Antonio Gammone, piccolo gigante della Sicula Leonzio: "Non ho limiti"

Un ragazzo speciale, una storia che lo è altrettanto. Sembra una banalità ma fidatevi, non lo è. Antonio Gammone di mestiere fa il calciatore, ruolo? Indefinito. Gioca ovunque e dove lo metti sta, ma se proprio dovesse decidere lui dove giocare probabilmente vi direbbe ala destra. Non è un ragazzo che ha avuto un'infanzia difficile e ce l'ha fatta, no... lui è solamente Antonio: un ragazzo di Venosa - un paesino di 12.000 abitanti in Basilicata - che ama il calcio, la vita, la famiglia e si emoziona per i piccoli gesti e crede nel valore di questi.

Ai microfoni di gianlucadimarzio.com si è raccontato, a cuore aperto, letteralmente. Dal presente alla Sicula Leonzio in Serie C, al suo passato da ragazzino di strada che viveva i tornei organizzati dalla Chiesa come la Champions League, al futuro che si augura gli possa riservare ancora tante sorprese. Un ragazzo come tutti che ha realizzato il suo sogno di giocare a calcio e che lo vive come un riconoscimento al duro lavoro e ai sacrifici fatti. Per capire chi sia questo giovane ragazzo di 25 anni bisogna partire dai primi passi mossi con un pallone tra i piedi:

"Ho ereditato la passione per il calcio da mio nonno Antonio, lui ha giocato principalmente in categorie minori ma era un grande appassionato di questo sport. E' anche merito suo se oggi vivo di questo. In generale la mia infanzia l’ho passata a giocare a pallone per strada con gli amici anche perché il nostro territorio offriva poco sotto questo punto di vista. La routine del giorno era passare i pomeriggi giocando a pallone.

Da piccolo giocavo con i miei amici in una piazzetta dove le porte erano fatte dai pali della luce e dalle panchine. La mia prima vittoria ottenuta grazie al calcio è arrivata proprio lì: noi - io e i miei amici - condividevamo la piazzetta con un gruppo di ragazzi di 4-5 anni più grandi di noi e una volta successe che al mio gruppo e al loro capitò a giocare nello stesso momento nella piazza. E quale modo di giocarci il campo se non con una gara a calcio? Vincemmo noi contro di loro… erano più grandi di noi in tutti i sensi e noi piccolini riuscimmo a batterli. Una felicità immensa, un ricordo bellissimo".




Ed è proprio grazie a questa partita da "dentro o fuori" che capisce di poter trovare il suo spazio in questo mondo perché Venosa è piccola e anche una partitella così banale fra ragazzi è un avvenimento, soprattutto se a vincere sono gli sfavoriti: "Da lì poi loro, quelli grandi, soprattutto nei tornei di Chiesa - che per noi erano tornei importantissimi - mi invitarono a giocare con loro, il massimo a cui potessi aspirare. Io avevo solo 13-14 anni ero bassino, un po’ di più di adesso, ma mi volevano sempre con loro: ragazzoni di 4-5 anni più grandi di me. Per il paese era qualcosa di incredibile… un ragazzino tra i grandi. Erano tutti esaltati e felici. Io? Beh per me era una soddisfazione, lo ammetto. I premi erano dolci, patatine o bibite offerte? No, più che altro venivo esaltato a livello morale. Tutti mi conoscevano, mi salutavano, mi trattavano bene e mi dicevano tutti che ero forte. Ma non solo io, della mia annata lo eravamo tutti. ". Eh sì perché non ve lo abbiamo detto, ma Antonio oltre che essere piccolo di età era (ed è) anche abbastanza bassino: un paperino in un mondo di papaveri.

Ma di soddisfazioni nella sua infanzia Antonio non ne ha avute poche, anzi. Tutte lo hanno aiutato a coltivare il suo sogno di diventare un calciatore come quando riuscì a regalare alla Basilicata, la sua terra, un sogno: "Con la mia scuola vincemmo i campionati nazionali di calcetto. Sembra un niente ma la Basilicata mai prima di noi era riuscita a vincerli, compimmo un’impresa pazzesca. In finale vincemmo con quattro gol miei. Ho ancora la pelle d’oca se ripenso a quei momenti. Sono stato fortunato perché comunque, lo ripeto, eravamo tutti forti. La gioia più grande era quella di sentirsi bravo perché tutti te lo dicevano".

