Oltre 50 anni di amore, dalla Coppa italia al fallimento: Anna e il "suo" Vicenza
Oltre 50 anni di amore per il Vicenza, un gatto di nome Lane ma soprattutto un marito "a cui il calcio non interessa proprio". Ma ad Anna Belloni, non piace molto l'idea che qualcuno scriva di lei, preferisce di gran lunga mettere a servizio degli altri le esperienze, le vicissitudini raccolte direttamente dai tifosi per una rubrica che cura personalmente e ha una predilezione particolare nel raccontare la storia dei giocatori che hanno indossato la maglia della sua squadra del cuore, per ricordarli e salvarne la memoria. “Sono una semplice e normale tifosa di calcio, appassionata anche di letteratura e di storia, che ama mettere a disposizione la sua penna”.
Anna, infatti, è una grande tifosa del Lanerossi Vicenza. Un idillio sbocciato sin dai suoi primi anni di vita, quando guardava il papà e il fratello prepararsi per andare allo stadio: “Perché non posso venire anch’io?”, chiedeva sempre. Anna ha coltivato sin da piccola un forte desiderio, quello di poter ammirare da vicino i suoi beniamini che al tempo chiamava gli “invincibili” grazie ai racconti del padre, scoprendo solo più tardi che gli “invincibili” sono in realtà i giocatori del Grande Torino.
Così, un aprile degli anni ‘60, ha convinto finalmente il papà a portarla con sè allo stadio per la prima volta, in occasione di un Vicenza-Juventus vinto dai bianconeri. Nonostante la sconfitta, è stato difficile contenere la sua passione. Era impossibile per tutti staccarla dal rettangolo verde dove giocavano quelli che per lei erano delle “divinità vestite in bianco e rosso”, e dall’abbonamento pulcini in tribuna è salita sui gradoni della Curva Sud all’età di 15-16 anni.
Lo sguardo indietro nel tempo non può non rievocarle la partita che ancora oggi le fa brillare gli occhi, forse ancor più della Coppa Italia: “E' l’insperata salvezza conquistata sul filo di lana contro l'Atalanta nel 1973, quando io con altri 12 mila tifosi abbiamo preso treni e pullman per seguire il Vicenza a Bergamo. Era quasi impossibile salvarsi, poi l'autogol dei nerazzurri e una serie di coincidenze negli altri campi ci hanno permesso di mantenere la categoria”.
All’epoca nel Vicenza giocava Ezio Vendrame, uno dei giocatori a cui Anna riconcilia bei ricordi, assieme ad altri del calibro di Lopez, D’Aversa, Carrera, Lelj, Faloppa, Civeriati, Otero. “Spero di non essermi dimenticata nessuno. Una volta consideravo i giocatori inavvicinabili, ora invece con alcuni ho un bel rapporto di amicizia e quando c'è l'occasione li invito a cena da me. E pensare che a mio marito, Diego, il calcio non piace...anche se supporta la mia passione, pure quando ho deciso di chiamare il nostro gatto Lane”.
“Per il Vicenza mi sono buttata in una fontana della città, come scommessa in caso di vittoria della Coppa Italia”. Sicuramente uno dei momenti più travolgenti, che cozzano tremendamente con i più recenti anni bui. “Avevo promesso che in caso di salvezza contro il Santarcangelo mi sarei tuffata in mare, e così fortunatamente ho fatto. Non lo nascondo, ho pianto per il fallimento della mia squadra”, una ferita ancora aperta per Anna: “Ho vissuto quel periodo come un lutto. Abbiamo buttato tanti anni al vento, perdendo una generazione di nuovi tifosi”.
Nonostante tutto, non si è mai allontana dal Romeo Menti e ha continuato a coltivare la passione per la scrittura (pubblicando in proprio tre libri) ed anche quella per il collezionismo. Anna infatti conserva gelosamente nei cassetti dei biglietti, articoli di giornale, opuscoli di partite e custodisce in un solo armadio 108 maglie biancorosse, da Oscar Damiani, Mimmo Di Carlo, Zauli, Luiso, a Sgrigna, Morosini, Maritato, Giacomelli, e l’eccezione “straniera” della maglia del Blackpool, la squadra che inflisse al Vicenza la sonora sconfitta per 10-0 nel torneo anglo-italiano del 1972.
“Sai, era una competizione non molto sentita perchè all'epoca veniva giocata al termine del campionato e molti calciatori erano già con la testa altrove. Però mi fa tornare alla mente il calcio che era e che ora non è più, almeno per me”. E chiude con un particolare augurio: “Il Vicenza non è solo circoscritto all'ambito calcistico, ma è anche l'espressione culturale di un intero territorio. Vorrei che i bambini tornassero ad indossare la maglia biancorossa, magari riponendo nel cassetto quella di Ronaldo”. E, naturalmente, l’auspicio di vedere quanto prima la squadra guidata da Mimmo Di Carlo, che anche dopo il primo storico derby professionistico con l’Arzignano si mantiene in scia dei cugini padovani avanti di una lunghezza, calcare nuovamente palcoscenici importanti.
Giada Mazzucco
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