L’ultima prodezza del ‘messicano’ Gignac e la maledizione rotta dai Tigres
Dopo cinque anni la missione è finalmente compiuta: Gignac e i Tigres, campioni al di fuori del Messico per la prima volta nella storia. Non poteva che essere del francese, ormai franco-messicano, la rete che portava al club universitario la prima Champions League centro-nordamericana della storia.
D’altronde era stato acquistato proprio per questo, in un 2015 ormai lontano in cui cominciò una delle storie più incredibili del calcio messicano. Gignac era letteralmente fuggito dalla Francia: nonostante gli ottimi numeri tra Lorient, Tolosa e Marsiglia non aveva trovato il contratto che sognava, e scelse a sorpresa il Messico come destinazione. Non senza esitazioni, sia chiaro: il terrore era quello di recitare ancora giovane il ruolo di campioni come Guardiola e Bebeto, passati per dimenticabili esperienze ai Dorados de Sinaloa e al Toros Neza, oppure come Ronaldinho, che proprio in quell’anno lasciava a Querétaro una delle immagini più sbiadite dell’intera carriera.
Ma in questo caso l’approccio fu decisamente differente: forse per i 4,5 milioni di contratto, forse per l’età ancora lontana dalla vecchiaia agonistica, o forse perché l’accoglienza da re riservatagli dai tifosi auriazules, trovò in fretta gli stimoli per far bene. E il folklore messicano nell’incontro con un giocatore di alto livello può creare qualunque cosa: per esempio ancora oggi c’è chi ‘noleggia’ un sosia di Gignac per le feste dei bambini, entusiasti nel vedere il loro idolo, oppure la recente invasione di campo di un ragazzino che si è fatto portare via dalle forze dell’ordine solamente quando Gignac gli ha regalato un paio di pantaloncini.
Non ha avuto solo momenti facili il francese, anche perché il campionato è cresciuto enormemente di livello nel corso degli anni. In un periodo di difficoltà in cui non riusciva più a segnare si rivolse a un ipnotista, e visto che siamo in Messico da quel giorno in poi ha segnato in tutte le gare dei playoff e ha portato il titolo nazionale ai Tigres.
E se per aiutarlo a segnare è servito un ipnotista, per vincere un trofeo internazionale sarebbe servito forse uno stregone. Perché i Tigres si sono ritrovati in fretta nel vortice di una maledizione in stile Bela Guttman, quella di perdere tutte le finali fuori dal Paese. Quando arrivò nel 2015 la squadra arrivò fino in fondo a giocarsi il titolo della Copa Libertadores con il River Plate, squadra che avrebbero potuto volontariamente eliminare nella fase a gironi: sarebbe bastato perdere col Juan Aurich e avrebbero comunque passato il turno da primi ma eliminando il River. La partita finì 5-4 per i Tigres che si ritrovarono gli avversari ‘risparmiati’ nel girone e persero la finale con un 3-0 globale.
La Copa Libertadores peraltro non la potranno vincere più, visto che da qualche edizione l’invito alle squadre messicane è stato revocato. Era rimasta dunque solo la Concacaf Champions League, la coppa del Centro e Nord America, dove però hanno perso in finale contro il Club América nel 2016, con il Pachuca 2017 e clamorosamente anche il derby, il Clásico Regio contro il Monterrey nel 2019, qualcosa di difficilissimo da accettare.
Il 2020 ha dato l’ennesima occasione e stavolta non è stata sprecata. Anche perché in finale stavolta non c’era una messicana ma una squadra MLS, il Los Angeles Fc. E Gignac questa occasione non la poteva proprio sprecare: ha segnato il gol del decisivo 2-1 nel finale di gara e ha interrotto la maledizione delle finali perse. Quella dei Tigres ma anche quella personale, visto che nel 2016 giocò e colpì anche un palo nella disfatta di Saint Denis di Euro 2016 della Francia contro il Portogallo.
Ha scritto ogni tipo di record europeo possibile in Messico, ha persino dichiarato che se fosse stato possibile avrebbe giocato per la nazionale tricolor. E forse dopo l’ultima impresa anche il resto del Paese sarebbe d’accordo.