Se pensate che si sia esaltato troppo sbagliate. Antonio ha sempre tenuto i piedi per terra anche se , ovviamente, un ragazzino che a 13/14 anni si sente un campione avrebbe potuto peccare d'arroganza. A spegnere i suoi facili entusiasmi c'era la famiglia e la consapevolezza dentro di lui che la strada era ancora lunga, e ne ha fatta tanta questo ragazzo di 1.69 (ci tiene a specificarlo) fino a oggi.

Bari, le prime gioie e i primi dolori da calciatore

A 13 anni però il suo sogno era troppo grande perché Venosa possa aiutarlo a realizzarlo. E poi ovviamente l'attenzione mediatica creata su di sè porta squadre come la Juventus a convincerlo a lasciare la Basilicata, ma... "A 13 anni avevo diverse squadre che mi cercavano. Ricordo la Juve, il Bari, l’Empoli. Io avevo già deciso che volevo andare a giocare in una società grande perché inseguivo il mio sogno a livello morboso. L’unica dove potevo andare era il Bari che era vicino a casa perché in realtà a 13 anni non si poteva uscire ancora fuori regione. Quindi decisi di andare a Bari perché sennò avrei dovuto aspettare un altro anno e restare al mio paese e non volevo: dovevo diventare un calciatore".




A Bari furono gioie e dolori per un ragazzo che aveva un'ambizione esagerata: "Bari? Come scelta mi trovai bene e non me ne pento, arrivai anche in Nazionale, il gruppo poi era forte, ma credo che nel calcio debbano combaciare un po’ tutte le cose e a me non è andata benissimo da quel punto di vista perché l’anno che fui portato in prima squadra ci fu lo scandalo del calcioscommesse e anche questo contribuì al non farmi esordire. Ero stato un mese e mezzo in prima squadra, me lo aspettavo ma non accadde. Quella fu una vera batosta perché ci tenevo tantissimo, l’anno dopo decisi di andarmene. Non mi interessava dove ma volevo giocare nei professionisti, coi grandi".

Quella maglia regalata ad un tifoso disabile. Un gesto semplice e spontaneo che ha stupito tutti

Dopo il Bari scelse il Como e poi la Juve Stabia dove si rese protagonista di un gesto forse normale o forse no. Perché in un mondo che va di fretta e dove spesso non ci si guarda attorno, purtroppo, un gesto semplice e normale come quello di cercare un tifoso disabile per regalargli la maglia sembra strano, diverso. Ma il modo in cui lui ce lo racconta fa trasparire la sua genuinità e semplicità in modo disarmante: "Per me il lato umano viene prima di ogni altra cosa. Lo avrei fatto anche per una persona che mi chiedeva la maglia e non era disabile. Però proviamo a pensare e riflettere: era una persona che già non era stata fortunata, se io dandogli la mia maglia potevo regalargli una minima gioia perché non farlo? Un gesto così banale per me valeva tantissimo.




Ho visto che non c’era in curva, ma ci tenevo a regalargli questa piccola gioia. Quando non l’ho trovato sono rientrato negli spogliatoi, mi sono messo una felpa e sono uscito immediatamente dallo stadio per cercare questo ragazzo. Sono riuscito a trovarlo, l’ho fermato e gli ho dato la mia maglia. È stato un momento bello anche per me perché mi sono reso conto di aver strappato un sorriso a qualcuno che non se lo aspettava. Cosa mi ha detto? Nulla, non se lo aspettavano erano contenti, ma basiti. Per me fu un gesto banale e spontaneo al momento nemmeno mi sono reso conto di quello che avevo fatto poi dopo tutti ne hanno parlato e la cosa si è ingigantita, ma a me non mi interessava quello. Era stato un gesto spontaneo". Qui non servono applausi, stima e riconoscimenti no... serve riflettere. Fermarsi e capire che regalare un sorriso a volte vale trequarti del nostro tempo che spendiamo ad arrabbiarci per l'indifferenza dilagante.





La famiglia e il nonno Antonio

"Per me la mia famiglia è stata fondamentale. Il calcio anche a livello giovanile ti porta tante gioie e anche delusioni. Quando sei più piccolo soprattutto quest’ultime è difficile gestirle e superarle. Le senti in modo diverso. La loro dote più grande è stata quella di starmi vicino e di trasmettermi forza. Poi mi hanno sempre lasciato scegliere a me: non importava se sbagliavo oppure no. A volte i genitori mettono troppa ansia e pressione, per me era il contrario, Quando me ne andai al Bari, per esempio, li chiamavo nei momenti di sconforto dicendogli: “Voglio tornare a casa”. La loro risposta mi spiazzava sempre: “Eh… tornatene a casa!”. Questa risposta mi dava sempre la forza di impuntarmi e dire “No! Ora resto qui”. Magari se mi avessero detto il contrario sarei tornato indietro e non avrei intrapreso questa carriera. Chi lo sa? Loro e la mia ragazza Sonia, con la quale sto assieme da ormai 10 anni sono stati e saranno sempre tutto per me".




