doping free: ovviamente non perché un amminoaicido ramifcato o proteine sia doping, ma semplicemente per garantire che il singolo integratore non sia contaminato da alcune sostanze illecite. Allo stato attuale, quindi, è impossibile che un calciatore che integri venga fermato per presunto doping”. Fatta questa premessa proviamo ora a tracciare la via per aiutare una qualsiasi squadra di calcio ad integrare e alimentare i propri giocatori nella più efficace maniera possibile. Prima, però, è giusto accennare nuovamente all’alimentazione ideale, ovvero lo step imprescindibile per rendere al massimo e non infortunarsi.
La via dei grassi e delle proteine
Spiega
Tozzi: “Gli
alimenti acidi (soprattutto la pasta, magari ancor più acidificata
dalla classica passata di pomodoro)e gli zuccheri indeboliscono i
muscoli, riducono e alterando i processi di ossigenazione. Non solo,
cibi acidi e con glutine (in particole nei soggetti
intolleranti/sensibili al glutine e non solo) possono rilasciare una
proteina (la Zonulina) che rompe le “giunzioni serrate” nel
rivestimento intestinale, creando un intestino permeabile: favorendo
l’insorgere di affaticamento cronico e bloccando il passaggio dei
nutrimenti buoni ai muscoli. Aumentando quindi la possibilità di
infortunarsi”.
(Per una visione più ampia dell’alimentazione nel calciatore leggi
qui). Ma allora - per esempio - la classica ‘crostata con la
marmellata’ prima della partita può inficiare sulla prestazione?
“Certo.
Anzitutto è una sostanza acida e con glutine (proprio come la
pasta), e quindi interferisce sul valore di ossigeno nel corpo e
aumenta la probabilità di debolezza. Aumentare il grado di
assunzione di zucchero vuol dire che nella prestazione il corpo umano
comincia ad utilizzarli come carburante preferito a discapito dei
grassi. Ma il glicogeno intramuscolare, cioè la quantità di
zucchero che puoi immagazzinare nel fegato e nei muscoli, ben che
vada non dura più di un’ora. Motivo per cui la maggior parte delle
squadre cala dopo il 60’’ del secondo tempo. Col passare dei
minuti il corpo dovrebbe andare avanti utilizzando grassi e proteine,
ma siccome durante l’anno l’atleta ha mangiato prevalentemente
zucchero e cibi acidi l'
organismo si ritrova ad non essere efficiente nel bruciare i grassi
”.
Ma quindi prima della partita cosa si dovrebbe mangiare? “Il
vero spuntino pre gara sarebbe niente. Ovvero non fare mangiare i
giocatori”.
Perché? “Per
il semplice fatto che la partita a digiuno ha una maggiore
concentrazione, adrenalina e una maggiore prestazione. Ovviamente
l’atleta deve bere. Se proprio non si riesce a farli stare a
digiuno, allora si può fare uno spuntino con della uova, frutta e
frutta secca, con una spremuta di arancia naturale. Invece, due ore
prima della partita, tendenzialmente si mangia pasta al pomodoro,
crostata, pollo e così via. Infatti è comune pensare, ‘siccome
l’atleta ha bisogno di zuccheri, lo riempiamo di carboidrati così
corre di più’. In realtà è nulla di tutto questo. Quando si
mangia prima della partita c’è un tempo di digestione che può
andare dalle due alle quattro ore. E quindi quando il calciatore
scende in campo ancora sta digerendo. E se sta digerendo, parte del
sangue sta nell’intestino al posto che nei muscoli. E’ facile
capire le negative conseguenze di questo meccanismo. Se è provato
che il corpo umano ha bisogno di un certo equilibrio acido base, la
pasta, la carne sono acide, e quindi l’atleta che mangia queste
cose prima della gara avrà una prestazione inferiore alle
aspettative. E di tanto anche. Si dice sempre: ‘Bisogna mangiare i
carboidrati in modo da riempire il serbatoio di glicogeno’. Bene,
più mangi carboidrati più aumenta il peso perché il carboidrato ha
bisogno di essere convertito in glucosio, e una molecola di glucosio
per entrare nel muscolo ha bisogno di tre parti di H20. In questo
modo il muscolo si riempie di acqua, e quindi diventa più pesante.
