Abel Hernandez: "Ora sono maturo. Mi piacerebbe tornare a Palermo"

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Gol, balletti, sorrisi e diversi look. Da rasta a rasato, cambia una ‘o’, a volte con l’aggiunta di qualche disegno. “Se portassi l’Abel di oggi al Palermo penso che farei molto meglio. Mi piacerebbe tornare anche solo per rivedere la città e i tanti amici che ho ancora lì”. Inizia così, con un pizzico di nostalgia, il ricordo dell’avventura italiana di Abel Hernandez ai microfoni di Gianlucadimarzio.com. Più che italiana, rosanero, visto che ha vestito una sola maglia per oltre cinque anni. “Sono ancora nel pieno della mia carriera ma se dovessi tornare in un club, lo farei solo per il Palermo o l’Hull City, dove ho vissuto quattro anni stupendi e ho lasciato un buon ricordo”.

Un trasferimento complicato quello dall’Uruguay all’Italia. Nel 2008 lo status da extracomunitario gli impedisce di firmare con il Genoa, poi un’aritmia ventricolare rischia di compromettere il suo futuro nel Palermo. “Per fortuna è andato tutto bene. Giocare in Italia era un sogno che avevo sin da bambino e condividere lo spogliatoio con i giocatori di quel Palermo era bellissimo. Il ricordo migliore rimane il primo gol in Serie A: contro l’Inter a San Siro”. Un sogno che si avvera a 19 anni. “A quei tempi se segnavo un gol, spesso nella partita successiva mi capitava di staccare un po’ la spina”. Tante aspettative e un grande potenziale, forse ancora oggi mai del tutto espresso. 

Un comportamento che faceva infuriare Zamparini, che una volta lo rimproverò pubblicamente di andare a ballare troppo spesso e di esagerare con le birre. “In discoteca ci andavo solo una volta a settimana, dopo la partita. Normale per un ragazzo. Però sai com’è la gente, ti vedono una volta e se la settimana dopo sbagli la partita, è perché sei andato tutta la settimana a ballare. Probabilmente qualcuno gliel’ha riportata male e poi lui in quell’occasione ha detto quello che gli passava per la testa”. Bastone e anche carota, per uno dei tanti talenti passati nell’arco della gestione Zamparini. “II nostro rapporto è sempre stato buono. L’unico aneddoto che ho con lui riguarda il mio addio: era fatta con l’Hull City, ma lui non rispondeva al cellulare perché gli dispiaceva cedermi e allora io, il mio procuratore e anche Mino Raiola, ci siamo recati a casa sua con l’offerta. È stato strano andare a bussare alla porta del presidente (ride, ndr)”.

ALLENATORI E TALENTI

36 gol in 122 partite con la maglia rosanero tra Serie A, B ed Europa League. 10 in 5 anni: questo invece il rapporto degli allenatori cambiati. Ogni stagione c’erano almeno due cambi in panchina. Però questo era il modo di lavorare di Zamparini e credo che abbia fatto anche del bene: alla fine siamo retrocessi, ma lui ha riportato il club in Serie A dopo tanti anni e l’ha fatto andare in Europa. La gente lo deve ringraziare”Da Ballardini a Iachini, passando per Gasperini, Gattuso, Zenga e Iachini. “Il più importante credo sia stato Delio Rossi. Mi ha dato quella fiducia necessaria per giocare con tranquillità. Arrivavo da un calcio meno dinamico e non ero abituato a difendere, lui mi ha fatto capire che per giocare in Serie A dovevo correre”. 

Ma se ce n’è uno che gli è rimasto nel cuore, quello è Gattuso: “Meritava di lavorare di più, perché piano piano stavamo capendo il suo modo di giocare. Tutto lo spogliatoio gli voleva bene ed è stata l’unica volta nella mia carriera che ho visto tutto il gruppo andarlo a salutare al momento dell’esonero. Si era dimostrata una persona importante. Seguo la Serie A e ho visto che sta facendo molto bene al Napoli: credo che abbia tutte le capacità per diventare il miglior allenatore in Italia e anche tra i migliori d’Europa”. Mentre se ce n’è uno con il quale non si è trovato bene: “Bortolo Mutti. La più brutta esperienza l’ho vissuta con lui. L’unico con cui non ho avuto un bel rapporto. Non mi ricordo se siamo arrivati a litigare, ma non c’era feeling”.

