Dagli studi...agli stadi, fino a Rijeka. La bella storia di Acosty: "Il calcio neppure mi piaceva! La Reggiana mi ha dato tutto, anche i soldi per i vestiti"

La sua semplicità parte da un concetto legato tra cuore e mente, prima di qualsiasi altra cosa e di ogni vittoria. Nell’album dei ricordi di Maxwell Acosty, il gol di testa decisivo per regalare la Supercoppa Primavera 2011 alla Fiorentina resta sì un’istantanea nitida ed indelebile, ma non meno del fondamentale supporto ricevuto nei giorni del suo primo contatto con l’Italia, in quel di Reggio Emilia: Rijeka nel presente e la Reggiana come prima tappa in un paese che ha saputo dargli tutto, da un giaccone per proteggersi dal freddo alla sua famiglia, tra la compagna Ludovica, il piccolo Sebastian e Simba, il suo Golden Retriever. “Dovessi scegliere una tappa su tutte, partirei da Reggio. L’impatto con l’Italia è stato pesante, perchè comunque sono arrivato a fine febbraio e faceva un freddo terribile: in Ghana, quando il clima non era caldo, c’erano 28 gradi… Non è stato facile, tra temperatura, cibo, lingua e il fatto di aver lasciato la famiglia a 16 anni, andando in un posto completamente diverso e lontano da tutti: ho avuto la fortuna però di incontrare brave persone alla Reggiana, dove mi hanno dato tutto, anche i soldi per comprarmi i vestiti - racconta il ghanese a GianlucaDiMarzio.com - Mi hanno aiutato tantissimo: all’epoca c’erano il ds Lancetti e il dg Massimo Varini (alla Pro Vercelli adesso) che mi hanno accolto con tanto affetto, vivevo con i soldi che arrivavano dalle loro tasche. Non avevo mai giocato a calcio, tutte le squadre ci pensavano due volte prima di farti fare un provino: solo la Reggiana mi ha dato questa possibilità, prendendomi. Ma non è stato semplice: qualche volta ho pensato di tornare a casa e continuare a studiare, pensavo di non riuscire a trovarmi bene, invece per fortuna è andato tutto bene e ora gioco”.

E gioca eccome, “Aco”: 9 squadre girate, salto nel campionato croato compreso, e tante esperienze vissute. Eppure, ai tempi dei primi calci al pallone, un destino così sembrava quasi impossibile da scrivere: a spiegarci il perchè, è proprio lui. Storia nella storia. “Ti dico la verità? Il calcio non mi piaceva all’inizio (ride)… Non lo guardavo neppure in TV, perchè non mi piaceva! Apprezzavo di più la pallavolo. In Ghana abitavo in un paesino di forse 2000 abitanti, lontano da tutto: mio padre non era calciatore, lavorava in fabbrica, e a livello calcistico non mi aveva “portato” nulla. Non voleva che giocassi a calcio perchè pensava avrei solo sprecato tempo e basta, quindi essendo anche abbastanza bravo a scuola pensavo a studiare e a diventare qualcuno. E pensa: non avevo mai giocato a calcio fino a 16 anni lì, era l’ultimo dei miei pensieri. Non ero mai stato in nessuna squadra e non sapevo neppure di avere qualità, davo qualche calcio al pallone con gli amici dopo la scuola. Poi, sono stato notato da uno scout che mi ha portato a Reggio Emilia a fare un provino, dove mi hanno preso”.

Dagli studi...agli stadi: diploma conseguito e l’università come opzione sempre più probabile per il futuro. Eppure, il fascino di una scommessa rivelatasi poi vincente ha pesato e pagato. Niente idoli, almeno sino al suo arrivo in Italia (“Il primo è stato Eto’o, quando avevo 17-18 anni e lui era all’Inter. Da bambino non ne ho mai avuti”) e piena consapevolezza nei propri mezzi: dal viaggio nel mondo dello studio a quello verso un nuovo paese, con il pallone tra i piedi, in cui anche altre due tappe in particolare (tra le tante) hanno scaldato il suo cuore: “Dovessi scegliere, direi Castellammare: la Juve Stabia per me è stata la prima, vera squadra professionistica dopo la Primavera. Ho avuto Piero Braglia, un martello, ma mi ha aiutato tantissimo e gli devo tanto: dalla Primavera alla Serie B è un bel salto. Ho giocato quasi tutte le partite, tutte bene. E poi scelgo Latina, la mia tappa più lunga: sono stato un anno e mezzo là, e ho trovato diversi allenatori come Iuliano, Somma, Gautieri e Vivarini, che mi hanno aiutato tantissimo, stando con compagni con cui mi sento ancora adesso perchè siamo stati davvero bene. Sono uno molto tranquillo alla fine, mi trovo bene dappertutto”.