Quindi non è vero che mangiare più carboidrati fa diventare più
veloce e aumenta la resistenza. E nel campionato di Serie A purtroppo
ci sono sempre più infortuni nei primi minuti di gioco, basti
pensare alla recente partita del Cagliari contro la Sampdoria con quattro
infortuni nel primo tempo, ma di casi ce ne sarebbero
molti”.
Continua
Tozzi: “E
vero che noi abbiamo bisogno di caricare il glicogeno, ma per quanto
sia carico non è abbastanza per una partita di calcio, perché dopo
massimo 60 minuti tale scorta si esaurisce.
E
infatti i cali fisici sono sempre dopo il 60’. Lo dicono i numeri.
Il problema è che se si fa mangiare al calciatore tutto l’anno
pasta, pane, crostate farine, cibi acidi, ii suo corpo si setta e
ottimizza sul consumo di soli carboidrati. E quando tali zuccheri
finiscono in partita, siccome il fisico non ha mai lavorato col
metabolismo di
grassi-proteine, allora il corpo non risulta efficiente. E cala. Si
affatica. Subisce crampi. Se finisci il glicogeno, il corpo fa una
miscela grassi proteine, ma se durante l’allenamento non l’ha mai
fatto (perchè mangia sempre pasta) il fisico va in tilt. Quindi
in settimana dovresti abituarti a utilizzare la miscele grassi
proteine, e secondo gli studi ci vogliono almeno 5 settimane di
settaggio. Si comincia dalla tavola e si arriva all’integrazione.
Il problema non è la prima ora di gara, perché comunque i
carboidrati sufficienti li hai, ma poi si cala indipendentemente
dalle scorte di glicogeno. Quindi rifornire continuamente il corpo di
‘carbo’ è una cosa insensata, ma purtroppo è l’errore che
commettono la maggior parte. La frutta la devono mangiare, certo,
perché gli zuccheri vanno assimilati, ma è la pasta e il pane,
oppure le crostate, che sono alimenti inutili ai fini dell’incremento
e della costanza nelle prestazioni. L’energia fornita dai grassi,
tra l’altro, è più forte di quella generata dagli zuccheri. 1
gramo di grassi sta a 9 calorie, mentre 1 grammo di carboidrati ne dà
4. I grassi danno anche più moli di ATP, ovvero le nostre batterie
per compiere ogni azione quotidiana. Figurarsi in un
calciatore”.
“Quando
si fa una colazione all’italiana, in particolare prima delle
partite, ci si alza la mattina e mangia latte-caffé-fette
con marmellata e crostate, facendo scattare nella persona un
meccanismo che si chiama ipoglicemia reattiva: mangio
i vari carboidrati e mi si alza la glicemia, in modo che sono più
resistente e forte, ma non è vero in termini di resa. Perché se io
mangio tanti zuccheri, l’insulina automaticamente interviene in
risposta a causa di una glicemia aumentata in maniera troppo
repentina. Quindi succede che intervenendo a cannone, l’insulina fa
calare velocemente anche la glicemia perché questa non deve superare
i 110. In realtà li supera, arrivando anche
a 180, così l’insulina interviene per far entrare lo zucchero nei
muscoli e abbassare la glicemia. Il problema, però, è che
l’intervento così forte dell’insulina per tutti questi zuccheri
abbassa il livello di glicemia a soglie minori di prima e addirittura
inferiori a quelle pre-colazione.
Praticamente, farà strano leggerlo, ma fare la colazione ti peggiora
la prestazione. Ovviamente se riferito al tipo di colazione
principalmente in voga. Perché una cosa è consumare 40-50 grammi di
zucchero tra cornetti-biscotti. Un’altra è mangiare una mela o
un’arancia che ne hanno sui 10, più uova e frutta secca.