Non solo allenatori, ma anche molti compagni talentuosi con cui sentirsi a proprio agio. “Col Flaco mi sono trovato meglio in assoluto, anche fuori dal campo. Cavani quando sono arrivato era come un fratello maggiore, mi ha aiutato tanto. Con Dybala e Vazquez penso che nessuno si troverebbe male a giocarci insieme: due fenomeni. Con loro mi sento ancora ogni tanto. Con Pastore dormivamo nella stessa stanza nei ritiri e studiavamo i balletti per le esultanze. Ora ho visto che è infortunato, ma credo che abbia bisogno di tornare in campo e di avere la fiducia dell’allenatore, poi sono sicuro che tornerà il Flaco che tutti abbiamo conosciuto”.

Oltre ai sudamericani anche un leccese con la tecnica di un brasiliano. “Miccoli era la bandiera di quel Palermo. Per me è stato uno dei più grandi con cui ho giocato. Negli ultimi anni eravamo diventati i due veterani dello spogliatoio e spesso capitava di fare degli scherzi ai nuovi: avevamo l’abitudine di nascondere i vestiti ai compagni che si vestivano male (ride, ndr)”.

LA NAZIONALE

Al Palermo ha raggiunto la finale di Coppa Italia contro l’Inter post-triplete. Oltre 40mila tifosi rosanero presenti nella capitale. Un esodo culminato in una delusione, che Abel cancellò grazie al trionfo in Copa América, appena un mese dopo. “Il momento più importante della mia carriera a livello di squadra, perché avevo davanti Cavani, Suarez e Forlan, e giocavo poco. A livello personale scelgo invece la promozione in Premier con l’Hull City, quando ho segnato 25 reti” 32 minuti in campo in quella Copa America, 29 presenze e 11 gol totali con la Celeste. “Ci penso sempre, però in questo momento c’è tanta concorrenza. Io ho perso un po’ di spazio e per questo vorrei giocare in un campionato più importante per dimostrare di essere al loro livello”.

Dopo la promozione in Premier League con l’Hull City e l’infortunio al tendine d’Achille, nell’estate 2018 la decisione di trasferirsi in Russia. Un errore. “Non ci sarei dovuto andare: avevo la possibilità di rinnovare, ma ho scelto di andare al CSKA perché giocava la Champions. Una scelta economica e professionale, ma non è andata bene, anche per una cultura totalmente diversa”.

La chiamata di Tabarez manca dal 2017. “Sono stato 7 anni con lui ed è un maestro: il giorno prima della partita ti dice esattamente cosa accadrà in campo. Per noi è molto importante e spero possa rimanere ancora a lungo su quella panchina. Prima che arrivasse lui, quasi nessuno conosceva l’Uruguay: abbiamo sempre avuto grandi giocatori, ma non siamo mai stati così forti come adesso. A differenza dei suoi predecessori ha impostato un progetto ed è per questo che stiamo facendo così bene”.

IL PRESENTE BRASILIANO

Dal 2015 ha giocato in Inghilterra, Russia e Qatar. Oggi Abel ha trent’anni ed è ripartito dal Brasile, dallo Stato del Rio Grande do Sul che confina con il suo Uruguay. Lo scorso ottobre ha firmato un contratto di un anno con l’Inter di Porto Alegre. Venti presenze e quattro gol, prima dello stop causato da una lesione alla coscia destra dal quale sta recuperando. “Sono tornato in panchina nelle ultime due partite, ma non ho giocato. Credo che la mia avventura qui stia andando bene. Il mio obiettivo è arrivare nella miglior condizione al finale di campionato”.

Prima del Brasile aveva vissuto un anno in Qatar, dove ha segnato 7 gol in 16 presenze, ma non ha potuto assistere alla nascita della seconda figlia. Un’esperienza positiva quella all’Al-Ahli, anche se per via della quarantena non ho potuto raggiungere la mia famiglia in Uruguay per la nascita di mia figlia, che ho conosciuto solo due mesi dopo”.

TRA PASSATO E FUTURO: VOGLIA D’EUROPA

Quando era al Palermo lo avevano cercato Roma e Torino, ma se c’è una squadra in cui sarebbe voluto andare…Quella è la Sampdoria. Adesso ci sta giocando un grande amico mio che è Gatson Ramirez. In passato, il mio agente me ne aveva parlato, ma alla fine non se n’è fatto nulla. Comunque la Samp è una squadra che mi è sempre piaciuta, anche per la maglia”. Oggi il presente de La Joya parla portoghese, con la speranza - mai troppo nascosta - di tornare in Europa. “Tempo fa c’era la possibilità di andare in Inghilterra al Watford, proposte dall’Italia non ne ricordo. Voglio tornare a giocare ad alti livelli,  la Premier o la Serie A sarebbero un sogno. Senza nulla togliere all’Internacional, perché sto giocando nel campionato più importante del Sud America”. A dieci anni di distanza Abel è più maturo, ma non smette di sognare. Ma per realizzare questi sogni deve segnare. Anche qui la differenza è solo una vocale.

 di Mattia Zupo
 

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