Storia di un’altalena: dalla primavera, tra Reggiana e Fiorentina, alla Lega Pro con i granata, passando tra B ed A. Ora, nella vecchia Fiume, Acosty cerca spazio e continuità, all’interno di un mondo ben differente: “Il calcio qui è completamente diverso rispetto all’Italia, dove c’è più tattica: qui al Rijeka con Kek facciamo molto possesso palla, lavorando meno dal punto di vista tattico. Abbiamo uno stadio piccolo, sempre pieno: e il tifo, credimi, è tanto, si è visto anche a San Siro. I tifosi cantano tantissimo, dal primo all’ultimo minuto: non importa se perdi 5-0 o vinci 2-0, loro cantano fino alla fine e a fine partita applaudono. Non smettono un secondo di incitare la squadra, e questo è un bene per noi: a volte abbiamo perso delle brutte partite in casa, ad esempio in Europa League contro l’Austria Vienna, ma non c’è stato un fischio che uno. Qui, comunque vada, viene vissuto tutto in modo tranquillo: si tifa per la squadra, per i giocatori. Poi magari vanno a casa e ti mandano a quel paese, ma non fin quando stanno allo stadio: e io vado in campo cercando di dare il massimo, senza pressione, riti scaramantici o impazzire per il numero di maglia, nonostante preferisca il 7 (indossato nel triennio a Firenze) e il 18. La città qui è tranquilla, c’è entusiasmo dopo il campionato vinto nello scorso anno: è tutto bello, poi c’è anche il mare….”.

La permanenza in Europa League, per il Rijeka, passa ora anche dal Milan: avversario necessariamente da superare per mantenere vive le speranze di raggiungere i sedicesimi, possibili solo grazie al contemporaneo successo dell’Austria Vienna sull’AEK Atene. E proprio nella gara d’andata, entrando dalla panchina, “Aco” è riuscito a dare qualcosa in più ai suoi, contando anche su una carambola fortunosa sulla quale realizzare è stato difficile. E non solo nel momento del gol…: “Era la prima volta che giocavo a San Siro, ci ero già stato ma ero rimasto sempre in panchina: ero carico, perchè tornavo in Italia, la mia seconda casa, ed emozionato. Segnare davanti ai miei amici e ad alcuni miei ex compagni presenti per vedermi giocare è stato bello: è andata un po’ di fortuna, per non dire altro (ride)…Ma dopo quel gol le cose sono un po’ cambiate: qualche persona ha iniziato a vedermi in modo diverso, riuscire a segnare in uno stadio così mi ha dato qualcosa in più, compresa la chance di giocare di più qui dopo essermi ambientato un po’. E’ stata un’emozione bella, anche se mi son reso conto davvero di aver fatto gol al Milan in Europa League e a San Siro solo dopo qualche giorno…”. E il Milan? Che impressione ha fatto: “Ha cambiato tanti giocatori, non è facile: sono veramente forti, probabilmente non si conoscono ancora bene. I nuovi si devono conoscere e ambientare bene, ma il gruppo sicuramente c’è: ci vuole un po’ di tempo. Mi aspettavo sì di più da loro, ma pensare da tifoso porta spesso a criticare: da giocatore, dico che non è facile giocare con dieci giocatori nuovi. Ora hanno un allenatore che ha una grinta come nessuno in A, credo riuscirà a tirare fuori qualcosa in più dai suoi ragazzi”.

Dal futuro dietro l’angolo, con la sfida ai rossoneri, a quello più prossimo, per concludere una bella chiacchierata: prestito con diritto di riscatto dal Crotone come formula aperta ad ogni tipo di soluzione. E con un desiderio mai nascosto da Acosty, seppur posticipato: “Ti dico la verità: dopo quasi 10 anni di Italia avevo voglia di cambiare paese, vita, gioco. Avevo bisogno di nuovi stimoli, e quando è arrivato il Rijeka ci ho pensato: sono cresciuto per tanti anni solo in Italia e non sai cosa ti aspetti fuori, ma ho deciso poi di venire qui. Per adesso mi concentro su questa squadra e sul fare bene, successivamente penserò a un ritorno. Ma mia moglie è italiana e dopo il calcio vorrò vivere in Italia, quindi tornerò”. Concetto semplice da ragazzo umile, con una bella storia alle spalle: in attesa di scriverne un’altra, particolare e inattesa. Proprio come la sua vita, cambiata in un attimo, contro ogni aspettativa iniziale. Puntando tutto, come sempre, su se stesso.

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