L’insulina in questo modo non interviene così prepotentemente e fa
sfruttare al massimo i giusti zuccheri ingeriti. Insomma, se c’è
la partita alle 12: o non si mangia niente, o si mangia un frutto,
mandorle noci e due uova intere. Poi un’ora prima della partita una
mela o un’arancia, per esempio. In modo da avere la giusta ricarica
ed efficiente scorte di zuccheri. Mangiando ovviamente tutta la
settimana in maniera corretta: ovvero prediligendo i pochi zuccheri
buoni di frutta e verdura, mangiando proteine e grassi, e creando un
equilibrio acido-base”.
L’integrazione per il recupero
Fatte
queste dovute premesse, arriviamo al punto. Cosa assumere prima della
partita? “45
minuti prima del match ai giocatori darei senza dubbio l’arginina
(alfa
chetoglutarato): un ottimo vasodilatatore, precursore dell’ossido
nitrico, quindi con effetto importante per l’ossigenazione dei
tessuti e della salute vascolare in generale. Il tutto perché un
afflusso di sangue più abbondante verso le fibre muscolare si
traduce in un maggiore rifornimento di glucosio, amminoacidi, grassi
ed ossigeno alle cellule ed ottimizza la produzione energetica.
Ritardando così l’affaticamento muscolare”.
E
durante l’intervallo? “La
soluzione migliore sarebbe idratare il corpo con dell’acqua
alcalina,
favorendo così il fisiologico equilibrio acido-basico dell'organismo
durante il corso della partita”.
Bene, veniamo al recupero: “Per aumentare il recupero del calciatore, si possono utilizzare due buoni integratori. Uno senza carboidrati, come per esempio a base di arginina-creatina-glutammina. Come alternativa nel post partita, si può prendere un integratore con 1 grammo di carboidrati ad alto indice glicemico, come per esempio il destrosio assieme a 30 grammi di proteine della carne. Il pasto lo fa poi a cena con frutta-verdura-carne o pesce e frutta secca. A un giocatore magro, con poca forza e massa muscolare, consiglierei anche delle patate americane per contrastare un metabolismo troppo veloce. Comunque, dopo la doccia, consiglierei un prodotto a base di arginina-creatina e glutammina. Il tutto utile per aumentare la sintesi proteica e ridurre la disgregazione delle proteine, oltre che prezioso per la riduzione significativa della sensazione di affaticamento, contrasto dell’accumulo di acido lattico. Inoltre, dopo un’ora dalla fine della partita, darei ai giocatori gli amminoacidi essenziali (uniti ai classici ramificati, BCAA): importanti per lavorare a livello del recupero muscolare e per diminuire i livelli di cortisolo e dell’enzima CPK, enzima che evidenzia danno a livello muscolare. Gli amminoacidi essenziali, poi, favoriscono un maggior utilizzo dei grassi a scopo energetico e migliorano l’adattamento allo stimolo allenante”. Ma non è finita, perché nel calcio anche la tensione può giocare brutti scherzi, “per questo, in caso di problemi di ansia da prestazione o agitazione, consiglio assolutamente l’assunzione di melatonina: preziosa per dormire meglio e avere una condizione mentale lucida”. E per quanto riguarda le famose proteine in polvere? “Non rappresenterebbero una necessità se fossero assunte con una sana alimentazione di base, ovvero garantendo al calciatore una quota di 1.7 grammi di proteine per peso corporeo. Certamente, però, servono componenti amminoacidiche per ottenere un’ottimale sintesi proteica. Anche la creatina, per la quale non ci sono assolutamente problemi nell’assunzione per un calciatore, rappresenta un’ottima fonte da integrare: infatti aumenta la forza, favorisce il recupero, abbassa il battito cardiaco e incrementa la risintesi del glicogeno. Ricordiamo poi che il 33% di tutta la massa muscolare è fatto da alanina-isoleucina-leucina, le quali possono essere depauperate dopo sforzi pesanti e prolungati, quindi con l’integrazionee l’alimentazione efficace si possono ristabilire”. Può succedere, però, che l’integrazione sportiva con alcuni soggetti possa non portare particolari benefici (ma certamente non effetti collaterali), per questo è importante sottolineare come l’alimentazione sia la vera chiave e mattone base per avere una prestazione al top e costante nel tempo. Ovviamente, come detto, seguita dal giusto riposo. Già, perché la sfortuna con gli infortuni - e soprattutto con i cali fisici - non c’entra proprio nulla.