80 anni di Mazzone, il tributo di chi gli vuole bene: "Uomo vero, allenatore eccezionale. E quante risate!"
Partiamo dai trofei vinti: una Coppa di Lega italo inglese e una Coppa Intertoto. Trofei spariti dagli albi d’oro, superati. Sono stati l’emblema di un calcio che ora non c’è più, che si è quasi estinto. Romantico, genuino, sanguigno. Proprio come Carlo Mazzone, che di quel calcio è stato il portabandiera. Ottant’anni del Sor Carletto, o meglio: del Sor Magara, come ormai è chiamato in tutta Italia. Scordatevi le Tv satellitari, lo streaming, la Goal Line Technology, i dibattiti in televisione. Il calcio ai tempi di Mazzone era altro. Era genuinità, istinto, passione. Era altro. Non per forza migliore, semplicemente diverso. Parola di Giancarlo Antognoni, uno dei giocatori allenati da Mazzone.
ANTOGNONI: "NON POSSO NON VOLERGLI BENE"
“Io l’ho conosciuto che era poco più che un ragazzo. Venne a Firenze nel ’75, io anche ero un ragazzino”. Fiorentina, una delle prime tappe da allenatore. Giancarlo Antognoni, il primo talento scovato, coccolato e poi lanciato: “Non posso non volergli bene, abbiamo iniziato insieme in pratica. Io come calciatore, lui come allenatore. E’ stata una bella storia”. Già, proprio bella. E’ stato amore a prima vista: “Devo tanto a Mazzone, mi ha aiutato a crescere sia dentro che fuori dal campo – ha spiegato Antognoni in esclusiva per Gianlucadimarzio.com - Non lo posso considerare un papà perché la differenza d’età non è così ampia, ma sicuramente lo vedo come un fratello maggiore”. Empatia, istinto paterno, fiuto per il talento. Qualità che accompagneranno Mazzone per tutto il resto della sua carriera: “Mi fece capitano quando avevo appena vent’anni. Non so cosa lo spinse a farlo, probabilmente vedeva già qualcosa in me nonostante la giovane età”. Mazzone percepiva il talento e poi lo coltivava: “Per l’epoca era un allenatore moderno. Veniva da una realtà piccola come Ascoli, ma nonostante questo fece bene con la Fiorentina”.
IL RICORDO DI MUZZI
Tre anni a Firenze, poi Catanzaro, il ritorno ad Ascoli, Bologna, Lecce, Pescara e Cagliari. Fino ad arrivare alla Roma. La sua Roma: “E’ un vero romano. Basta questo per descriverlo, non serve altro. E’ un verace, senza peli sulla lingua, genuino e sincero. A volte fin troppo diretto”. Parole di Roberto Muzzi, che a Mazzone è legato da un ricordo speciale: “Ero molto giovane, una volta mi fece giocare da titolare un Roma-Napoli. Quindi immaginatevi la mia emozione. Giocai malino onestamente. A fine partita mi disse: “A ragazzì non ho capito ancora se sei un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto”. Sul momento ci rimasi parecchio male, poi a distanza di anni capii quello che voleva dirmi”. A Roma e alla Roma Mazzone ha lasciato il cuore. Trasteverino d’origine, figlio della provincia per vocazione. E’ come lo si vede, senza filtri: “Odiava i ristoranti di classe, quelli tutti precisi. Lui doveva “magnà”. Per questo preferiva le osterie romane dove poteva prendersi una bella carbonara”. Pochi fronzoli, badava al solo. E poi quante risate: “Quando ero al Cagliari con lui, Bettarini frequentava Alessia Marcuzzi e spesso uscivano foto e servizi sui giornali. Alla fine di una partita in cui giocò male Mazzone gli disse “Aho, ma che pe’ fatte corre ti devo mette davanti Novella 2000?”. Senso dell’umorismo, ma pochi scherzi quando si parlava del suo figlioccio calcistico. Chi? Totti ovviamente. Eri svogliato in allenamento? Sbagliavi una giocata? Allora ecco il solito mantra: “Dovete prendere esempio da Francesco”. Questione di cuore.
MENICHINI: "MAZZONE PERSONA VERA"
Facciamo un balzo in avanti di circa 10 anni. Arriviamo al suo ultimo anno di carriera, a Livorno. Insediato sulla panchina a stagione in corso: “Quell’anno a dir la verità non siamo andati bene – racconta Galante - abbiamo vinto poche partite, ma che festa per il record di panchine conquistato da Mazzone!”. Già, perché come se non bastasse, il Sor Magara è anche il decano degli allenatori italiani con 795 presenze in A. “Gli allenamenti con lui erano uno spasso, ci si divertiva parecchio. Era simpatico, sempre pronto alla battuta”. Tipo? “Vabbè che a Livorno siete tutti di sinistra, però potete pure giocà a destra eh”. Oppure: “Facciamo lo schema di Gesù: palla avanti e pensaci tu”. Uno spasso. Sì, ma Mazzone non era solo questo. Ci tiene a precisarlo Leonardo Menichini, suo storico allenatore in seconda dal 1991 al 2003: “Carlo era anche altro. Era un uomo vero e un grande esperto di calcio. Spesso non gli vengono riconosciuti veri e propri miracoli sportivi come aver portato l’Ascoli dalla Serie C alla A, oppure le salvezze con Lecce e Cagliari”. Affetto. Rapporto quasi fraterno. Naturale dopo 12 anni in simbiosi: “Il ricordo che mi lega di più a lui? Dopo un derby Roma-Lazio vinto in cui i biancocelesti allenati da Zeman erano nettamente favoriti a fine gara mi prese sottobraccio e mi portò sotto la curva giallorossa. Fu un’emozione grandissima”. Una delle tante. E quindi ora che si fa? Si fanno gli auguri, naturale. Con un nodo in gola, perché chissà quante storie, quanti ricordi, quanto affetto: “Auguri Carlè, 100 di questi giorni”.