Dalla litigata con Simeone a 2 cm dal Milan. Pablo Alvarez: “Catania e Mihajlovic nel mio cuore”

C’era una volta una squadra italiana con 13 argentini. La maglia non era a strisce albicelesti, bensì rossazzurre. “Lottavamo sempre per la salvezza, ma nei momenti di difficoltà si vedeva la forza del gruppo. Con quei compagni ho un ottimo rapporto e ancora oggi parliamo. Con gli argentini abbiamo la chat ‘Catania record’, poi a volte sento Biagianti che ora è in società: sono contento per lui perché ama il club”, così Pablo Alvarez a Gianlucadimarzio.com. Un difensore tignoso quanto duttile, che ai piedi dell’Etna era arrivato per giocare sulla fascia destra e invece poi si è affermato a sinistra, con 123 presenze dal 2008 al 2014 intervallate dai prestiti al Rosario Central e alla Real Saragozza. 

 

 

Il suo arrivo in Italia è targato Pietro Lo Monaco, che lo acquistò dall’Estudiantes dopo aver vinto l’Apertura. “Quando sono arrivato c’erano solo Izco e Bizzarri, oltre a Martinez e Vargas. Siamo stati i primi della colonia argentina. Con il direttore spesso litigavamo, ma alla fine posso dire che avevamo un bel rapporto”. E pensare che l’approdo in Europa sarebbe potuto arrivare 6 mesi prima, ma non se ne fece nulla per colpa o grazie a Simeone, ex allenatore proprio del Pincha. “Il Monaco voleva comprarmi, ma quando glielo dicono al Cholo, lui si oppose perché voleva che restassi e non c’era un sostituto. Io mi arrabbiai, ma con il club eravamo rimasti d’accordo che se fosse arrivata un’offerta nel prossimo mercato l’avrebbero accettata. Arrivò il Catania e Simeone mi disse che per lui sarei dovuto andare in un club più importante”. Proprio in Sicilia i due si sono ritrovati tre anni dopo. “Questa è stata la prima cosa che gli dissi: “Ti ricordavi quando mi dicevi che sarei dovuto andare in un club più grande? Guarda dove sei finito!”. Ovviamente scherzando, poi ci eravamo già chiariti in precedenza a Buenos Aires. Con lui ho litigato, ci siamo messi le mani addosso, abbiamo discusso, ma è stato il migliore che ho avuto. Il lavoro che facevamo all’Estudiantes era lo stesso che trovai in Italia, per questo mi adattai subito. Ricordo che arrivai di mercoledì per esordire da titolare sabato contro l’Inter”. 

 Los Vulcanos e il rapporto con il Papu

 

 

Andujar, Silvestre, Spolli, Barrientos, Maxi Lopez, Izco, Carboni, Llama, Castro, Ledesma, Schelotto, Carrizo, Almiron e Bergessio, oltre a Paglialunga, Escalante, Monzon, Leto, Peruzzi e Freire. Ma soprattutto il Papu Gomez che era il cantate dei Los Vulcanos, mentre Alvarez suonava il bongo. “Quella band l’abbiamo creata insieme, eravamo compagni di stanza e suonavamo sempre in camera nostra. Quando tutti venivano da noi a prendere il mate, io andavo a rubare la crostata in cucina per portargliela. Ho dormito più col Papu che con mia moglie. Dopo il Mondiale è venuto qui in Argentina con la sua famiglia e ci siamo incontrati”. Stessa simpatia, ma aveva un look diverso. “Beckham gli somiglia”. Scoppia a ridere Pablo, come quell’estate che si incontrarono in spiaggia. “Noi due ci conoscevamo da avversari, prima che giocassimo insieme. Mi sembra che eravamo a Pinamar, lo vedo, lo chiamo e ci siamo dati un abbraccio che sembrava ci conoscessimo da sempre. Da quel momento credo sia nata la nostra amicizia”. 

 

Mihajlovic, Ronaldinho e i mancati trasferimenti

  

  

 

 


Oltre a Simeone, Alvarez al Catania è stato allenato anche da Atzori, Baldini, De Canio, Zenga, Giampaolo, Montella e Maran, con cui il club etneo ha stabilito il record di punti in Serie A (56). Ma se deve sceglierne uno in particolare: “Tra i migliori ricordi di quell’esperienza c’è la salvezza con Mihajlovic, un allenatore che rimarrà sempre nel mio cuore e che mi manca. Gli vorrò sempre bene, mi ha lasciato tanto fuori e dentro al campo. Mi sarebbe piaciuto essere allenato da lui per più tempo. Quando andò alla Fiorentina c’era la possibilità che mi portasse con sé, ma poi i club non hanno trovato l’accordo”. Oltre ai viola c’erano state anche altre possibilità. “Sarei potuto andare al Milan, ma poi per 2 centimetri non andavo bene. Ero basso per Galliani che voleva uno alto 180 cm, io ero 178”. Una maglietta rossonera comunque in casa ce l’ha. “Di Ronaldinho, me la diede lui a fine primo tempo. Iniziai a dargli fastidio dal primo minuto. Lo picchiavo, gli tiravo i capelli, dovevo rendergli la situazione difficile. Nel tunnel degli spogliatoi all’intervallo poi si tolse la maglia e mi chiama. Io penso: ‘Bene, ora vuole fare a cazzotti’. Ma lui mi dice: ‘Ti do la maglia, ma smettila di picchiarmi’. Era il campionato più competitivo del mondo in quel momento, oggi è la Premier. C’erano Del Piero e Ibrahimovic. Ringrazio il calcio per avermi fatto affrontare questi campioni”.

 

 

“Mia moglie prima di morire mi disse di continuare a giocare. Spero che il Catania possa risalire in fretta”

Una gratitudine per la pelota che si è anche tatuato con la scritta ‘eternamente agradecido’ e un pallone. Anche se, quasi 9 anni fa, Pablo stava per smettere. “La morte di mia moglie è stata la situazione più difficile e più brutta della mia vita. Non volevo più giocare. A darmi la forza per proseguire è stata lei. Prima di morire mi disse che non dovevo mollare il calcio perché era la cosa che mi rendeva più felice”. Rosario Central, San Lorenzo, Racing Avellaneda, Huracan e Arsenal de Sarandì, questi i club in cui ha giocato dal 2014 al 2020 dopo l’addio all’Italia. “Quando nel 2013 decisi di non rinnovare, il Catania mi mise fuori rosa. Quella fu una delle prime decisioni sbagliate da parte del club, il direttore Cosentino poi è stato arrestato…La storia è a mio favore. Poi sono andato ad allenarmi al QPR, ma non è stato trovato l’accordo per il contratto e così sono tornato in Argentina”. 

 

 

Oggi Pablo ha 38 anni e fa il procuratore, ma non ha dimenticato Catania. “Ora vivo a Buenos Aires, lavoro con Oller, che è stato il mio agente per 20 anni. Mi piace perché sono rimasto nel mondo del calcio. Il Catania non merita questa situazione, deve stare in Serie A o al massimo in Serie B, ma per lottare per il primo posto, non dove è ora. Purtroppo sono state fatte cose sbagliate e ora c’è questa realtà. Spero che possano risalire nel più breve tempo possibile. È il club dove ho giocato di più: sono stato 6 anni e mia figlia è nata lì. Mi manca tutto: la città, il clima e la gente. Un giorno ci dovrò tornare con la famiglia”. Hasta pronto Pablo!

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