Testardo e caparbio. Non ha mai mollato, anzi quando sentiva che qualcuno pensava o credeva che forse avrebbe potuto mollare lui ci metteva il doppio dell'impegno e dimostrava che avevano torto. La famiglia poi è sempre stata un motivo per andare avanti e non perdere tempo a rimuginare. Tanto attaccato a loro che in qualche modo li porta sempre in campo con lui. Non tutti però solo uno che vale per gli altri, il nonno Antonio: "Perché il numero 24? C’è un motivo particolare dietro a questo numero. L’anno in cui in Lega Pro fu portato il numero fisso, l’estate prima, a maggio, persi mio nonno, quello grazie al quale ho intrapreso questa strada. Lui era un simbolo per me, poi aveva il mio stesso nome e per questo ho scelto di portare con me per sempre la sua data di nascita come numero di maglia. È come avercelo a fianco a me, ancora oggi".

L'altezza mai un limite, la tenacia e la duttilità i punti di forza. La Sicula Leonzio, un rapporto speciale...

"La mia altezza? Il fisico conta nel calcio perché se hai limiti fisici. Su alcune situazioni potresti andare in difficoltà. Ma io sono sempre stato uno tenace e il fatto di essere basso non mi ha mai spaventato, anzi. Per me è sempre stato un punto di forza. Se c’era uno scontro aereo da fare mi buttavo, non avevo problemi. Ha i suoi pro e contro la mia altezza. Non ne ho mai fatto un problema e se devo dirla tutta alcune volte è stato anche un vantaggio.

L’altezza comunque io credo che sia relativa e non limitante. I giocatori più importanti che hanno fatto la storia di questo sport erano per lo più bassi. È normale che io ambisca alla Serie B o chissà… nel calcio è così se non sei ambizioso non vai avanti. Il salto di qualità devi pensare sempre di volerlo fare sennò non hai nemmeno stimoli. Per cosa giochi sennò? Devi porti obiettivi. Quello che mi auguro per il futuro è di non perdere la voglia di spingere e lottare per i sogni che coltivo da quando sono piccolo". Già... un piccolo grande uomo. Pensa in grande e sogna ad occhi aperti, ma con i piedi ben saldi per terra perché sa che tutto quello che otterrà passerà, inevitabilmente, dal suo approccio quotidiano a questo sport.





"Cerco sempre di allenarmi e svolgere il mio lavoro al meglio e crescere in ogni ruolo. È uno stimolo per me ma anche un fattore che può darmi qualche possibilità in più perché in generale in campo dove mi metti sto. Anche in porta… datemi due guanti e vedete che anche tra i pali posso starci. L’altezza non mi aiuta è vero, ma nessun problema: mi allenerò a saltare come un gatto…" Vedete? Ha una voglia di fare e spaccare tutto che basterebbe per mille uomini più grandi e robusti. Quando si dice che i limiti esistono solo nella nostra testa bisognerebbe pensare ad Antonio.

Ora però il presente è la Sicula Leonzio dove, nell'ultimo turno di campionato è stato protagonista con un gol incredibile contro la Viterbese: "Un tiro da fuori area spontaneo e non cercato. Sono stato bravo, ma anche fortunato. Siamo un gruppo unito e compatto. Ormai è due anni che sono qui e mi trovo benissimo. E' una società molto ambiziosa. Il gol contro la Viterbese poi è stato a suo modo storico perché è la prima volta che la Sicula Leonzio vince tre gare di fila da quando è tornata tra i professionisti ed è un traguardo importante. Spero di fare bene qui come sto facendo e togliermi delle soddisfazioni importanti".

Lo salutiamo dopo un'interminabile chiacchierata tra amici che non si vedevano da tanto tempo e si raccontano quello che uno si è perso dell'altro in questi anni. La sua genuinità ha fatto il resto. Ci ringrazia lui a noi, sinonimo di una candida naturalezza: "Grazie, mi avete fatto rivivere ricordi e momenti a cui era da un po' che non ripensavo..." Grazie a te Antonio per averci raccontato chi eri, chi sei e cosa vorresti, ancora, diventare.




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