Il bivio di Bizzarri: “Avrei smesso al Chievo, ora decido il futuro"

È dovuto arrivare fino a Miami per prendersi un po’ di tempo per pensare a sé e al suo futuro: “Qui sto con la mia famiglia, mi alleno e imparo l’inglese, perché non è mai troppo tardi per farlo”. Albano Bizzarri ha 42 anni, ma ha ancora voglia di giocare ad alti livelli: “Ci spero sempre, ma dipende dalla proposta”. Finora non è arrivata quella giusta: “Ho fatto due chiacchiere con il Miami Beach (squadra fondata da italiani) - ha raccontato a Gianlucadimarzio.com - ma non si è concretizzato ancora niente”. Aspetterà ancora un’altra estate, poi deciderà se lasciar chiudere il sipario: “Il finale arriva per tutti, se questo è il mio si accetta e si prende un’altra strada. Gli anni passano, la vita continua e si trovano altre cose da fare”. 

Bizzarri non sa ancora cosa farà ‘da grande’: “Ci sto pensando, devo capire cosa mi piace veramente. Non escludo nemmeno che il futuro sia lontano dal calcio”. Di una cosa però è sicuro: “Non mi pento di niente, anche se tornando indietro cambierei delle cose, ma parlare col senno del poi è inutile”. La vita lo ha portato, per ora, lontano dall’Italia e dalla sua Argentina, in un incrocio di destini sempre presente: “Il paesino dove sono nato in Argentina si chiama Etruria, è stata fondato da migranti italiani arrivati dalla Toscana”. 

"Al Real ho conteso la porta a Casillas"

Il calcio all’epoca era altra cosa rispetto ad ora. E i mezzi limitati: “Fino a 17 anni mi allenavo tre volte alla settimana nel mio paesino, senza qualcuno che mi orientasse”. La chiamata giusta, quella del Racing, è arrivata comunque, anche se è stato difficile arrivare in fondo: “Vivevo in un convitto all’interno dello stadio, potevo chiamare la mia famiglia una volta alla settimana e se volevo tornare a casa dovevo fare l’autostop o 12 ore di pullman”. 

A 18 anni Bizzarri era già nella prima squadra del Racing, l’anno dopo catapultato nel club più forte del mondo, il Real Madrid: “Roberto Carlos, Raul, Hierro, Guti. Che squadra! Lì ho imparato come si gestiscono i campioni”. Per qualche tempo è diventato anche il portiere titolare di quella formazione che quell’anno vinse la Champions League: “Quando si fece male Bodo Illgner, il titolare, l'ho sostituito per qualche partita. Ma in rosa c’era anche Casillas, alla fine la spuntò lui per il resto della stagione”. Colpa di un lignaggio da predestinato: “Essendo cresciuto nel settore giovanile dei Blancos Iker era un po’ più protetto".

"Reja mi ha messo a fare il terzo"

Albano ha dovuto lottare di più per imporsi, ma a questo era abituato da sempre. Sette anni in Spagna tra Real Vallaoid e Gimnastic, poi la chiamata dell’Italia. Direttamente da Catania: “Era una società in crescita, c’era tanta passione, si lottava per la salvezza ma c’era ambizione. Sono stati due anni belli, soprattutto per i tifosi”. Un po’ meno quelli alla Lazio: “Col tempo mi sono reso conto che lì non avevano bisogno di me”. Convinzione testimoniata dalla scelta di Reja: “Mi ha messo a fare il terzo portiere perché diceva che avrei disturbato Muslera, il primo, se avessi fatto il secondo. Decisione che va contro la natura del calcio, la concorrenza spinge a dare di più”. Poi spazio ai bei ricordi: “A Roma ho vissuto anche momenti positivi, ho vinto trofei e trovato una squadra forte. Klose è il più grande con cui ho giocato. Sono orgoglioso di aver indossato quella maglia. Ora la Lazio è un grande club gestito nel migliore dei modi. Poi, certo, mi sarebbe piaciuto avere più spazio, è normale”. 

Bizzarri però non si piange mai addosso, anche se la fortuna gli ha spesso voltato le spalle: “Ho lasciato la Lazio per trovare più spazio, quell’anno però Marchetti si infortunò e Berisha giocò 30 partite”. Anche la destinazione successiva non gli ha portato bene: “Sono arrivato al Genoa nell’anno in cui è esploso Perin, anche in quel caso giocai poco”. 

"Costretto a lasciare il Chievo"

L’occasione per mettersi mostra è arrivata a Verona, sponda Chievo, dove Bizzarri ha toccato l’apice della sua carriera: “La squadra era ultima in classifica e Maran dopo qualche partita ha iniziato a farmi giocare. Eravamo ultimi, ci siamo salvati con largo anticipo. Ho mantenuto anche la porta inviolata per quasi la metà della stagione, una cosa difficile. Nel secondo anno siamo arrivati addirittura noni”. Tutto bello, poi la batosta: “In modo inspiegabile sono stato costretto ad andarmene, perché il presidente Campedelli voleva Sorrentino nonostante Maran insistesse per tenermi. Per non entrare in polemica con ambiente e spogliatoio ho facilitato la mia cessione”. 

Decisione difficile. “Ci sono rimasto male perché volevo chiudere la mia carriera a Verona, ma quando mi rendo conto di queste situazioni non mi piango troppo addosso”. Non lo ha fatto nemmeno quando il Foggia, sua ultima squadra, è fallito, mettendolo di fronte ad un bivio. Sipario socchiuso, finale aperto. “Il tempo passa per tutti”. Albano vorrebbe fermarlo ancora un po’, almeno per prendere la decisione giusta.  

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